Il proprietario dell’immobile, sottoposto a sequestro, è obbligato alla sua conservazione?

Ai sensi dell’art. 677 c.p. è punito il proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo . Ma nel caso in cui l’immobile sia stato sottoposto a sequestro e il proprietario non può più riacquistarne la disponibilità?

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 47034/18 depositata il 16 ottobre. La vicenda. Il Tribunale riteneva gli imputati responsabili del reato di cui all’art. 677, comma 3, c.p. e li condannava alla pena di giustizia. Secondo l’accusa gli imputati avevano omesso di effettuare lavori strutturali e di messa in sicurezza dell’immobile cui erano proprietari, necessari per rimuovere il pericolo di pubblica incolumità, dato che il fabbricato si trovava su una pubblica via e rischiava il crollo. Il giudice di merito, dopo aver precisato che l’immobile era stato sottoposto a sequestro con nomina di un amministratore giudiziario, prendeva atto che nel corso del sopralluogo successivo al sequestro la polizia giudiziaria aveva diffidato gli occupanti dal rimanere nello stabile. Avverso tale sentenza propone ricorso il difensore di uno dei due imputati. Il pericolo di pubblica incolumità. Occorre ricordare, sulla base del principio ormai consolidato in giurisprudenza, che la contravvenzione prevista dall’art. 677 c.p. ha la natura di reato permanente poiché lo stato di consumazione perdura fino a che il pericolo per la pubblica utilità non sia cessato, dunque la permanenza cessa solo quando viene meno la situazione antiguridica per fatto volontario dell’obbligato o per altra causa oppure con la pronuncia della sentenza di primo grado, quando la condotta antiguridica si protragga effettivamente nel corso del procedimento penale, in relazione a quelle situazioni nelle quali il capo di imputazione abbia fatto riferimento solo alla data dell’accertamento del reato . A tal proposito, il Tribunale non ha chiarito se il pericolo di pubblica incolumità si sia protratto in un tempo successivo, ossia dopo i lavori di messa in sicurezza effettuati dall’amministratore giudiziario, dopo che gli era stato affidato l’immobile in questione. Il Tribunale avrebbe quindi dovuto compiere un esame più approfondito dei poteri e dei doveri incombenti sull’amministratore giudiziario. Circa la condotta del proprietario dell’immobile, un precedente insegnamento di legittimità sostiene che non integra il reato di omissione di lavori in edifici pericolanti la condotta del proprietario dell’immobile, sottoposto a sequestro preventivo, che non provveda a eseguire i lavori urgenti per rimuovere il pericolo nel caso in cui l’autorità giudiziaria abbia rigettato la sua richiesta di riacquistarne la disponibilità. Per questi motivi, la Suprema Corte accoglie il ricorso e annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 23 aprile – 16 ottobre 2018, n. 47034 Presidente Iasillo – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, resa in data 12 gennaio - 10 marzo 2017, corretta con provvedimento di pari data, il Tribunale di Palermo, giudicando P.F. e M.P. - imputati del reato di cui all’art. 677, terzo comma, cod. pen. - li ha ritenuti entrambi responsabili del reato loro ascritto e, riconosciute le attenuanti generiche, li ha condannati alla pena di Euro 206,00 di ammenda ciascuno, con il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale. L’accusa aveva più specificamente fatto carico agli imputati di avere, quali proprietari dell’immobile sito in omissis , omesso, essendovi obbligati, sia per la conservazione che per la vigilanza, di effettuare i lavori strutturali e di messa in sicurezza, necessari per rimuovere il pericolo per la pubblica incolumità, per essere il fabbricato prospiciente la pubblica via, secondo quanto era stato indicato nella relazione tecnica dei Vigili del Fuoco di Palermo in data 25 settembre 2012 e in quella del Servizio Protezione Civile e Sicurezza del Comune di Palermo in data 28 dicembre 2012, le quali davano atto del forte stato di degrado in cui versava l’immobile, con la possibilità di ulteriori crolli, tali da determinare pericolo per l’incolumità pubblica delle persone fatto accertato in omissis , con espresso riferimento, nel capo d’accusa, alla sua permanenza. La ricostruzione operata dalla sentenza di merito ha condotto il Tribunale a rilevare che il Reparto Edilizia Pericolante del Comune di Palermo nel novembre 2012 aveva effettuato un sopralluogo presso il fabbricato in questione, successivamente alla precedente ispezione del 25 settembre 2012, dopo che anche i Vigili del Fuoco si erano recati sul posto già nel 2007 verificando l’avvenuto crollo di un vano scala e avevano constatato l’insorgere di pericoli sin da quell’epoca, eseguendo successivi sopralluoghi in cui avevano ribadito la necessità di intervenire, dato il pericolo esistente per la privata e la pubblica incolumità. Indi, il giudice di merito, dopo aver precisato che nel giugno 2011 l’immobile in questione era stato sottoposto a sequestro con decreto del Tribunale di Palermo e correlativa nomina di amministratore giudiziario, poiché esso rientrava, quanto ai piani in elevazione, tra i beni di proprietà della SAICES Srl, società di cui M.P. - moglie di L.F. , sottoposto a misura di prevenzione dal suddetto Tribunale - era legale rappresentante, mentre P.F. invece era proprietario del piano terra, abitato da P.C. padre del primo , ha preso atto che nel corso del sopralluogo del 22 novembre 2012 la polizia giudiziaria aveva diffidato gli occupanti dal rimanere nello stabile, atteso il rilevato pericolo, e ha individuato in P. e M. , per i rispettivi titoli dominicali in relazione alle diverse porzioni del manufatto, i soggetti responsabili di avere omesso, pur essendovi obbligati, la conservazione e la vigilanza del fabbricato e avere sostanzialmente omesso di effettuare gli indispensabili lavori strutturali e di messa in sicurezza dell’immobile, con conseguente integrazione della fattispecie contravvenzionale loro contestata. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il difensore di M.P. chiedendone l’annullamento e affidando l’impugnazione a un unico motivo con cui lamenta la violazione dell’art. 677 cod. pen. e degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. e corrispondente vizio della motivazione. L’ordinanza sindacale che aveva disposto l’effettuazione dei lavori strutturali e di messa in sicurezza del primo e del secondo piano dell’immobile ubicato in omissis , era stata emessa il 26 novembre 2012, sicché il Tribunale aveva errato nell’individuare il soggetto sul quale incombevano gli obblighi scaturenti dall’ordinanza infatti, a seguito del decreto emesso in data 1 giugno 2011, dal Tribunale di Palermo, nel procedimento di prevenzione a carico di L.F. , era stato disposto il sequestro dell’intero capitale sociale e del complesso dei beni aziendali della SAICES Srl, nell’ambito dei quali era annoverata la proprietà dei piani in elevazione del fabbricato in questione, e nello stesso provvedimento era stato nominato amministratore giudiziario il dott. S.A. , con intimazione ai proprietari di non disporre del bene. Quando, dunque, il 10 gennaio 2013, era stata notificata a M.P. l’ordinanza sindacale del 26 novembre 2012, ella si era rivolta all’amministratore giudiziario S. , ormai titolare del potere di gestione, che aveva peraltro dato luogo a una serie di atti culminati nella messa in sicurezza fabbricato, come era da desumersi dalla successiva istanza in data 8 gennaio 2014 con cui lo stesso S. chiedeva il dissequestro dell’immobile, in virtù dei lavori realizzati e dell’esigenza di effettuare revisioni periodiche anche al fine di procedere, se necessario, alle ulteriori opere di messa in sicurezza. Il giudice di merito aveva trascurato anche la deposizione dello stesso S. il quale aveva confermato di essersi occupato dell’immobile dal 2011. Posto ciò, trattandosi con riguardo alla contravvenzione di cui all’art. 677 cod. pen. di un reato proprio, soggetto attivo non poteva che essere, in alternativa al proprietario, soltanto colui il quale, per legge o per convenzione, fosse obbligato alla conservazione e alla vigilanza del medesimo, nel caso di specie l’amministratore giudiziario. Nessun argomento aveva speso, del resto, il Tribunale per spiegare la ragione per la quale, pur in presenza dell’amministratore giudiziario, la legale rappresentante della società proprietaria dell’immobile, pur se spossessata del bene, fosse tenuta comunque all’adempimento degli obblighi oggetto dell’ordinanza. 3. Il Procuratore generale ha prospettato l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non avere M.P. commesso il fatto, non essendo la stessa responsabile della custodia dell’immobile nel tempo a cui l’imputazione era riferita. Considerato in diritto 1. La Corte ritiene che l’impugnazione sia fondata per quanto di ragione con la necessaria specificazione che l’annullamento della sentenza impugnata deve essere pronunciato con rinvio. 2. A completamento degli elementi esposti in parte narrativa pare utile aggiungere che il Tribunale ha raggiunto l’approdo sopra indicato dopo aver anche considerato che, nel susseguirsi degli eventi significativi sopra accennati, il G.i.p. con provvedimento del 22 marzo 2013 aveva nominato M.P. custode giudiziario della palazzina, in precedenza affidata all’amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Palermo, Sezione Misure di Prevenzione, dott. S.A. . In ordine all’obiettivo insorgere del pericolo, il giudice di merito ha osservato che dall’esame degli atti e dall’escussione dei testimoni era risultato che i pericoli erano stati determinati dal crollo del solaio di copertura del vano scala, dallo stato degenerativo del rimanente solaio, da lesioni di notevole entità e da parti di intonaco in fase di crollo incipiente fatti rispetto a cui P. era diventato proprietario della sua porzione di immobile con compravendita del 26 febbraio 2001, mentre in ordine all’altra porzione, S. , amministratore giudiziario dal 2011 del primo e secondo piano, aveva riferito che in quella data il fabbricato era fatiscente. A fronte di ciò il Tribunale ha annesso rilevanza al fatto che i sopralluoghi del 2014 avevano appurato che l’amministrazione giudiziaria aveva provveduto a puntellare l’edificio e che S. si era attivato per fare quanto possibile su autorizzazione del giudice competente. Tuttavia, era rimasto acclarato il pericolo di crollo del fabbricato che avrebbe coinvolto gli occupanti dell’immobile e interessato anche la pubblica via. 3. posto quanto precede, il complessivo discorso giustificativo adottato dal giudice di merito presenta effettivi profili di carenza e contraddittorietà che impongono l’annullamento della sentenza impugnata. 3.1. In primo luogo, sotto il profilo obiettivo, va riaffermato, in premessa, che la contravvenzione prevista dall’art. 677 cod. pen. ha natura di reato permanente in quanto lo stato di consumazione perdura finché il pericolo per la pubblica incolumità non sia cessato, sicché - vertendosi in tema di reato permanente a condotta omissiva - la permanenza viene a cessare solo nel momento in cui viene meno la situazione antigiuridica per fatto volontario dell’obbligato o per altra causa oppure con la pronuncia della sentenza di primo grado, quando la condotta antigiuridica si protragga effettivamente nel corso del procedimento penale, in relazione a quelle situazioni nelle quali il capo di imputazione abbia fatto riferimento solo alla data dell’accertamento del reato Sez. 1, n. 30341 del 11/05/2017, Linciano n. m. Sez. 1, n. 6596 del 17/01/2008, Corona, Rv. 239130 Sez. 1, n. 12721 del 07/03/2007, Orza, Rv. 236382 . Assodato tale punto, però, il Tribunale non ha chiarito se il pericolo per la pubblica incolumità emerso in dipendenza delle condizioni di rilevante degrado in cui versava il fabbricato nel novembre 2012 si sia protratto in tempo successivo e, in particolare, se tale pericolo sia restato nella sostanza incombente anche dopo i lavori di messa in sicurezza effettuati, per quanto gli era stato possibile, dall’amministratore giudiziario S. . Sull’argomento, di indubbia rilevanza, sia per la definizione del tempo del commesso reato, ai fini del computo del termine prescrizionale, sia - e prima ancora, per quel che si dirà appena dopo - per la verifica della sfera di responsabilità dell’odierna ricorrente, la sentenza, che si limita a riportare nel tessuto motivazionale stralci di dichiarazioni e singoli dati, non compie la necessaria sintesi critica e non giunge a conclusioni esplicite e, in ogni caso, chiare allo scopo precisato. 3.2. In secondo luogo, il giudice di merito, pur avendo evidenziato che con provvedimento del Tribunale di Palermo in data 1 giugno 2011 la consistenza immobiliare oggetto di proprietà della SAICES Srl, facente capo a L.F. , con legale rappresentante la consorte M.P. , era stato sottoposto a sequestro di prevenzione, con nomina di S.A. quale amministratore giudiziario, ha poi ascritto all’imputata M. condotte omissive a far data dall’11 novembre 2012 quando pacificamente S. era ancora amministratore giudiziario e, per accertamento compiuto dallo stesso Tribunale, si era attivato, per quanto era nelle sue possibilità, allo scopo di scongiurare il pericolo derivante dalla fatiscenza dell’immobile a lui affidato. Il Tribunale, sul punto, non ha svolto alcuna analisi dei poteri-doveri facenti capo a S. , nella qualità, durante il periodo di amministrazione giudiziaria del compendio e dei poteri-doveri residui e concorrenti facenti capo, eventualmente, alla legale rappresentante della società proprietaria, M.P. , in quello stesso periodo. Inoltre, in connessione diretta con il mancato accertamento del preciso tempo del commesso reato, il giudice di merito non ha analizzato se - quando ella era stata poi nominata custode giudiziario della consistenza dal G.i.p. con provvedimento del 22 marzo 2013, così surrogando o il punto non viene delucidato affiancando, per quanto di interesse della gestione del sequestro preventivo, l’amministratore giudiziario S. - l’imputata abbia avuto in custodia l’immobile in condizioni di persistente pericolo per la pubblica incolumità, nonostante i lavori promossi dall’amministratore giudiziario S. ed, in caso affermativo, se abbia persistito in questo specifico lasso nell’omettere la promozione dei lavori strutturali e di messa in sicurezza del manufatto necessari per rimuovere il pericolo stesso. In tal senso non privo di importanza è l’accertamento degli eventuali concorrenti poteri residuati in capo a S. . Pertanto, sia per la particolarità della posizione del proprietario o, per lo stesso, del legale rappresentante della società proprietaria rispetto al bene oggetto del diritto dominicale, sia anche per l’avvicendarsi delle funzioni esercitate dalla legale rappresentante della SAICES Srl nel corso del tempo susseguente all’11 novembre 2012 fino alla data da esplicitarsi di completamento della consumazione del reato permanente, il Tribunale avrebbe dovuto compiere un più approfondito esame dei poteri e quindi dei doveri incombenti, mano a mano, su M.P. . Invero, la questione se M. , nella qualità di amministratrice, fosse tenuta a compiere atti ulteriori rispetto a quelli comunque messi in essere dall’amministratore giudiziario che dal luglio 2011 aveva ricevuto la gestione del cespite a seguito del sequestro di prevenzione sembra essere risolta positivamente dalla sentenza impugnata, senza che però sia stata fornita congrua e logica motivazione in merito. Per il tempo susseguente, il giudice di merito ha citato la nomina a custode di M.P. dopo il sequestro preventivo del 22 marzo 2013, ma non ha offerto alcuna chiarificazione sulla situazione dell’immobile al momento in cui tale funzione è stata assunta dall’imputata, né sulla ragione per la quale in data 8 gennaio 2014 l’amministratore giudiziario S. ha presentato l’istanza allegata dalla ricorrente per l’autosufficienza della corrispondente doglianza in cui è apparso accreditare un’attivazione completa ed assorbente - sollecitata o comunque consentita da M. - da parte della gestione custodiale della sua amministrazione giudiziaria, tale da far ritenere, in quel momento, rimosso il pericolo. 3.3. In definitiva, non risulta, per l’una e l’altra delle enucleate fasi, affrontato in modo adeguato il nodo giuridico inerente ai doveri incombenti sul proprietario in relazione all’intervento, per factum principis, di un’altra sfera soggettiva, rappresentata dall’amministratore giudiziario di bene assoggetto a sequestro di prevenzione, attributaria di specifici poteri-doveri, con la conseguente identificazione della corrispondente posizione di garanzia. Sul tema occorre muovere dall’esigenza della verifica della concreta esigibilità dell’attivazione del proprietario, esigenza da cui già ha preso le mosse precedente insegnamento di legittimità secondo cui non integra il reato di omissione di lavori in edifici che minacciano rovina, di cui all’art. 677 cod. pen., la condotta del proprietario di un immobile, sottoposto a sequestro preventivo, che non provveda a eseguire i lavori urgenti per rimuovere una situazione di pericolo quando l’autorità giudiziaria abbia rigettato la sua richiesta di riacquistarne la disponibilità approdo raggiunto sulla scorta dall’argomento, da condividersi e riaffermarsi, in base al quale l’obbligo di rimuovere la situazione pericolosa che dà luogo a responsabilità ex art. 677 cit. incombe sui proprietari ovvero su chi per loro è obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell’edificio o della costruzione, sicché esso deriva dalla situazione di legale disponibilità del bene, con l’ulteriore effetto che, nell’ipotesi di spossessamento per atto dell’autorità giudiziaria, il proprietario è senz’altro tenuto a chiedere di poter riottenere la disponibilità del manufatto al fine di attivarsi personalmente, ma, una volta attivatosi in tale senso, se gli si oppone un rifiuto, egli resta esonerato dall’obbligo non avendo, in quella fase, alcuna concreta disponibilità del bene Sez. 1, n. 17322 del 15/04/2009, Ramirez, Rv. 243694 . 4. Il vizio denunciato, in conclusione, sussiste nei termini indicati, per cui diviene ineludibile annullare la sentenza impugnata affinché il Tribunale di Palermo in persona di diverso giudicante riesamini, in sede di rinvio, la fattispecie approfondendo i punti relativi alla connotazione oggettiva della fattispecie e all’identificazione della posizione soggettiva rilevante nei sensi e secondo i principi testè esposti. Mette conto sottolineare nella prospettiva emersa nell’analisi finora svolta che, in relazione al reato permanente configurato dall’imputazione, non è dato, allo stato, trarre adeguata e precisa contezza del momento in cui si è conclusa la permanenza e, quindi, si è definita la consumazione del reato in esame anche la definizione di tale punto forma oggetto del giudizio di rinvio per le implicazioni evidenziate. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo in diversa composizione.