L’errore sulla norma integrativa del precetto penale che attribuisce al bene il carattere della pignorabilità

La Suprema Corte, con la sentenza in esame, torna sul principio più volte chiarito secondo cui l’errore su legge diversa da quella penale, ex art. 47, comma 3, c.p., non rileva nell’ipotesi di norme da ritenersi incorporate nel precetto penale, fra le quali rientrano quelle che attribuiscono ad un bene il carattere della pignorabilità.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 45444/18 depositata il 9 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado che riteneva l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 388 c.p. In particolare, all’imputato veniva contestato, quale amministratore unico di una s.r.l., di aver inviato nel procedimento esecutivo promosso nei riguardi della società in questione, una missiva all’ufficio notifiche esecuzione e protesti del Tribunale con cui dichiarava l’assenza di ulteriori beni pignorabili e di terzi debitori. Con unico motivo, l’imputato ricorre in Cassazione argomentando sull’istituto dell’errore sul fatto e richiamando l’orientamento giurisprudenziale che distingue, per l’esclusione della colpevolezza, fra errore su norma extrapenale integrativa del precetto e norma non integrativa. L’errore sulla legge. La Suprema Corte ha già più volte chiarito che l’errore su legge diversa da quella penale, ex art. 47, comma 3, c.p., non rileva nell’ipotesi di norme da ritenersi incorporate nel precetto penale, fra le quali rientrano quelle che attribuiscono ad un bene il carattere della pignorabilità. Si tratta di disposizioni che, in quanto espressamente richiamate dall’art. 388, comma 6, c.p., ne costituiscono parte integrante. Nel caso in esame, l’errore in cui sarebbe incorso il ricorrente verterebbe sul convincimento che l’oggetto della dichiarazione di cui all’art. 492 c.p.c., trattandosi di una procedura esecutiva mobiliare, avrebbe dovuto essere limitato alla indicazione dell’esistenza solo di ulteriori beni mobili. Si tratta quindi di un errore che si risolve in un errore sul precetto e non in un errore sul fatto. Dunque, il ricorso è dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 5 maggio – 9 ottobre 2018, n. 45444 Presidente Villoni – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Trieste ha confermato la sentenza con cui D.S. è stato ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 388 cod. pen A D. , nella qualità di amministratore unico della società Esmeraldo s.r.l., è contestato di avere inviato il 30/05/2013, nell’ambito del procedimento esecutivo promosso nei riguardi della società in questione ed a seguito del ricevimento dell’avviso di cui all’art. 518 cod. proc. pen., una missiva all’ufficio notifiche esecuzione e protesti del Tribunale di Udine con cui dichiarava l’assenza di ulteriori beni pignorabili e di terzi debitori laddove, invece, da accertamenti successivi, sarebbe emerso che la società era titolare ancora di un fabbricato. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore un unico motivo di ricorso con cui si deduce violazione di legge in relazione all’art. 47, comma 3, cod. pen. Si argomenta diffusamente sull’istituto dell’errore sul fatto e si rivisita criticamente l’orientamento giurisprudenziale che distingue, ai fini della esclusione della colpevolezza, fra errore su norma extrapenale integrativa del precetto e norma non integrativa si assume che l’art. 47, comma 3, cod. pen. sarebbe applicabile sia nel caso di errore di fatto che in quello di errore di diritto che conduce ad un errore sul fatto. Secondo il ricorrente, pur non essendovi nell’art. 388, comma 6, cod. pen. un richiamo espresso ad una norma extrapenale, l’errore su questa dovrebbe condurre comunque ad escludere la colpevolezza e, dunque, la responsabilità penale nel caso di specie, l’errore sarebbe consistito nel convincimento di non rendere una falsa dichiarazione, ex art. 518 cod. proc. civ., sul presupposto che, trattandosi di una esecuzione mobiliare, detta dichiarazione avrebbe dovuto avere ad oggetto solo la esistenza di beni mobili. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile in quando basato su un motivo manifestamente infondato. 2. La disposizione di cui all’art. 388, comma 6, cod. pen. è collegata al potere riconosciuto all’ufficiale giudiziario dal comma 4 dell’art. 492 cod. pen. di richiedere al debitore, qualora i beni già pignorati possano apparire insufficienti per la soddisfazione del creditore ovvero per essi appare lunga la durata della liquidazione, l’indicazione di ulteriori beni utilmente pignorabili o dei luoghi in cui essi si trovano. Il bene giuridico tutelato dalla disposizione è comunemente individuato nell’interesse del creditore all’effettività della procedura esecutiva e questo spiega l’imposizione di un dovere di collaborazione si tratta di un reato di pericolo. L’oggetto della dichiarazione è costituito dalla indicazione di ulteriori beni pignorabili , senza distinzione sulla natura del bene. La Corte di cassazione ha già chiarito che l’errore su legge diversa da quella penale di cui all’art. 47, comma terzo, cod. pen., non rileva nel caso di norme da ritenersi incorporate nel precetto penale, fra le quali rientrano quelle che attribuiscono ad un bene il carattere della pignorabilità, trattandosi di disposizioni che, in quanto espressamente richiamate dall’art. 388, comma sesto, cod. pen., attraverso lo specifico riferimento alle cose o ai crediti pignorabili , ne costituiscono parte integrante Sez. 6, n. 27941 del 31/05/2016, Bernot, Rv. 267390 . Nel caso di specie, il supposto errore in cui sarebbe incorso il ricorrente, non verterebbe nemmeno sulla esatta configurazione della nozione di pignorabilità del bene , ma sul convincimento che, trattandosi di una procedura esecutiva mobiliare, l’oggetto della dichiarazione di cui all’art. 492 cod. proc. civ., avrebbe dovuto essere limitato alla indicazione della esistenza solo di ulteriori beni mobili. Si tratta, evidentemente, di un errore che si risolve in un errore sul precetto e non in un errore sul fatto. L’art. 388, comma 6, cod. pen. fa espresso riferimento al dovere di indicazione di beni pignorabili, senza operare distinzioni nel precetto penale non si rinviene alcun elemento per indurre a ritenere che il dovere di collaborazione del debitore esecutato sia limitato alla indicazione della esistenza di soli beni dello stesso tipo di quelli per i quali la procedura esecutiva è originariamente avviata. Dunque, l’errore in cui sarebbe incorso il ricorrente ha ad oggetto il significato penalistico dell’elemento normativo richiamato nella fattispecie, e, quindi, costituisce un errore di diritto che non esclude la colpevolezza. 3. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare nella misura di duemila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.