Reati in continuazione: il cumulo giuridico va scisso ai fini della possibile revoca dell’indulto

Ai fini della possibile revoca dell’indulto, nel caso di commissione di delitti non colposi unificati dalla continuazione entro cinque anni dall’entrata in vigore della legge sull’indulto, il giudice dell’esecuzione deve accertare quale sia la pena rilevante non inferiore a due anni individuandola fra quelle in concreto inflitte per ciascun reato.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 46132/18, depositata l’11 ottobre. Il caso. Un uomo aveva beneficiato dell’indulto ex legge n. 241 del 31 luglio 2006 Concessione di indulto” . Successivamente alla concessione del beneficio, nel quinquennio dall’entrata in vigore della legge, il condannato commise un altro reato la cui pena inflitta non era inferiore a due anni di reclusione, sicché sembravano sussistere i presupposti per la revoca di diritto dell’indulto. Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva la domanda del PM volta a revocare l’indulto applicato al condannato. Nello specifico il reato commesso successivamente all’indulto era il delitto di calunnia tuttavia unito dal vincolo della continuazione con altri in esecuzione del medesimo disegno criminoso. È su tale aspetto che il ricorso per cassazione esprime la propria censura, segnatamente circa l’errore sulla legge sostanziale e la sua applicazione nel caso di reati successivi alla concessione dell’indulto commessi in continuazione. La revoca di diritto in caso di reato commesso entro i cinque anni. La legge prevede nello specifico che il beneficio dell’indulto vada revocato di diritto se chi ne ha usufruito, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge medesima, commette un delitto non colposo per il quale riporti la condanna a pena detentiva non inferiore a due anni. La disposizione viene interpretata nel senso che, nel caso di condanna per delitti non colposi che il giudice di merito affermi, con sentenza irrevocabile, essere stati commessi – in esecuzione di un medesimo disegno criminoso – entro il termine del quinquennio, occorre che il giudice dell’esecuzione faccia riferimento alle singole pene in concreto inflitte dal giudice della cognizione per ciascun reato e non al cumulo giuridico risultante. Applicabilità ai reati in continuazione. Una tale interpretazione è logicamente consequenziale al principio di diritto secondo cui, nel caso di delitti uniti dal vincolo della continuazione, alcuni dei quali siano stati commessi entro il termine di applicabilità dell’indulto e altri successivamente, il giudice dell’esecuzione deve individuare – al fine di stabilire la misura della pena rilevante ai fini della revoca dell’indulto – l’aumento di pena in concreto inflitto a titolo di continuazione per ciascuno dei reati-satellite. Costituisce infatti ius receptum che quando si faccia riferimento a reati unificati dal medesimo disegno criminoso, tanto per l’applicazione che per la revoca dell’indulto, l’entità della pena deve fare riferimento a quella inflitta relativamente a ciascuno di essi e non alla pena complessivamente determinata in ragione dell’applicazione dell’istituto di favor rei della continuazione. La continuazione, infatti, costituisce una particolare figura di concorso materiale di reati, punita meno gravemente rispetto al cumulo materiale in ragione dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso. Per queste ragioni, il regime sanzionatorio previsto per l’ipotesi della continuazione tra reati è quello del cumulo giuridico che comporta l’applicazione della pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave, aumentata fino al triplo. Il principio è stato confermato anche dalle Sezioni Unite Astone, CED 243380 laddove si è precisato che il giudice dell’esecuzione è tenuto a verificare se la condanna per la quale viene disposta la revoca dell’indulto faccia riferimento a più reati in continuazione il giudice deve quindi verificare se la pena base per il reato più grave individuato era stata determinata in misura tale da comportare la revoca del beneficio, cioè se fosse pari o superiore ai due anni, atteso che questo è il tetto previsto dalla legge che disciplina l’indulto. Annullamento con rinvio dell’ordinanza di revoca. In conclusione, secondo la Suprema Corte, il giudice dell’esecuzione ha errato nel ritenere che la pena concretamente inflitta potesse far venire meno il beneficio concesso perché ha considerato la pena finale applicata in forza dell’istituto della continuazione dei reati anziché la pena per il reato più grave tra quelli in continuazione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 luglio – 11 ottobre 2018, n. 46132 Presidente Novik – Relatore Vannucci Osservato in fatto e consideratto in diritto che con ordinanza emessa il 29 gennaio 2016 il Tribunale di Lecce, in composizione monocratica ed in funzione di giudice dell’esecuzione, in accoglimento di domanda proposta dal pubblico ministero, revocò a M.M. l’indulto a tale persona applicato, ai sensi della legge n. 241 del 2006, con ordinanze rispettivamente emesse dal Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Nardò il 15 dicembre 2012 e dal Tribunale di Lecce il 8 novembre 2013 nella misura complessivamente pari a tre anni di reclusione ed Euro 600 di multa che questa è la motivazione della decisione il 2 ottobre 2006 nel quinquennio successivo al 1 agosto 2006, giorno di entrata in vigore della legge n. 241 del 2006 recante concessione di indulto M. commise altro reato la pena inflitta per tale reato sentenza resa dal Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Nardò il 11 luglio 2012 è non inferiore a due anni di reclusione sussistono i presupposti per la revoca di diritto dell’indulto applicato con le due ordinanze sopra indicate art. 1, comma 3, della legge n. 241 del 2006 che per la cassazione di tale ordinanza M. ha proposto ricorso atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avvocato Luigi Rella deducendo che l’ordinanza impugnata è caratterizzata da errata applicazione della disposizione relativa alla revoca di diritto dell’indulto contenuta nell’art. 1, comma 3, della legge n. 241 del 2006, in quanto il giorno 11 luglio 2012 il Tribunale di Lecce - sezione di staccata di Nardò condannò esso ricorrente per la commissione, il 2 ottobre 2006, di delitto di calunnia reale art. 648 cod. pen. , a pena detentiva superiore a due anni di reclusione la sentenza divenne irrevocabile il 10 dicembre 2014 con sentenza, non ancora irrevocabile, emessa il 17 luglio 2015 la Corte di appello di Lecce, confermò la decisione resa dal Tribunale di Lecce il giorno 11 luglio 2012 di accertamento della responsabilità di esso M. in ordine alla commissione di altri quattro delitti di calunnia reale commessi il OMISSIS e, in parziale riforma di tale seconda sentenza, accertò che tali quattro delitti di calunnia reale vennero commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso sottostante la commissione, sempre lo stesso giorno OMISSIS , dell’altro delitto di calunnia reale oggetto della sentenza, irrevocabile, pronunziata dal Tribunale di Lecce-Sezione distaccata di Nardò sempre il giorno 11 luglio 2012 con tale sentenza di appello il delitto più grave venne individuato in uno dei quattro delitti di calunnia oggetto dell’accertamento falsa denuncia di smarrimento di assegno bancario incorporante la somma di 11.00 Euro , per la cui commissione venne determinata la pena di base di due anni e sei mesi di reclusione, aumentata di mesi quattro di reclusione per ciascuno dei tre reati calunnia accertati con la sentenza confermata in appello, ulteriormente aumentata di quattro mesi di reclusione relativi al delitto accertato con la citata sentenza emessa dal Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Nardò la revoca del’indulto con riferimento alla pena inflitta con tale ultima sentenza è dunque illegittima, dal momento che la stessa venne rideterminata nella misura di quattro mesi di reclusione per effetto dell’applicazione della disciplina contenuta nell’art. 81, secondo-comma, cod. pen. compiuta dalla sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce il 17 luglio 2015, peraltro ancora non divenuta irrevocabile che il Procuratore generale ha concluso come in epigrafe richiamando i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di revoca di diritto dell’indulto applicato per effetto della legge n. 241 del 2006 per delitti, commessi successivamente all’entrata in vigore della legge stessa e unificati dal vincolo della continuazione che se è vero che al momento di emissione dell’ordinanza impugnata 29 gennaio 2016 la citata sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce il 17 luglio 2015 non era ancora divenuta irrevocabile con la conseguenza che il giudice dell’esecuzione non poteva tenere conto delle statuizioni in essa contenute con specifico riferimento all’applicazione dei precetti recati dall’art. 81, secondo comma, cod. pen. , è altrettanto vero che su tali statuizioni si è, oggi, formato il giudicato, dal momento che il ricorso da M. proposto per la cassazione di tale sentenza di appello venne da questa Corte dichiarato inammissibile con sentenza n. 41539 emessa il 13 settembre 2016 verifica officiosamente effettuata che, dal contenuto delle sopra indicate sentenze di merito, tutte passate in cosa giudicata, risulta che il ricorrente, con la presentazione, il giorno OMISSIS , di falsa denuncia di smarrimento di assegni bancari, commise, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, cinque delitti di calunnia reale che la citata sentenza della Corte di appello di Lecce, facendo applicazione della disciplina legale della continuazione, indicò specificamente per ciascuno di tali delitti la misura della relativa pena fino a giungere all’irrogazione della pena finale che l’art. 1, comma 3, della legge n. 421 del 2006 pacificamente applicabile al caso di specie espressamente prevede che Il beneficio dell’indulto è revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni che i delitti in questione vennero tutti commessi entro cinque anni dal 1 agosto 2006, giorno di entrata in vigore della citata legge di concessione di indulto che, come esattamente rimarcato dal Procuratore generale e per quanto qui specificamente interessa, in funzione della revoca di diritto del beneficio dell’indulto giudizialmente applicato, occorre, nel caso di condanna per delitti non colposi che il giudice di merito affermi, con sentenza irrevocabile, essere stati commessi, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, entro il termine sopra indicato, avere riferimento da parte del giudice dell’esecuzione cui la questione della revoca di diritto sia devoluta alle singole pene dal giudice della cognizione in concreto inflitte per ciascun reato commesso nel quinquennio di riferimento e non al cumulo giuridico di tali sanzioni in questo senso cfr. Cass. Sez. 1, n. 13400 del 19 febbraio 2013, Spampinato, Rv. 256023 che tale interpretazione del citato art. 1, comma 3, della legge n. 421 del 2006 costituisce sviluppo del principio di diritto, desumibile dalla motivazione di Cass. S.U. n. 21501 del 23 aprile 2009, Astone, Rv. 243380, secondo cui, nel caso di delitti unificati dal vincolo della continuazione alcuni dei quali, compreso quello ritenuto più grave, siano stati commessi entro il termine di applicabilità dell’indulto ed altri dopo tale termine, il giudice dell’esecuzione deve, in funzione della individuazione della misura della pena rilevante ai fini della revoca dell’indulto, individuare, quanto ai c.d. reati satellite , l’aumento di pena in concreto inflitto a titolo di continuazione per ciascuno di essi, e non nella sanzione edittale minima prevista per la singola fattispecie astratta che, invero, costituisce principio di diritto da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, in tema di indulto e salva diversa disposizione di legge, il reato continuato va scisso -sia per l’ipotesi in cui, in ragione del titolo alcuni fra gli episodi criminosi unificati risultino esclusi ed altri compresi nel relativo provvedimento, che per quella in cui alcuni siano stati commessi prima ed altri dopo il termine di scadenza ivi stabilito - allo scopo di consentire che il beneficio venga riconosciuto per i singoli fatti che vi rientrano cfr. Cass. S.U., n. 18 del 16 novembre 1989, dep. 1990, Fiorentini, Rv. 183004 Cass. S.U., n. 2780 del 24 gennaio 1996, Panigoni, Rv. 203975 che, in conclusione, alla luce dell’avvenuto passaggio in cosa giudicata della sentenza nei confronti del ricorrente emessa dalla Corte di appello di Lecce il 17 luglio 2015, l’ordinanza impugnata è da annullare, con rinvio al Tribunale di Lecce, in composizione monocratica ed in funzione di giudice dell’esecuzione, per un nuovo esame della domanda del pubblico ministero sollecitante l’accertamento dei presupposti per la revoca di diritto dell’indulto, di cui all’art. 1, comma 3, della legge n. 421 del 2006, al ricorrente applicato ai sensi della stessa legge per reati commessi prima della relativa entrata in vigore che nel decidere sul merito di tale domanda il giudice di rinvio dovrà fare applicazione del seguente principio di diritto nel caso di commissione, da parte di chi abbia beneficiato dell’indulto concesso con la legge n. 421 del 2006, di delitti non colposi dal giudice della cognizione unificati dal vincolo della continuazione art. 81, secondo comma, cod. pen. entro cinque anni dall’entrata in vigore della stessa legge n. 421, il giudice dell’esecuzione, in funzione dell’accertamento dei presupposti per la revoca di diritto di tale beneficio prevista dall’art. 1, comma 3, della medesima legge, dovrà accertare sulla base delle determinazioni del giudice della cognizione quale sia la pena rilevante allo scopo individuandola fra quelle in concreto inflitte per ciascun reato per il reato più grave e per i c.d. reati satellite dal giudice della cognizione e non alla pena risultante dal cumulo giuridico di ciascuna di tali sanzioni . P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Lecce.