Picchia un ragazzino per recuperare la bici rubata al figlio: impossibile parlare di “violenza legittima”

Condanna definitiva per un uomo, colpevole di lesioni personali ed esercizio arbitrario e violento delle proprie ragioni. Respinta la tesi difensiva, secondo cui il comportamento tenuto dall’uomo era legittimo in quanto finalizzato porre rimedio alla lesione di un diritto.

Ha aggredito un ragazzino prendendolo letteralmente a calci. E ha giustificato questo suo comportamento col diritto-dovere di riappropriarsi della bicicletta rubata al figlio. La linea difensiva non può reggere, ribattono i Giudici della Cassazione, confermando la condanna dell’uomo, colpevole di lesioni personali” ed esercizio arbitrario e violento delle proprie ragioni”. Impossibile sostenere la tesi della violenza legittima” Cassazione, sentenza n. 47512/2018, Sezione Quinta Penale, depositata oggi . Diritto. Una volta ricostruito il bruttissimo episodio, l’uomo viene condannato prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello. Accertato, difatti, che egli si sia fatto ragione da sé per esercitare un presunto diritto , cioè recuperare la bicicletta rubata al figlio, e abbia per questo motivo colpito con calci allo stomaco e alla testa un ragazzino – il presunto ladro –, cagionandogli lesioni personali consistite in una contusione . Secondo l’uomo, però, la condotta da lui tenuta non era arbitraria , anche perché riteneva di aver subito la lesioni di un diritto e aveva dapprima reclamato verbalmente la bicicletta di proprietà del figlio. In sostanza, si tratta di violenza reintegrativa, perciò lecita , spiega il legale dell’uomo, dinanzi ai Giudici della Cassazione. Questi ultimi però respingono nettamente tale visione, ribattendo che l’ordinamento non riconosce l’ipotesi di violenza legittima, al di fuori delle situazioni di necessità , che si riferiscono a pericoli estremi e non certo alla necessità del genitore di adoperarsi per recuperare la bicicletta rubata al figlio. Confermata perciò la condanna dell’uomo, colpevole di lesioni personali perché, spiegano i magistrati, la contusione costituisce malattia, in quanto alterazione anatomica e funzionale dell’organismo . Esclusa legittimamente, infine, l’ipotesi della non punibilità , collegata dall’uomo al modico valore della bici su questo fronte i giudici sottolineano la personalità aggressiva dell’uomo e la sua abitualità ai comportamenti violenti, attestata da alcuni precedenti per lesioni personali .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 luglio – 18 ottobre 2018, n. 47512 Presidente Fumo – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 13/04/2016 la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Nola che aveva affermato la responsabilità penale di D’Av. Ad. in relazione ai reati di cui agli artt. 393 e 582 c.p., per essersi fatto ragione da sé, in concorso con persona rimasta ignota, al fine di esercitare un preteso diritto di riappropriarsi della bicicletta rubata al figlio , colpendo con calci allo stomaco e alla testa Vy. Ol., cagionandogli lesioni personali, riducendo, in parziale riforma, la pena inflitta. 2. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di D’Av. Ad., Avv. Ge. Pa., deducendo i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 110, 393, 582 e 131 bis c.p. deduce che non vi sia prova del concorso di un'altra persona, non essendo la persona offesa attendibile, poiché se l'aggressione fosse stata consumata da due persone ben più gravi sarebbero state le lesioni non sussiste l'esercizio arbitrario, perché la condotta non era arbitraria, avendo l'imputato dapprima reclamato verbalmente la bicicletta, ritenendo di aver subito la lesione di un diritto si tratterebbe di una violenza reintegrativa, perciò lecita non sussisterebbe il reato di cui all'art. 582, non essendovi state alterazioni organiche e funzionali tali da integrare il concetto di malattia le contusioni potrebbero essere state determinate da una caduta a terra la causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131 bis è stata esclusa sulla base dei precedenti dell'imputato, senza considerare il ridottissimo grado di offensività della condotta, anche in considerazione del modico valore della bici. 2.2. Vizio di motivazione in relazione agli elementi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. Oltre a proporre motivi generici, in quanto privi di qualsivoglia confronto argomentativo con la sentenza impugnata, e non consentiti dalla legge, in quanto contestano il merito della ricostruzione dei fatti e la valutazione probatoria, il ricorso è manifestamente infondato. Secondo l'accertamento giurisdizionale impugnato, l'odierno ricorrente, credendolo autore del furto della bicicletta del figlio, aggrediva il minore Vy. Ol., colpendolo con calci allo stomaco e alla testa, e cagionandogli lesioni personali, per riappropriarsi del veicolo il concorso di un altro uomo, concorrente nei reati contestati, è stato affermato sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, e non può essere negato sulla base della pretesa scarsa gravità delle lesioni. Quanto alla non arbitrarietà della violenza esercitata, in quanto reintegrativa, la doglianza è manifestamente infondata, non riconoscendo l'ordinamento, al di fuori delle situazioni di necessità di cui agli artt. 52, 53 e 54 cod. pen., ipotesi di violenza legittima. Quanto alle lesioni cagionate, è pacifico che la contusione, in quanto alterazione anatomica e funzionale dell'organismo, costituisce malattia ai sensi dell'art. 582 cod. pen. ex multis, Sez. 7, n. 29786 del 31/05/2016, Ferro, Rv. 268034 . Infine, l'art. 131 bis cod. pen. è stato escluso sulla base della personalità aggressiva dell'imputato, e della abitualità dei comportamenti violenti, attestata dai precedenti per lesioni personali. 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.