Il carattere diffamatorio dei giudizi del rappresentante sindacale

Le espressioni utilizzate dal rappresentate sindacale, critiche dell’operato del Direttore di un centro penitenziario, non integrano il reato di diffamazione se esposte attraverso un giudizio meramente soggettivo, valutativo e non oltraggioso del soggetto criticato, configurando altresì espressione del diritto di critica.

Principio stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 47513/18, depositata il 18 ottobre. Un annuncio apparentemente diffamatorio. Il direttore di una casa circondariale dà il via libera ai detenuti alla consumazione di bevande alcoliche in vista del prossimo giorno festivo. Ma i carcerati, abusando eccessivamente di dette bevande, aggrediscono parte del personale penitenziario episodio che ha portato il rappresentante sindacale di detti dipendenti a esporre il suo totale disappunto della vicenda intercorsa, ritenendo responsabile dell’accaduto il direttore generale dell’istituto penitenziario. Suddetta critica è stata manifestata tramite l’apposizione di un documento riportante il riluttante pensiero del rappresentante sindacale esposizione considerata, sia in primo che in secondo grado, diffamatoria nei confronti del Direttore dell’istituto correttivo, a tal punto da condannare il rappresentate sindacale ex art. 595 Diffamazione c.p Il rappresentante sindacale ricorre quindi in Cassazione deducendo una falsa applicazione dei principi a fondamento di due differenti diritti, sebbene entrambi attinenti alla manifestazione del pensiero riconosciuta dall’ordinamento odierno il diritto di cronaca e il diritto di critica. La critica del rappresentante sindacale. La Suprema Corte ha avuto modo di sottolineare la diversa consistenza del diritto di critica rispetto a quello di cronaca il primo è diretto a valutare una situazione, realmente accaduta, tramite l’esposizione di un giudizio o un’opinione personale e sincera del soggetto dichiarante tale da non poter confluire in una congettura rigorosamente oggettiva. Differentemente, il diritto di cronaca si concretizza nell’esporre e narrare un episodio sottolineandone, benché imparzialmente, alcuni aspetti caratteristici. Il diritto di critica, per non incorrere nelle rigide censure insite nel diritto di cronaca, deve comunque vantare due esimenti, una riferita alla rilevanza sociale dell’argomento ad oggetto, e l’altra volta alla correttezza espressiva del tema trattato caratteristiche che devono pertanto sussistere perfino nel giudizio espresso da un’associazione sindacale. Nel caso di specie il rappresentate sindacale, tramite l’apposizione di un foglio contente espressioni critiche in merito all’operato del Direttore dell’istituto penitenziario, non ha fatto altro che narrare la vicenda lesiva realizzatasi nella casa circondariale utilizzando espressioni di carattere non aggressivo che rilevavano un disappunto nella concessione di bevande alcoliche autorizzata dal Direttore stesso espressioni e critiche funzionai allo svolgimento della rappresentanza dei lavoratori coinvolti . In tal modo i Giudici di legittimità accolgono il ricorso, annullano senza rinvio la sentenza impugnata data la non configurabilità del fatto come reato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 luglio – 18 ottobre 2018, n. 47513 Presidente Fumo – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 27/03/2017 la Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brindisi, ha confermato l’affermazione di responsabilità nei confronti di S.G. in relazione al reato di cui all’art. 595 c.p., per avere, quale segretario generale del sindacato , offeso la reputazione del Direttore della Casa circondariale di Brindisi, D.P.A.M. , affiggendo nella bacheca all’interno della stessa un comunicato in cui si attribuiva al direttore la responsabilità di avere autorizzato la diffusione di alcool tra i detenuti, riducendo la pena inflitta in Euro 600,00 di multa, in luogo della originaria pena detentiva. 2. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di S.R. , Avv. Anselmo De Cataldo, deducendo i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla verità del fatto ed alla continenza espressiva deduce che gli artt. 13 e 14 ord. pen. prevedono che il consumo di vino sia permesso, demandando ai regolamenti interni carcerari ed alle autorizzazioni delle direzioni carcerarie la concreta disciplina la critica sindacale, dunque, riguardava la scelta del direttore di utilizzare o meno i propri poteri di regolazione del consumo di vino. Il riferimento ai fatti diversi e non noti poi non era rivolto alla direttrice, e non integra una espressione gravemente infamante ed umiliante. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per una mera responsabilità di posizione l’imputato aveva la rappresentanza legale, peraltro con poteri disgiunti, del sindacato insieme ad un altro segretario generale il fondamento della responsabilità sarebbe stato individuato nella mera rappresentanza legale. 2.3. Con un terzo motivo chiede la revoca della sospensione condizionale della pena, avendo la Corte di appello riformato la pena detentiva con l’inflizione di una mera pena pecuniaria. 2.4. Con memoria pervenuta il 25/06/2018 il difensore del ricorrente ha ribadito le doglianze già proposte, chiedendone l’accoglimento. 3. Con atto pervenuto il 06/06/2018 la parte civile D.P.A.M. ha chiesto l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 1.1. Con particolare riferimento al secondo motivo di doglianza, va preliminarmente evidenziato che la responsabilità penale dell’imputato è stata affermata sulla base della qualifica rivestita dal S. di segretario generale del sindacato cui era attribuita la diffusione, mediante esposizione nella bacheca della Casa circondariale, del volantino contenente le espressioni critiche nei confronti della Direttrice della stessa. Tuttavia, la segreteria generale risultava essere composta da due segretari generali, con poteri disgiunti, ed alcuna prova dell’attribuibilità della condotta è emersa dalla motivazione della sentenza impugnata che, per analoghi motivi, ha invece assolto l’originario coimputato D.S.M. , anch’egli con ruolo dirigenziale nel sindacato, in quanto detentore delle chiavi della bacheca unitamente ad altre nove persone sicché l’affermazione di responsabilità penale dell’odierno ricorrente, in assenza di prova sulla attribuibilità materiale o morale della condotta contestata, è fondata sulla mera rappresentanza legale del sindacato, e, dunque, su una non consentita responsabilità di posizione. 1.2. Peraltro, non ricorre neppure la natura diffamatoria delle espressioni contestate il volantino affisso nella bacheca, infatti, riferendosi all’aggressione di due agenti di polizia penitenziaria avvenuta il 24 dicembre da parte di un detenuto ristretto presso il reparto infermeria della Casa Circondariale di Brindisi, rappresentava che il detenuto era completamente ebbro , probabilmente a causa dell’alcol autorizzato dalla Direzione, in via del tutto eccezionale, proprio in vista delle festività laddove la critica riguardava la scelta del direttore di utilizzare o meno i propri poteri di regolazione della vendita e del consumo di alcolici in occasione delle festività. Ebbene, va rammentato che, in tema di diffamazione, il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca essenzialmente in quanto il primo non si concretizza, come l’altro, nella narrazione di fatti, bensì nell’espressione di un giudizio o, più genericamente, di un’opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su un’interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e di comportamenti. Non si tratta dunque di valutare la veridicità di proposizioni assertive, per le quali possa configurarsi un onere di previo riscontro della loro rispondenza al vero, quanto piuttosto di stimare la correttezza delle espressioni usate Sez. 5, n. 7499 del 14/04/2000, Chinigò, Rv. 216534 Sez. 5, n. 11211 del 24/11/1993, Paesini, Rv, 196459, secondo cui il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca in quanto non si concreta nella narrazione di fatti, ma nell’espressione di un giudizio o di un’opinione che, come tale, non può essere rigorosamente obiettiva. Ove il giudice pervenga, attraverso l’esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest’ultimo come prevalentemente valutativo, anziché informativo, i limiti dell’esimente sono quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e della correttezza di espressione . Pertanto, è stata affermata la sussistenza dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica sindacale quando le affermazioni di censura sono volte a stigmatizzare, seppur con toni aspri ma conferenti all’oggetto della controversia, un fatto vero del datore di lavoro Sez. 5, n. 5247 del 04/12/2013, dep. 2014, Savio, Rv. 258681 Sez. 5, n. 38962 del 04/06/2013, Di Michele, Rv. 257759, secondo cui sussiste l’esimente dell’esercizio del diritto di critica sindacale nel caso in cui il segretario di un’organizzazione rappresentativa degli interessi dei lavoratori indirizzi una missiva a vari dirigenti amministrativi, con cui si censurano le scelte del direttore medico responsabile di un servizio di un’Azienda USL, in materia di espletamento di tale servizio, ponendone in dubbio la regolarità e denunciando favoritismi Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto che nella missiva fossero rilevabili, da un lato, espressioni non già con carattere di aggressione personale, bensì funzionali allo svolgimento della rappresentanza dei lavoratori coinvolti, dall’altro, l’utilizzo di modalità di estrinsecazione del diritto di critica entro i limiti della continenza espressiva, benché aspre Sez. 5, n. 32180 del 12/06/2009, Dragone, Rv. 244495 . Tanto premesso, le espressioni adoperate nel volantino, benché aspre, rientrano nel legittimo diritto di critica sindacale, i cui confini, come è stato evidenziato, sono più ampi del diritto di cronaca, e non appaiono esulare dai limiti di continenza formale, non trasmodando in una immotivata e gratuita aggressione alla sfera personale del soggetto passivo. 2. Ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M . Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.