L’attività investigativa, finalizzata a richiesta di revisione, è ammessa solo se modifica il quadro probatorio

In materia di indagini difensive, qualora il mandato al difensore sia conferito per compiere attività investigativa preventiva, per ricercare elementi di prova in vista del giudizio di revisione della sentenza di condanna, l’istanza va proposta al giudice dell’esecuzione.

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 44591/18 depositata il 5 ottobre. La vicenda. La Corte d’Assise, quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata per ottenere l’autorizzazione all’esperimento dell’attività investigativa preventiva, finalizzata all’eventuale presentazione della richiesta di revisione della sentenza di condanna. In particolare, la Corte d’Assise evidenziava che le argomentazioni difensive non consentivano l’introduzione di effettivi elementi di novità, né una diversa valutazione degli elementi già acquisiti. Avverso l’ordinanza della Corte d’Assise, l’imputato propone ricorso per cassazione, tramite il suo difensore. Il ruolo del giudice dell’esecuzione. Va innanzitutto osservato che, il giudice dell’esecuzione non può negare l’autorizzazione chiesta dal condannato, a mezzo del proprio difensore, di effettuare nuove indagini difensive in vista di una eventuale richiesta di revisione. Dunque la Suprema Corte, afferma che non è consentito al giudice dell’esecuzione, adito per il rilascio dell’autorizzazione a svolgere attività investigativa preventiva, effettuare una negativa deliberazione della possibilità della revisione ed inoltre la preclusione del giudicato, ai sensi dell’art. 649 c.p.p., non involge le statuizioni del giudice della cognizione in punto di ammissione della prova . Spetta poi alla parte dedurre la decisività dell’atto di indagine difensiva richiesto e l’utilità che ne deriva, non essendo ammesse quelle investigazioni che appaiono superflue o inidonee a determinare modificazioni sostanziali del quadro probatorio. La Suprema Corte, in definitiva, sul punto emana il seguente principio di diritto il giudice dell’esecuzione, chiamato a decidere sull’istanza con la quale in condannato, a mezzo del proprio difensore, chieda l’autorizzazione a svolgere attività investigativa finalizzata a richiesta di revisione, ai sensi dell’art. 327- bis c.p.p., legittimamente perviene a decisione di rigetto, nei casi in cui si tratti di istanze meramente esplorative ovvero mirate ad accertamenti che appaiono, all’evidenza, superflui o inidonei a determinare modificazioni sostanziali del quadro probatorio .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 3 maggio – 5 ottobre 2018, n. 44591 Presidente Tardio – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza resa in data 19.10.2017, la Corte di Assise di Sassari, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza, con allegate consulenze tecniche, avanzata nell’interesse di C.A. per ottenere l’autorizzazione all’esperimento di attività investigativa preventiva, ai sensi degli artt. 391-nonies e 327-bis, comma 2, cod. proc. pen., finalizzata alla eventuale presentazione di istanza di revisione della sentenza di condanna alla pena di 24 anni di reclusione emessa in data 12.3.2013 dalla Corte di Assise di Sassari per l’omicidio di S.O. , parzialmente riformata sul punto delle statuizioni civili dalla Corte di Assise di Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, e divenuta irrevocabile il 5.7.2016. La Corte di Assise adita, dopo aver premesso una breve ricostruzione del fatto, dava atto che con l’istanza in questione la difesa del C. , stigmatizzata la compromissione ab initio dei risultati di indagine per la mancata osservanza, da parte degli investigatori, dei protocolli minimi prescritti nella rilevazione e nella documentazione, aveva evidenziato la necessità di ulteriori accertamenti scientifici, ossia l’esame dello stomaco e quello sub ungueale delle dita della vittima il primo, al fine di meglio definire l’ora della morte della predetta visto che il medico legale, nel referto autoptico, non aveva fatto menzione del contenuto gastrico del cadavere e, il secondo, al fine di rilevare eventuali tracce biologiche di persona diversa dal condannato. In base alle sintetizzate deduzioni difensive, il giudice dell’esecuzione aveva disposto l’esame in contraddittorio dei periti e dei consulenti di parte udienza del 7.9.2017 , in esito al quale il consulente del P.M. dott. L.F. aveva concluso che a il contenuto gastrico non dava un aiuto importante ai fini della definizione dell’ora della morte b i tempi della digestione, per la loro estrema variabilità, davano indicazioni molto aleatorie, soprattutto perché bisognava conoscere l’ora dell’ultimo pasto c non era stata presa la temperatura rettale la mattina del 24.10.2011, giorno del rinvenimento del cadavere, ma detta omissione non era più rimediabile d lo stomaco era, comunque, vuoto, perché solitamente esso viene esaminato e se ne preleva un campione. Quanto al richiesto esame sub ungueale, dal medesimo consulente L. era emerso che il corpo che è arrivato all’osservazione personale era stato piuttosto manipolato tutte le manipolazioni possibili, quindi il risultato dell’esame sub ungueale si sarebbe potuto contestare con estrema facilità perché i risultati ipoteticamente acquisibili avrebbero avuto un’attendibilità discutibile . Tanto premesso, la Corte di Assise di Sassari osservava che le argomentazioni difensive non consentivano di apprezzare in concreto né l’introduzione di effettivi elementi di novità, non dedotti o deducibili in precedenza, né una valutazione diversa di dati acquisiti o acquisibili. In particolare, ad avviso della Corte sarda, apparivano effettivamente indimostrate le seguenti circostanze di fatto 1 novità dei temi d’indagine proposti 2 novità del metodo introdotto rispetto ai risultati di prova già acquisiti nel giudizio di merito. Quanto al primo profilo, le deduzioni articolate non facevano che riproporre una diversa lettura critica di dati già acquisiti, per circostanziare in maniera diversa i fatti acclarati dal processo, in guisa tale da non risultare neppure idonee a produrre nuovi elementi fattuali. Quanto al secondo profilo, non poteva ritenersi sufficiente la possibilità di applicare una nuova metodologia scientifica peraltro neppure adeguatamente identificata nella specie, a fronte di quelle in precedenza esperite per proporre la revisione del processo e rovesciare così il giudicato formatosi, occorrendo, invece, specificare il diverso risultato che, con tale nuovo accertamento, avrebbe potuto essere conseguito. Opinare diversamente, ad avviso del giudice dell’esecuzione, avrebbe significato attribuire al nuovo mezzo tecnico-scientifico la capacità di revocare in dubbio ogni sentenza di condanna fondata su un accertamento peritale, o di natura tecnica, a prescindere dalla concreta possibilità del metodo di conseguire risultati diversi in tal modo, tuttavia, si sarebbe finito per attribuire alle nuove indagini difensive e, loro tramite, al conseguente giudizio di revisione, un’errata funzione di quarto grado di giudizio. Da tanto discendeva, in conclusione, che, in difetto dei presupposti della effettiva novità della questione proposta e della potenzialità del mezzo scientifico, in termini di astratta idoneità a pervenire a possibili risultati diversi, con un giudizio prognostico basato sulla concretezza dei risultati raggiungibili, le indagini difensive siccome richieste non potevano considerarsi ammissibili. 2. Avverso la suddetta ordinanza C.A. , per il tramite del difensore di fiducia, deduceva i seguenti motivi di ricorso. 2.1. Violazione degli artt. 391 bis e ss. e 630 cod. proc. pen Al giudice dell’esecuzione era preclusa ogni valutazione in punto di ammissibilità della eventuale richiesta di revisione che il condannato avrebbe potuto formulare, nel caso di accoglimento dell’istanza, all’esito delle indagini difensive esperite. La considerazione prognostica negativa circa la possibilità della revisione, posta dalla Corte territoriale a base del rigetto dell’incidente, non poteva, pertanto, considerarsi pertinente al thema decidendum e inficiava la decisione impugnata, rappresentando uno sconfinamento abnorme dai poteri del giudice. Richiamando un arresto di questa Corte di legittimità Sez. 1, n. 16798 dell’8/4/2008, Rv. 239581 in materia di poteri esercitabili dal giudice in casi analoghi a quello in esame, la difesa del ricorrente assumeva che la Corte di Assise di Sassari avrebbe dovuto necessariamente autorizzare le indagini richieste anche se fossero mancate le indicazioni relative a metodi scientifici idonei e innovativi, volti a sostenere le richieste medesime. Il fraintendimento in cui era incorsa la Corte territoriale aveva determinato il rigetto dell’istanza. 2.2. Manifesta illogicità della motivazione in relazione alla pretesa necessità di indicare già il risultato di indagini da espletare. Ad avviso del ricorrente, la richiesta difensiva di espletamento di indagini doveva necessariamente assumere un carattere incerto ed esplorativo , dal momento che la relativa fase doveva considerarsi prodromica a quella, successiva ed eventuale, della revisione del processo. Se vi fosse stata certezza dell’esito delle indagini, si sarebbe direttamente proposta istanza di revisione. 2.3. Mancanza della motivazione in relazione alla richiesta concernente l’esame dei reperti e la novità dei metodi scientifici indicati per le nuove indagini. Nessuna parola era stata spesa dalla Corte adita sulla richiesta di riesame dei reperti indicati con precisione e catalogati dai Carabinieri del RIS di Cagliari, ma mai analizzati a fazzoletto bianco di carta b orecchino fucsia, di materiale plastico, con sistema di chiusura rotto c lucchetto aperto marca Roncato d calza da donna 6 formazioni pilifere 7 ritagli di tessuto con traccia di natura verosimilmente biologica, prelevati da lenzuola e federe del letto della vittima 8 agendina di colore rosso BNL anno 2011. Tutti tali reperti risultavano prelevati dalla zona del letto in cui aveva operato l’assassino, sicché l’analisi degli stessi avrebbe avuto un’eccezionale valenza probatoria. Meramente apparente doveva considerarsi la motivazione in ordine alla omessa indicazione di nuove tecniche d’indagine, che, viceversa, la difesa aveva specificamente individuato a negli innovativi protocolli di luci forensi SUPERLITE S 04 , capaci di evidenziare tracce biologiche latenti b nel nuovo tampone swab per la raccolta del materiale biologico sub ungueale, prodotto dall’azienda COPAN, disponibile sul mercato dal 2013. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato perché infondato. 2. In via preliminare, va ribadito che, in materia di indagini difensive, qualora il mandato al difensore sia stato conferito per compiere attività investigativa preventiva, consistente nella ricerca ed individuazione di elementi di prova per l’eventuale promovimento del giudizio di revisione della sentenza di condanna, l’istanza - con la quale il difensore chiede l’autorizzazione al prelievo di campioni su reperti sequestrati ed in custodia dell’autorità giudiziaria - va proposta al giudice dell’esecuzione e non già al giudice che sarebbe competente per il giudizio di revisione, in quanto tale attività di indagine difensiva, consistente in una serie di operazioni tecnico scientifiche, risulta meramente prodromica alla eventuale presentazione dell’istanza di revisione Sez. 1, n. 1599 del 5/12/2006, dep. 19/1/2007, Confl. compet. in proc. Piemonte, Rv. 236236 . Correttamente, quindi, nel caso in esame, l’istanza di autorizzazione all’espletamento di indagini difensive è stata proposta alla Corte di Assise di Sassari, in funzione di giudice dell’esecuzione. Il giudice adito ha rigettato l’istanza, non ritenendola supportata dalla proposizione di temi d’indagine effettivamente nuovi non dedotti o deducibili in precedenza e dalla novità del metodo introdotto rispetto ai risultati di prova già acquisiti nel giudizio di merito a quest’ultimo riguardo, la Corte sarda ha stigmatizzato la mancata indicazione dello specifico diverso risultato al quale, con i nuovi accertamenti, si sarebbe pervenuti. 3. Ciò posto, è indubbio che, ai fini del decidere, le questioni da risolvere, in diritto, attengono, da un lato, ai limiti che circoscrivono i poteri del giudice al quale viene richiesta l’autorizzazione de qua, dall’altro, ai requisiti contenutistici dell’istanza. 3.1. Quanto al primo profilo, appare subito necessario spendere opportuni chiarimenti riguardo al preciso significato, spesso frainteso, della pronuncia emessa da Sez. 1, n. 16798 dell’8/4/2008, Piemonte, Rv. 239581, richiamata dalla difesa del ricorrente a sostegno della richiesta di annullamento del provvedimento impugnato. La massima estrapolata dalla citata decisione recita che il giudice dell’esecuzione, competente a decidere sull’istanza con la quale il condannato, a mezzo del proprio difensore, chieda l’autorizzazione al prelievo di campioni da reperti tuttora in giudiziale sequestro, onde utilizzarli per indagini difensive in vista di una eventuale richiesta di revisione, non può negare la suddetta autorizzazione . La modalità perentoria con la quale è stato espresso il principio appena richiamato, interpretata dal ricorrente nel senso che il giudice dell’esecuzione debba, comunque, rilasciare l’autorizzazione richiesta, tradisce, tuttavia, il reale significato della citata decisione, di cui, quindi, vale la pena riportare integralmente il considerato in diritto . Il ricorso è, nei termini che seguono, fondato. La reiezione della istanza è inficiata da un duplice errore di diritto in cui è incorso il giudice della esecuzione. In primo luogo, questa Corte, nella sentenza regolatrice del precedente conflitto di competenza tra giudice dell’esecuzione e giudice della revisione, n.d.e. , ha stabilito il giudice della esecuzione dovrà decidere sulla ammissibilità e fondatezza della istanza autorizzatoria avanzata dal difensore di Piemonte, sulla base dei parametri normativi offerti dall’articolo 391-nonies C.P.P. per lo svolgimento di attività investigativa preventiva . Il quadro normativo di riferimento, per la decisione dell’incidente, resta pertanto costituito dalle disposizioni sulle investigazioni difensive e, ovviamente, da quelle del codice di rito, delle relative disposizioni di attuazione e del testo unico sulle spese di giustizia in materia di destinazione delle cose sequestrate. È, pertanto, estranea ogni valutazione in punto di ammissibilità della ipotetica richiesta di revisione che eventualmente, nel caso di accoglimento della istanza, il condannato potrebbe formulare, all’esito delle indagini difensive esperite sui campioni dei materiali biologici, tuttora in sequestro. La considerazione della negativa delibazione della possibilità della revisione, posta dalla Corte territoriale a base del rigetto dell’incidente, non è pertinente al tema decidendum e inficia la decisione del giudice a quo. In secondo luogo la preclusione del giudicato, à termini dell’articolo 649 C.P.P., non involge le statuizioni del giudice della cognizione in punto di ammissione della prova sicché la intervenuta reiezione, nel corso del giudizio, della istanza difensiva di perizia biologica su campioni del tessuto osseo in sequestro finalizzata all’accertamento della identità della vittima non pregiudica, di per sé sola, la ammissibilità della istanza del condannato di ottenere dal giudice della esecuzione la consegna di alcuni campioni per espletare indagini difensive. Conseguono alle considerazioni che precedono l’annullamento della ordinanza impugnata e il rinvio alla Corte di assise di appello di Salerno, per nuovo esame, nei sensi già indicati da questa Corte con la sentenza regolatrice della competenza, sulla base dei parametri normativi testé precisati e previa instaurazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli interessati, compresi, tra essi, i prossimi congiunti della persona al cui cadavere sono stati attribuiti i resti in sequestro, sì da assicurare l’esercizio dei diritti che la legge loro riconosce v. Cass., Sez. II Civ., 4 aprile 1978, n. 1527, massima n. 390904 Sez. I Civ., 11 dicembre 1987, n. 9168, massima n. 456395 Sez. I Civ., 13 marzo 1990, n. 2034, massima n. 465871 . 3.1.1. Dalla lettura del brano trascritto è agevole inferire che due sono i principi affermati, nell’occasione, da questa Corte 1 non è consentito al giudice dell’esecuzione, adito per il rilascio dell’autorizzazione a svolgere attività investigativa preventiva, effettuare una negativa delibazione della possibilità della revisione 2 la preclusione del giudicato, ai sensi dell’articolo 649 cod. proc. pen., non involge le statuizioni del giudice della cognizione in punto di ammissione della prova. Al contrario, non è esatto inferire dal passaggio motivazionale trascritto che il giudice dell’esecuzione adito non possa che rilasciare l’autorizzazione, come sembrerebbe evincersi da una non convincente massimazione. Un’interpretazione del genere, così radicale, non sarebbe in ogni caso proponibile, perché negherebbe in radice la stessa ragion d’essere del concetto di autorizzazione , che mai potrebbe farsi coincidere con quello di atto dovuto . 3.2. Detto questo, appare evidente al Collegio che la delimitazione dei poteri del giudice nella fase d’interesse non può che essere strettamente correlata ai requisiti di cui dev’essere munita l’istanza per poter essere presa in considerazione in senso favorevole. La prima considerazione da fare è che l’attività investigativa preventiva richiesta determina, per il necessario rispetto del principio del contraddittorio, il coinvolgimento del Pubblico Ministero e della struttura giudiziaria nel suo complesso, con i correlati oneri economici per lo Stato, sicché non è consentito ritenere che essa si possa svolgere senza nessun controllo e che tale potere sia esercitabile ad libitum lasciando la parte libera in ogni momento di instare per il compimento delle indagini che stimi utili. Si deve, quindi, giocoforza, affermare che spetta alla parte dedurre la decisività dello specifico atto di indagine difensiva richiesto e l’utilità che si mira a conseguire attraverso l’esercizio del diritto in termini, Sez. 1, n. 39754 del 21/7/2017, Camassa, n.m. . Ciò in un’ottica non dissimile da quanto previsto dall’art. 410 cod. proc. pen. che, a pena di inammissibilità, per la prosecuzione delle indagini preliminari richiede che l’oggetto di esse presenti particolari condizioni di concretezza e specificità L’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero può ritenersi idonea a legittimare l’intervento della persona offesa dal reato nel procedimento e quindi ad instaurare il contraddittorio nel previsto rito camerale , in quanto contenga quegli elementi di concretezza e di specificità previsti tassativamente dall’art. 410, primo comma, cod. proc. pen., consistenti nell’indicazione dell’oggetto delle indagini suppletive e dei relativi elementi di prova che devono caratterizzarsi per la pertinenza cioè la inerenza rispetto alla notizia di reato e la rilevanza cioè l’incidenza concreta sulle risultanze dell’attività compiuta nel corso delle indagini preliminari Sez. U, n. 2 del 14/2/1996, P.C. in proc. Testa ed altri, Rv. 204133 Sez. 3, n. 16551 del 3/11/2016 - dep. 3/4/2017, P.O. in proc. Criscuolo, Rv. 269693 nella motivazione di quest’ultima, si è osservato che l’onere di indicazione posto a carico della persona offesa dall’art. 410, comma primo, cod. proc. pen., è funzionale a consentire al giudicante di sfrondare il procedimento da richieste non serie o meramente esplorative, che sottoporrebbero l’indagato ad un inutile aggravio della sua posizione processuale . Non possono reputarsi consentite, invece, quelle investigazioni che appaiano, all’evidenza, superflue o inidonee a determinare modificazioni sostanziali del quadro probatorio così, da ultimo, Sez. 5, n. 13400 del 12/1/2016, Rampani, Rv. 266664 , così come, sempre sotto un profilo sistematico generale, non può ritenersi ammissibile la finalità meramente esplorativa della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello Sez. 3, n. 42711 del 23/6/2016, H., Rv. 267974 , del sequestro probatorio Sez. 3, n. 24561 del 17/5/2012, Vicentini e altri, Rv. 252767 e della convalida del sequestro probatorio Sez. 1, n. 29933 dell’11/3/2004, De Marzo, Rv. 229250 . È stato, anche, condivisibilmente, affermato, sul tema oggetto di ricorso, che, siccome l’istituto della revisione non si configura come un’impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo, definitivamente concluso, non è stato rilevato o non è stato dedotto, bensì costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti della cosa giudicata dando priorità alle esigenze di giustizia sostanziale rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici, la risoluzione del giudicato non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o un’inedita disamina del deducibile il giudicato, infatti, copre entrambi , bensì l’emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli definiti nel processo ne deriva che non può costituire prova nuova un elemento già esistente negli atti processuali, ancorché non conosciuto o valutato dal giudice per mancata deduzione o mancato uso dei poteri d’ufficio Sez. 1, n. 42850 del 18/5/2017, Cinà, n.m. Sez. 2, n. 7111 del 2/12/1998, Rv. 212267 Sez. 3, n. 28358 del 30/3/2016, Rv. 267531 . 4. Alla stregua dei richiamati principi, deve ritenersi corretta la decisione cui è approdata la Corte di Assise di Sassari, la quale ha, da un lato, negato il carattere di novità degli accertamenti richiesti in base alla non allegata emergenza di elementi estranei e diversi da quelli definiti nel processo, e, dall’altro, ha stigmatizzato il carattere sostanzialmente esplorativo della richiesta per la mancata indicazione, da parte dell’istante, alla luce della prospettazione di nuove metodologie scientifiche da applicare negli accertamenti suddetti, di un diverso specifico risultato cui, tramite siffatte nuove metodologie, sarebbe stato possibile pervenire. Il giudice dell’esecuzione, in particolare, ha condiviso - con ragionamento logico che non viene confutato in ricorso - le considerazioni svolte dal consulente tecnico del P.M. escusso in contraddittorio dott. L.F. , il quale ha spiegato in modo lineare le ragioni della superfluità e inutilità degli esami richiesti esame del contenuto gastrico e quello sub ungueale delle mani della vittima nei termini riportati nella parte del ritenuto in fatto par. 1. , che qui si intendono richiamati. Tali argomentazioni non sono state censurate dal ricorrente sul piano della legittimità, essendosi il ricorrente doluto, oltre che dello sconfinamento abnorme del giudice dell’esecuzione nella valutazione prognostica negativa circa la possibilità della revisione, della manifesta illogicità della motivazione in relazione alla pretesa necessità di indicare già il risultato delle indagini da espletare. Le censure sono infondate. Il ragionamento del giudice dell’esecuzione si è, infatti, arrestato laddove ha motivatamente ritenuto, in sintonia con il consulente del P.M., superflui e, ormai, inutili gli accertamenti richiesti in funzione della revisione del processo. D’altro canto, nessuna illogicità manifesta risiede nella valutazione critica della mancata indicazione, da parte dell’istante, dello specifico, diverso risultato cui l’accertamento richiesto sarebbe approdato, in quanto trattasi di valutazione coerente con i principi, anche di ordine sistematico, poc’anzi richiamati, che negano l’ammissibilità a una richiesta istruttoria meramente esplorativa , ossia ad una richiesta del tutto sprovvista, come nella specie, della allegazione di elementi circostanziali specifici capaci di orientare le indagini nella direzione di una decisiva modifica del quadro probatorio cristallizzato nel giudizio di cui si chiede la revisione. 5. Va, in conclusione, affermato il seguente principio di diritto Il giudice dell’esecuzione, chiamato a decidere sull’istanza con la quale il condannato, a mezzo del proprio difensore, chieda l’autorizzazione a svolgere attività investigativa finalizzata a richiesta di revisione, ai sensi dell’art. 327-bis, cod. proc. pen., legittimamente perviene a decisione di rigetto, nei casi in cui si tratti di istanze meramente esplorative ovvero mirate ad accertamenti che appaiano, all’evidenza, superflui o inidonei a determinare modificazioni sostanziali del quadro probatorio . Le ulteriori censure restano assorbite. 6. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.