In caso di furto il luogo di lavoro è qualificabile come privata dimora

Richiamando un recente arresto giurisprudenziale, la Suprema Corte conferma la qualificazione giuridica come privata dimora del luogo di lavoro al fine della qualificazione della condotta del ricorrente ai sensi dell’art. 624-bis c.p

Sul tema la sentenza n. 40289/18, depositata il 10 settembre. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze riformava parzialmente la sentenza di prime cure rideterminando la pena inflitta ad un imputato per furto in privata dimora art. 624- bis c.p. . L’uomo si era introdotto nei locali di un’azienda e si era impossessato del portafogli di una dipendente, addetta alla portineria, contenente alcuni documenti e la somma di 100 euro. La difesa ricorre in Cassazione dolendosi, per quanto d’interesse, per la mancata riqualificazione del reato ai sensi dell’art. 624 c.p. non potendosi qualificare l’azienda come luogo di privata dimora. Qualificazione del luogo di lavoro. Con la sentenza n. 31345/17 , le Sezioni Unite hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 624- bis c.p., la nozione di privata dimora comprende esclusivamente i luoghi dove si svolgono non occasionalmente atti di vita privata e che non sono aperti al pubblico, né tantomeno accessibili a terzi senza il consenso del titolare. Tra questi luoghi rientrano anche quelli destinati all’attività lavorativa o professionale. Gli elementi su cui individuare la nozione di privata dimora sono infatti stati individuati nel a utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni di vita privata riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere , in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne b durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità c non accessibilità al luogo, da parte dei terzi, senza il consenso dei titolari . È dunque consolidato il principio per cui il carattere di privata dimora può interessare anche luoghi di lavoro, principio correttamente applicato dal giudice di merito nella qualificazione del fatto contestato al ricorrente. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 aprile – 10 settembre 2018, n. 40289 Presidente Sabeone – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Con la pronuncia indicata in epigrafe, la Corte di appello di Firenze riformava parzialmente, rideterminando la pena inflitta, la sentenza emessa il 27/02/2012 dal Tribunale della stessa città sezione distaccata di Empoli , in forza della quale F.M. era stato riconosciuto responsabile di un delitto qualificato ex art. 624-bis, comma 1, cod. pen. secondo l’ipotesi accusatoria, l’imputato introducendosi presso i locali di un’azienda di pellami - si era impossessato, al fine di trarne profitto, di beni di una dipendente un portafogli contenente alcuni documenti e la somma di 100,00 Euro in contanti . La sentenza della Corte territoriale è oggetto di ricorso da parte della difesa del F. , che deduce - inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello avrebbe dovuto riqualificare la condotta di furto ai sensi dell’art. 624 cod. pen., non potendosi considerare l’ingresso dell’azienda, dove si era consumato il reato, un luogo di privata dimora, difettandone le caratteristiche indicate dalla giurisprudenza di legittimità il ricorrente richiama, in particolare, l’informazione provvisoria di cui all’udienza delle Sezioni Unite di questa Corte, tenutasi il 23/03/2017 - manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, quanto alla esclusione della circostanza attenuante ex art. 62, n. 4, cod. pen., alla luce della disapplicazione della recidiva contestata sul presupposto che il fatto non potesse ritenersi particolarmente grave . Ne deriva che l’entità del danno dovrebbe a sua volta considerarsi di lieve entità, tenuto conto del modesto importo sottratto alla persona offesa tanto più che, ai fini della concessione dell’attenuante in esame, se è vero che l’entità del danno deve essere valutata con riferimento al complessivo pregiudizio economico subito dalla persona offesa e non già al mero valore intrinseco dell’oggetto sottratto o alla sua potenzialità economica, nel caso di specie il giudice di merito non offre alcuna motivazione, né le risultanze probatorie forniscono dati in antitesi rispetto alla prospettazione difensiva - manifesta illogicità della motivazione, anche in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La difesa del F. osserva che, nonostante la rivisitazione in melius del trattamento sanzionatorio operata dalla Corte di appello, tanto da essere stata fissata la pena sui minimi edittali, la confermata esclusione dell’applicabilità dell’art. 62-bis cod. pen. in favore dell’imputato appare inspiegabile non si comprende, in particolare, per quale motivo la personalità del ricorrente potrebbe essere valutata positivamente ai fini della esclusione della recidiva e non anche ai fini della concessione delle attenuanti generiche. Considerato in diritto 1. Il ricorso non può trovare accoglimento. 1.1 Con la prima censura si richiede di sussumere il fatto contestato all’interno della previsione di cui all’art. 624 cod. pen., disciplinante il furto semplice. Occorre ribadire, a riguardo, che la questione sulla qualificazione giuridica del fatto rientra nel novero di quelle su cui la Corte di Cassazione può decidere ex art. 609, comma 2, cod. proc. pen. e, pertanto, può essere dedotta anche per la prima volta in sede di giudizio di legittimità, ma solo se per la sua soluzione non siano necessari accertamenti in punto di fatto v. Cass., Sez. I, n. 13387/2014 del 16/05/2013, Rossi . Tanto premesso, va segnalato che, nel risolvere un contrasto insorto tra le sezioni semplici, le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente chiarito che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, ivi compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale v. Cass., Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, di cui la difesa ha richiamato l’informazione provvisoria disponibile all’epoca della presentazione del ricorso . Si è, in particolare, precisato che la nozione di privata dimora deve essere individuata sulla base dei seguenti, indefettibili elementi a utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere , in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne b durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità c non accessibilità del luogo, da parte dei terzi, senza il consenso del titolare. Le Sezioni Unite hanno dunque chiarito che la disciplina dettata dall’art. 624-bis cod. pen. è estensibile ai luoghi di lavoro soltanto se essi abbiano le caratteristiche proprie dell’abitazione. Il carattere di privata dimora potrà, quindi, essere riconosciuto ai luoghi di lavoro - accertamento, questo, riservato al giudizio di merito - se in essi, o in parte di essi, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento . Il massimo organo di nomofilachia ha altresì evidenziato che i luoghi di lavoro, generalmente, sono accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza il preventivo consenso dell’avente diritto, con la conseguenza che agli stessi è di norma estraneo ogni carattere di riservatezza, essendo esposti per definizione alla intrusione da parte di un numero indeterminato di persone. Si possono dunque applicare diversi criteri per la individuazione e l’accertamento della privata dimora il criterio dello ius excludendi alios, il criterio dell’apertura del luogo al pubblico, il criterio della stabilità della presenza nel luogo che, comportando verifiche in fatto, non possono essere richieste per la prima volta in sede di legittimità, ove non desumibili in modo non equivoco dalla decisione. Nel caso oggi in esame, l’atto di appello, senza investire l’affermazione di penale responsabilità del F. , conteneva doglianze esclusivamente concernenti il trattamento sanzionatorio la questione afferente la qualificazione giuridica è comunque rituale, atteso che le decisioni di merito indicano gli elementi ritenuti decisivi ai fini della ravvisabilità di una ipotesi criminosa da rubricare ex art. 624-bis cod. pen. A descrivere il luogo dove venne commesso il furto non è tanto la Corte di appello che si limita ad osservare la corretta qualificazione del fatto per cui si procede, non essendovi dubbio sulla natura di privata dimora della portineria dell’azienda, dove la dipendente stazionava per l’intero orario di lavoro, tenendo con sé anche le cose personali e la borsa , bensì il Tribunale. La pronuncia di primo grado spiega infatti che - l’azione furtiva era stata registrata da un impianto di videosorveglianza, con immagini riversate su un supporto magnetico dalla cui visione si distingueva chiaramente un uomo, riconoscibile nell’imputato ritratto nel fascicolo fotografico acquisito, che si recava dietro il bancone di un ufficio e per due volte si chinava sotto di esso - la dipendente derubata era addetta alla portineria dell’azienda, ove ella stazionava per l’intero suo orario di lavoro, dovendo anche, quindi, tenere con sé la propria borsa, sia per sorvegliarla sia per prelevare da essa i propri oggetti personali di cui avesse necessità . Si tratta, all’evidenza, di dati che depongono per la non accessibilità al pubblico del luogo in cui la persona offesa aveva riposto il portafogli se, presso la sede di un’azienda, clienti o visitatori possono normalmente accedere ai locali destinati all’esposizione di merci in vendita, non altrettanto è a dirsi per il vano adibito a portineria, relativamente agli spazi dietro il bancone e non a quelli di transito ordinario. 1.2 Con le residue doglianze, il ricorrente ripropone rilievi già sottoposti alla Corte di appello e da questa confutati, sia pure con motivazione contratta. Quanto all’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., la Corte fiorentina ha rilevato che il danno relativo alla sottrazione di un portafogli contenente 100,00 Euro somma ex se non irrisoria , una carta di identità, una patente di guida, una carta di credito, due codici fiscali, due tessere sanitarie, non risulta di speciale tenuità. In vero, nei reati contro il patrimonio aventi ad oggetto documenti quali carte di identità, patenti di guida, carte di credito, non deve essere considerato solo il valore economico dello stampato ma i vantaggi che dall’uso di questo possono ottenersi. In altri termini, la potenziale utilizzazione della carta conferisce un valore che trascende e supera quello della sua materialità, con la conseguenza che il danno patrimoniale derivante da furto, rapina o ricettazione di carte di credito, in considerazione del valore strumentale di queste, che consentono al titolare di effettuare molteplici atti di acquisto a pagamento differito, non deve essere rapportato al semplice valore venale del documento e non può, pertanto, essere ritenuto modesto Cass., Sez. IV, n. 24648 del 03/03/2015, Bortoletto, Rv 263724 . In ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, è necessario premettere che se è vero che, ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del ne bis in idem v. Cass., Sez. II, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi , è anche vero che, se lo stesso elemento viene considerato positivamente ai fini della determinazione della pena e poi negativamente per il riconoscimento delle attenuanti generiche, la motivazione richiede una specificità rafforzata per non incorrere in evidenti vizi di contraddittorietà. Tuttavia, la motivazione adottata dalla Corte territoriale non appare illogica da un lato, esclude le attenuanti generiche, atteso che l’imputato si era già reso protagonista di delitti contro il patrimonio dall’altro, disapplica la contestata recidiva valorizzando, oltre alla non particolare gravità ed occasionalità del fatto, la circostanza che i precedenti penali fossero risalenti nel tempo. Si è già affermato, peraltro, che il riferimento all’esistenza di precedenti penali ben può essere preso in considerazione, quale elemento negativo afferente la personalità dell’imputato, ai fini del diniego delle attenuanti generiche anche quando il giudice, sulla base di una valutazione complessiva del fatto, esclude che la reiterazione delle condotte denoti nel reo la presenza di uno spessore criminologico di tale rilievo da giustificare l’applicazione della recidiva v. Cass., Sez. VI, n. 38780 del 17/06/2014, Morabito . 2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del F. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.