Figlie irrispettose della cultura del padre: no alle punizioni corporali

Definitiva la condanna di un uomo, originario della ex Jugoslavia e padre di due ragazze. Le violenze fisiche e morali ai danni delle figlie sono catalogate come maltrattamenti in piena regola e non come mero abuso dei mezzi di correzione. Irrilevante anche il richiamo difensivo alle tradizioni del Paese di origine del genitore.

Basta con i padri-padroni. Sì all’autorevolezza del genitore, no al suo autoritarismo, a maggior ragione se esso si manifesta con violenze fisiche e morali a danno della prole. Confermata perciò in Cassazione la condanna per un uomo, originario dell’ex Jugoslavia, colpevole di avere maltrattato le figlie che, a suo dire, tenevano comportamenti non consoni e frequentavano ragazzi”. Irrilevante il richiamo difensivo alla cultura del Paese d’origine questo dato, secondo i giudici, non giustifica, né rende meno gravi, i comportamenti tenuti dal padre Cassazione, sentenza numero 43283, sezione sesta penale, depositata oggi . Condotta. Riflettori puntati su un padre troppo manesco. L’uomo finisce sotto processo con l’accusa di maltrattamenti ai danni delle due figlie. E gli elementi probatori a disposizione dei giudici – inclusa la testimonianza dell’assistente sociale – sono ritenuti sufficienti per arrivare a una condanna in appello, comunque, la pena fissata in Tribunale viene ridimensionata, e ridotta a quattordici mesi di reclusione . Il difensore del genitore contesta però la pronuncia di colpevolezza, ritenendo illogico parlare di maltrattamenti in famiglia e sostenendo sia più corretto leggere i comportamenti del suo cliente come mero abuso dei mezzi di correzione . In sostanza, secondo il legale, non solo è evidente l’episodicità della condotta, mancando gli elementi dell’abitualità e della sistematicità dei comportamenti vessatori e lo stato di sudditanza e di disagio continuo delle figlie , ma allo stesso tempo è chiara la finalità del genitore di esercitare lo ius corrigendi , a fronte dei comportamenti non consoni delle ragazze alla propria cultura e della loro scelta di frequentare ragazzi . Violenza. Ogni considerazione finalizzata a rendere meno grave la posizione del genitore si rivela assolutamente inutile. Per i giudici della Cassazione, difatti, non è in discussione il fatto che l’uso sistematico della violenza quale ordinario trattamento del minore, anche ove sostenuto da animus corrigendi non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizzi gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti , una volta accertato, come in questo caso, il ricorso reiterato e abituale alla violenza, sia psicologica che fisica , da parte del genitore, così da determinare uno stato di sofferenza nella vittima . Logico, quindi, secondo i magistrati, parlare di maltrattamenti , alla luce dei reiterati atti di violenza fisica spinte, schiaffi, calci, pugni e strette al collo e morale rivolgendo parole gravemente offensive del padre in danno delle figlie, quale risposta ‘correttiva’ al fatto che le ragazze tenevano comportamenti ritenuti non consoni con la propria cultura o frequentassero ragazzi . Ineccepibile perciò la condanna dell’uomo, che ha fatto sistematico ricorso alla violenza in danno delle figlie. Irrilevante, osservano i giudici, il fatto che il comportamento gravemente vessatorio fosse asseritamente giustificato da malintese finalità educative . E su quest’ultimo fronte arriva dai magistrati un’ulteriore importante considerazione legittima la valutazione compiuta in secondo grado, laddove sono stati respinti i richiami difensivi alla concezione dei rapporti padre-figli e al metodo educativo diffusi nel Paese di provenienza dell’uomo , poiché non può tenersi in alcuna considerazione la circostanza che gli atti vessatori siano compatibili con un intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui il genitore sia portatore , concludono i giudici della Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 3 luglio – 1 ottobre 2018, n. 43283 Presidente Di Stefano – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe la Corte d'appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del 3 novembre 2004 del Tribunale di Firenze, ha rideterminato in un anno e due mesi di reclusione la pena inflitta in primo grado a Zo. Pu. per il reato di maltrattamenti in famiglia in danno delle due figlie Pu. Na. ed Em 2. Zo. Pu. ricorre avverso il provvedimento con atto a firma del difensore e ne chiede l'annullamento per i seguenti motivi 2.1. contraddittorietà della motivazione per contrasto tra il testo del provvedimento impugnato e gli atti del processo segnatamente le trascrizioni della fonoregistrazione dell'udienza del 12 maggio 2014 e conseguente errata qualificazione giuridica della fattispecie ai sensi dell'art. 572 cod. pen. 2.2. errata applicazione della legge penale in ordine alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell'art. 572 cod. pen., là dove fanno difetto, da un lato, gli elementi dell'abitualità e della sistematicità dei comportamenti vessatori, dall'altro lato, lo stato di sudditanza e di disagio continuo della vittima, dovendosi piuttosto ravvisare nella specie il reato di cui all'art 571 cod. pen., giusta l'episodicità della condotta e la finalità di esercitare lo ius corrigendi. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito esposte. 2. Tutto sviluppato sul piano del fatto è il primo motivo col quale Zo. Pu., nel denunciare l'erronea qualificazione giuridica, a ben vedere sollecita una lettura delle emergenze processuali - in particolare delle trascrizioni della fonoregistrazione dell'udienza del 12 maggio 2014 - diversa da quella seguita dai giudici della cognizione e stimata più plausibile. Con ciò promuovendo un'operazione non consentita in questa Sede, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere l'iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificare la completezza e l'insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilità di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 . 2.1. Ad ogni modo, in caso di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale /probatorio, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosìddetta doppia conforme e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774 . 2.2. E ciò a tacer della totale genericità del rilievo, là dove la difesa non ha enucleato gli specifici profili oggetto di travisamento. 3. All'evidenza destituito di fondamento è il secondo motivo, col quale la difesa si duole dell'erronea applicazione dell'art. 572 cod. pen. in luogo dell'art. 571 cod. pen. 3.1. In linea generale occorre rilevare come costituisca principio di diritto ormai pacifico che l'uso sistematico della violenza quale ordinario trattamento del minore, anche ove sostenuto da animus corrigendi, non possa rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizzi, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti ex plurimis Sez. 6, n. 53425 del 22/10/2014, P.M. in proc. B., Rv. 262336 Sez. 6, n. 11956 del 15/02/2017, B, Rv. 269654 . Ciò ovviamente a condizione che sussistano gli elementi costituitivi tipici del reato di previsto dall'art. 572 cod. pen., id est il ricorso reiterato e abituale alla violenza, sia psicologica che fisica, idoneo a determinare uno stato di sofferenza nella vittima. 3.2. Di tali condivisibili principi ha fatto puntuale applicazione il Collegio del gravame nel confermare la condanna inflitta in primo grado all'imputato per il reato di maltrattamenti. In primo luogo, ha rilevato come, sulla scorta della puntuale ricostruzione storico fattuale compiuta alla luce delle credibili e convergenti dichiarazioni delle persone offese nonché dei testimoni testi operanti e assistente sociale , debbano ritenersi provati reiterati atti di violenza fisica spinte, schiaffi, calci, pugni e strette al collo e morale rivolgendo parole gravemente offensive dell'imputato in danno delle figlie, quale risposta correttiva al fatto che le ragazze tenessero comportamenti ritenuti non consoni con la propria cultura o frequentassero ragazzi. Sulla scorta di tale argomentata ricostruzione in fatto, la Corte d'appello ha ineccepibilmente sussunto la fattispecie concreta nell'ipotesi dei maltrattamenti, stante il sistematico ricorso alla violenza in danno delle minori, a nulla rilevando il fatto che il comportamento gravemente vessatorio fosse asseritamente giustificato da malintese finalità educative. 3.3. Bene ha fatto la Corte d'appello a ritenere irrilevanti le spiegazioni fornite dalla difesa quanto alla concezione dei rapporti padre figli ed al metodo educativo diffusi nel paese di provenienza dell'imputato, dovendosi ribadire che, ai fini della definizione della linea di demarcazione fra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di abuso dei mezzi di correzione, non può tenersi in alcuna considerazione la circostanza che gli atti vessatori siano compatibili con un intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui l'agente sia portatore Sez. 6, n. 48272 del 07/10/2009, E.F., Rv. 245329 . 4. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.