Per la non cumulabilità con la riparazione per ingiusta detenzione occorre realizzata una legittima e diversa causa di revoca dell’indulto

L’applicazione della disciplina della fungibilità per custodia cautelare o pena espiata senza titolo, ai sensi dell’art. 657, comma 3, c.p.p., postula l’esistenza di una pena da eseguire, quale non è la pena dichiarata estinta per indulto conseguentemente essa non giustifica, in caso di coevo procedimento di riparazione per ingiusta detenzione derivante dalla restrizione subita senza titolo, la riduzione d’ufficio del beneficio dell’indulto, pertinente a diverso titolo, nei limiti della misura di pena riconosciuta in fungibilità, in assenza di cause di revoca del medesimo beneficio.

Sulla base del suindicato principio di diritto, la Suprema Corte sentenza n. 43231/18, depositata il 1° ottobre annulla con rinvio l’ordinanza della Corte di Appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, che aveva revocato al ricorrente l’indulto di anni due precedentemente concesso, rideterminandolo in dieci giorni. Ciò in quanto il condannato aveva subito per altro reato una custodia cautelare sine titulo di anni 1, mesi 11 e giorni 20 di reclusione espiata dopo la commissione del reato rispetto al quale va determinata la pena da scontare, ai sensi dell’art. 657 c.p.p. , essendo stato poi stato assolto e in ordine alla quale aveva presentato richiesta di riparazione per ingiusta detenzione. La Procura generale richiedente e la Corte territoriale avevano ritenuto applicabile alla fattispecie il principio della non cumulabilità dei benefici della fungibilità e della riparazione per ingiusta detenzione. La finalità della fungibilità. Il ricorrente contesta tale fungibilità del periodo di privazione della libertà sine titulo con un periodo virtuale i detenzione derivante dalla irrogazione di una pena in concreto non eseguibile, in quanto estinta da un provvedimento di clemenza collettiva. La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso, ricordando anzitutto la ratio della fungibilità essa può avere ad oggetto sia il periodo di custodia cautelare subito per il reato, per il quale vi è stata irrogazione della pena, sia custodia o la pena patita per altro reato, a condizione che queste siano state subite in epoca successiva alla data di commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena detentiva da eseguire. In caso contrario – qualora la detenzione sofferta preceda la commissione del reato – si verificherebbe l’assurda situazione di un bonus preventivo di mancata carcerazione per futuri reati commessi, finendo per incentivare la consumazione successiva di azioni criminose. Alternatività tra ingiusta detenzione e sua ottenuta riparazione. Gli Ermellini ricordano che la posizione dominate in sede di legittimità esclude che, qualora un periodo di custodia cautelare ingiustamente sofferta sia stata ottenuta la riparazione prevista dall’art. 314 c.p.p., lo stesso periodo non può essere computato a titolo di fungibilità sulla pena da espiare per altro reato. Smentita dalle Sezioni Unite. In verità, per stessa ammissione della presente pronuncia, le Sezioni Unite hanno invece riconosciuto, in generale e senza individuare limitazioni, l'applicabilità del beneficio della fungibilità, anche se il condannato abbia ottenuto la riparazione per l'ingiusta detenzione n. 31416/08 . Tale conclusione passa da un attento esame della piattaforma normativa, data dall’esegesi degli artt. 657 e 314 c.p.p. ed al collegamento tra le due norme. L’art. 657 c.p.p. sancisce che il pubblico ministero nel determinare la pena da eseguire computa il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per un altro reato quest'ultimo dettato non lascia adito a dubbi il pubblico ministero, preso atto di un periodo di privazione della libertà a titolo di custodia cautelare deve operare la detrazione, unico limite essendo rappresentato dalla circostanza che la misura sia stata subita dopo la commissione del reato per il quale va determinata la pena da eseguire. Il computo in questione costituisce dunque una regola imprescindibile e della stessa occorre tenere conto in materia di riparazione. Nella evidenziata ottica va letto l’art. 314, comma 4, c.p.p. il quale prevede che il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della misura di una pena e il riferimento è da intendersi come se fosse detto per quella parte che deve essere computata proprio tale disposizione vale a confermare l'inderogabilità richiamata e l'assenza di ogni discrezionalità nella applicazione della fungibilità i due istituti non sono dunque alternativi e non può con riguardo ai medesimi parlarsi di scelta, essendo destinato a prevalere quello contemplato dall’art. 657 c.p.p Privilegiare la libertà personale. Il contesto normativo, così interpretato, ha una ben precisa ratio la quale consiste nel privilegiare in via diretta il bene primario nonché indisponibile della libertà, rendendo legittimo un determinato periodo di detenzione, che originariamente non lo era, così escludendo che l'interessato debba scontare la pena detentiva per un ulteriore pari lasso temporale. La fungibilità, costituendo una reintegrazione in forma specifica, ha invero una ben maggior valenza rispetto ad una riparazione di carattere patrimoniale, la quale monetizzando il sacrificio di una libertà inviolabile ne costituisce un pallido rimedio Corte Cost. n. 219/08 . È quindi indubbio che l'interessato il quale abbia ottenuto la riparazione esercitando la relativa domanda in un momento nel quale mancava il presupposto della fungibilità ossia una sanzione detentiva da eseguire , ha diritto alla detrazione di cui all’art. 657, comma 2, c.p.p. quando intervenga successivamente una condanna definitiva ad una pena di durata non inferiore a quella della custodia cautelare sofferta ma questo diritto va riconosciuto anche nel caso in cui la riparazione sia stata invocata e concessa, pur ricorrendo la possibilità dello scomputo ciò perché non sarebbe configurabile una realizzata scelta o rinuncia da parte del condannato, bensì un'illegittima iniziale omissione del pubblico ministero. L’errore di diritto la fungibilità non può integrare causa autonoma di revoca dell’indulto. Pur rimanendo nella diversa prospettiva della non cumulabilità dei benefici della fungibilità e della riparazione per ingiusta detenzione, i giudici di legittimità ritengono che la declaratoria di fungibilità non è automatica ma presuppone la sopravvenuta revoca della condanna, amnistia o indulto. L’errore in cui è caduta la Corte territoriale è quello di ritenere la fungibilità come causa autonoma di revoca d’ufficio del già concesso indulto, occorrendo invece che si sia realizzata prima” una legittima causa di revoca dell’indulto. Tale controllo viene demandato al giudice de rinvio dopo l’annullamento operato dalla Suprema Corte.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 febbraio – 1 ottobre 2018, n. 43231 Presidente Mazzei – Relatore Esposito Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 18/06/2015 la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha revocato l’indulto, precedentemente concesso in favore di E.G. nella misura di anni due di reclusione ed Euro seicento di multa, e ha rideterminato l’entità del beneficio in giorni dieci di reclusione ed Euro duemila-sessantacinque/83 di multa. E.G. aveva riportato le seguenti condanne a sentenza della Corte di appello di Napoli dell’08/11/2005, irrevocabile il 24/05/2006, di condanna alla pena di anni due di reclusione ed Euro seicento di multa per il reato di cui all’art. 648 cod. pen., commesso il 23/02/1998 - pena integralmente condonata con ordinanza della Corte di appello di Napoli del 27/02/2007 b sentenza del Tribunale di Napoli del 23/05/1996, irrevocabile il 18/09/1996, di condanna alla pena di anni uno di reclusione ed Euro duemilasessantacinque/83 di multa per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, commesso il 20/11/1995 - pena sospesa. Con precedente provvedimento di determinazione di pene concorrenti del 18/02/2008, la Procura generale presso la Corte di appello di Napoli aveva chiesto la revoca del beneficio della sospensione condizionale concessa con la sentenza sub b , con contestuale applicazione dell’indulto sulla pena con la stessa inflitta. E. era stato sottoposto a custodia cautelare dal 19/11/1999 all’08/11/2001 pari ad anni uno, mesi undici e giorni venti di reclusione , per reato per il quale era stato definitivamente prosciolto e in ordine al quale aveva avanzato richiesta di riparazione per ingiusta detenzione. Nell’ambito di tale procedura la Corte di appello aveva investito la Procura generale della richiesta di attribuzione del presofferto alla pena espianda e già dichiarata condonata di cui al provvedimento di cumulo suindicato. La Procura, quindi, aveva chiesto la revoca dell’indulto nella misura di anni uno, mesi undici e giorni dieci di reclusione e la rideterminazione del beneficio in giorni dieci di reclusione ed Euro duemilasessantacinque/83 di multa. Con l’ordinanza impugnata è accolta la richiesta della Procura, rilevandosi che il beneficio dell’indulto deve essere concesso sulla pena da espiare, dopo aver detratto la carcerazione sofferta anche per altro reato, purché la custodia cautelare sine titulo sia subita o la pena sine titulo sia espiata dopo la commissione del reato, per il quale deve essere determinata la pena da eseguire, nel rispetto del principio fissato dall’art. 657 cod. proc. pen Il giudice dell’esecuzione ha escluso che tale meccanismo leda gli interessi del condannato, non potendosi ritenere ingiusta la detenzione decurtabile e decurtata della misura della pena subita senza titolo, né pregiudizievole il correlato ridimensionamento della misura del beneficio indulgenziale, del quale il condannato astrattamente avrebbe potuto ancora usufruire, da contenere nei limiti del residuo dopo la detrazione della pena sofferta senza titolo. 2. E. , a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per Cassazione avverso la suindicata ordinanza, per violazione di legge e vizio di motivazione, in riferimento agli artt. 657 e 672 cod. proc. pen Si deduce che non è fungibile un periodo di privazione della libertà sine titulo con un periodo virtuale di detenzione derivante dalla irrogazione di una pena in concreto non eseguibile, in quanto estinta da un provvedimento di clemenza collettiva dello Stato. Si sostiene che, all’atto della concessione del beneficio dell’indulto, era evidente e noto il pregresso periodo di custodia cautelare subito dal condannato, opzionabile per la fruizione della fungibilità ex art. 657 cod. proc. pen Considerato in diritto Il ricorso è fondato. 1. In linea generale va premesso che, secondo il combinato disposto dei commi 1, 2 e 4 dell’art. 657 cod. proc. pen., nello stabilire la pena detentiva irrogata con una sentenza di condanna da eseguire, il pubblico ministero deve considerare non solamente il periodo di custodia cautelare subito per il reato, per il quale vi è stata quella irrogazione di pena, ma anche il periodo di applicazione della custodia cautelare o di esecuzione di pena patita per un altro reato, laddove la limitazione della libertà sia rimasta sine titulo ad esempio perché la condanna non è poi intervenuta o perché è stata revocata, oppure il reato è stato dichiarato estinto per amnistia o è stato concesso indulto , a condizione che tali custodia o pena siano state subite in epoca successiva alla data commissione del reato, per il quale deve essere determinata la pena detentiva da eseguire. La ratio di tale disposizione è illustrata nella Relazione governativa di accompagnamento al d.P.R. n. 447 del 1988 di approvazione del codice di procedura penale, nella parte in cui è sottolineato che, sotto l’aspetto cronologico, l’operatività dell’istituto della fungibilità era stata limitata con un meccanismo” - analogo a quello già regolato dall’art. 271, ult. comma, del codice abrogato - con il quale si era voluto ribadire che la detenzione sofferta a vuoto deve seguire e non precedere la commissione del reato, perché in caso contrario si verificherebbe l’assurda situazione di un periodo di carcerazione preventiva che costituisce una sorta di futura immunità da carcerazione per l’interessato. In altre parole, il recupero della detenzione ingiustamente sofferta deve funzionare come correttivo alle disfunzioni della macchina giudiziaria e compensazione dell’ingiusta detenzione, ma non certo come incentivo alla commissione successiva di azioni criminose . La Corte di cassazione, con un orientamento nettamente prevalente, ha sostenuto che, qualora per un periodo di custodia cautelare ingiustamente sofferta sia stata ottenuta la riparazione pecuniaria prevista dall’art. 314 cod. proc. pen., lo stesso periodo non può essere computato a titolo di fungibilità sulla pena da espiare per altro reato si desume, infatti, dal disposto di cui all’art. 314, comma 4, cod. proc. pen. secondo cui il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della pena da eseguire l’alternatività tra il suddetto istituto e quello della fungibili-tà, previsto dall’art. 657 cod. proc. pen., per cui è rimessa all’interessato la facoltà di scegliere quello del quale avvalersi e ciò anche al fine di evitare l’ingiustificata disparità di trattamento che, altrimenti, si verificherebbe fra chi, avendo ottenuto la fungibilità, non potrebbe ottenere la riparazione e chi, invece, avendo ottenuto la riparazione, avrebbe diritto anche alla fungibilità Sez. 1, n. 10366 del 11/02/2004, Mitidieri, Rv. 227230 Sez. 1, n. 3488 del 10/05/1999, Aversa, Rv. 214644 . Tale orientamento è stato parzialmente posto in discussione dalle Sezioni unite di questa Corte, per le quali, ai fini della determinazione della pena da eseguire, vanno computati anche i periodi di custodia cautelare relativi ad altri fatti, per i quali il condannato abbia già ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, stante la inderogabilità della disciplina dettata dall’anzidetta disposizione normativa e dovendosi escludere l’esistenza di una facoltà di scelta, da parte dell’interessato pur quando ne sussisterebbe la possibilità, attesa la già intervenuta esecutività della sentenza di condanna all’atto della richiesta di riparazione , tra il ristoro pecuniario di cui all’art. 314 cod. proc. pen. e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta, fermo restando che, al fine di evitare che l’interessato consegua una indebita locupletazione, il giudice investito della richiesta di riparazione può sospendere il relativo procedimento, ove gli risulti l’esistenza di una condanna non ancora definitiva a pena dalla quale possa essere scomputato il periodo di custodia cautelare cui la detta richiesta si riferisce, e che, ove la somma liquidata a titolo di riparazione sia stata già corrisposta, lo Stato può agire per il suo recupero esperendo l’azione di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 cod. civ. Sez. U, n. 31416 del 10/07/2008, Cascio, Rv. 240113 . 2. Nel caso in esame, su richiesta della locale Procura generale, la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rideterminato la misura dell’indulto concesso all’interessato, tenuto conto della modifica del computo della pena da espiare, effettuata dalla Procura generale, che ha ricalcolato la sanzione applicando la fungibilità per un presofferto senza titolo, segnalato dalla stessa Corte di appello di Napoli nell’ambito di procedimento ex art. 314 cod. proc. pen. promosso dallo stesso interessato. La Corte territoriale ha ritenuto di imputare l’indulto solo al quantum di pena ancora da espiare, dopo la detrazione del periodo di custodia cautelare sofferta senza titolo da E.G. . Nella requisitoria scritta la Procura generale presso questa Corte - richiamando i. principi in materia riportati al par. 1 - ha rilevato che, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, non sussiste un interesse del condannato ad ottenere il condono della pena secondo i calcoli originari del giudice dell’esecuzione ignaro dell’esistenza di un presofferto fungibile e contemporaneamente un risarcimento del danno per ingiusta detenzione per altro titolo ex art. 314 cod. proc. pen La Corte territoriale e la Procura generale - che condivide l’impostazione del provvedimento impugnato - ritengono applicabile alla fattispecie il principio della non cumulabilità dei benefici della fungibilità e della riparazione per ingiusta detenzione. 3. La fattispecie in questione, tuttavia, presenta caratteri peculiari, che non consentono di inquadrarla nell’ambito dei casi che hanno dato luogo all’affermazione dei principi generali enunciati al par. 1. Va premesso che l’art. 657, comma 3, cod. proc. pen. stabilisce . il condannato può chiedere al pubblico ministero che i periodi di custodia cautelare e di pena detentiva espiata, operato il ragguaglio, siano compuntati per la determinazione della pena pecuniaria o della sanzione sostitutiva da eseguire . . Occorre però precisare che la declaratoria di fungibilità di cui all’art. 657 cod. proc. pen. non è automatica né necessariamente contestuale all’ordine di esecuzione e desumibile dal relativo fascicolo, ma va disposta con distinto decreto e discende da una autonoma valutazione, che investe la custodia cautelare subita non solo per gli stessi fatti, ma anche per reati diversi, nonché pene espiate per altri fatti, quando sia sopravvenuta revoca della condanna, amnistia o indulto, e può, a richiesta dell’interessato, operare su sanzioni pecuniarie o sostitutive, anziché su quelle detentive Sez. 1, n. 4503 del 20/06/2000, Degni, Rv. 216921 . L’istituto della fungibilità, quindi, deve ritenersi applicabile qualora si sia realizzata una legittima causa di revoca dell’indulto, che determini una pena da eseguire, e non può integrare una causa autonoma di revoca del già concesso beneficio dell’indulto, operativa ex officio, come ritenuto nel caso in esame. Nella vicenda in oggetto, dalla lettura del provvedimento impugnato non si rinviene una pena da eseguire nei termini di cui all’art. 657, comma 3, cit., e non emergono le ragioni per le quali il giudice dell’esecuzione ha sostanzialmente disposto la revoca dell’indulto operazione denominata dall’organo giudicante come rideterminazione del beneficio del condono , ricalcolato in misura ridotta rispetto a quella originariamente stabilita . 4. L’ordinanza impugnata va di conseguenza annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Napoli, affinché emetta un nuovo provvedimento nel rispetto del seguente principio di diritto L’applicazione della disciplina della fungibilità per custodia cautelare o pena espiata senza titolo, ai sensi dell’art. 657, comma 3, cod. proc. pen., postula l’esistenza di una pena da eseguire, quale non è la pena dichiarata estinta per indulto conseguentemente essa non giustifica, in caso di coevo procedimento di riparazione per ingiusta detenzione derivante dalla restrizione subita senza titolo, la riduzione d’ufficio del beneficio dell’indulto, pertinente a diverso titolo, nei limiti della misura di pena riconosciuta in fungibilità, in assenza di cause di revoca del medesimo beneficio . Segue l’annullamento del provvedimento impugnato che non si è attenuto al predetto principio con rinvio degli atti per nuovo esame alla Corte di appello di Napoli che applicherà correttamente la disciplina in materia come sopra enunciata, verificando l’eventuale esistenza di legittima causa di revoca dell’indulto determinante pena da eseguire e, in mancanza di titolo con sanzione da eseguire suscettibile di computo ex art. 657, comma 3, cod. proc. pen., riattivi il procedimento di riparazione per ingiusta detenzione a norma degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen., già pendente davanti alla stessa Corte di appello di Napoli. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Napoli.