Onere motivazionale del giudice in merito all’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato

Ai fini della valutazione dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato, il giudice di merito è chiamato ad un giudizio cautelare ontologicamente probabilistico che non può ridursi all’accertamento di uno stato” ovvero alla verifica della permanenza delle condizioni soggettive dell’accusato, ma che deve estendersi alla valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto.

Sul tema la Suprema Corte con la sentenza n. 39964/18, depositata il 5 settembre. In fatto. Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di appello, rigettava l’impugnazione avverso il rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare dell’obbligo di dimora con divieto di allontanamento dall’abitazione nelle ore notturne disposta a carico di un imputato per il delitto di estorsione, aggravata dal metodo mafioso. Avverso la pronuncia ricorre per cassazione la difesa deducendo mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al profilo dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, per decorso del tempo. Onere motivazionale. Il Collegio rileva come il Tribunale abbia in realtà correttamente osservato il suo onere di motivazione, sul presupposto che al giudice d’appello, a differenza del giudice del riesame, non è riconosciuto il potere di decidere in base a ragioni diverse da quelle indicate nel provvedimento impugnato. Il Tribunale del riesame ha in conclusione correttamente sottolineato le peculiari modalità del fatto in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari. Secondo la nuova formulazione dell’art. 274, comma 1, lett. c , c.p.c., la S.C. sottolinea che il giudizio cautelare ontologicamente probabilistico non può ridursi all’accertamento di uno stato” ovvero alla verifica della permanenza delle condizioni soggettive dell’accusato nell’arco che va dal tempo della commissione del delitto, siano a quello dell’applicazione della cautela, ma deve necessariamente estendersi alla valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto . Si tratta di un giudizio che non può che basarsi sulle risultanza probatorie disponibili agli atti, rimanendo esclusa la previsione di una specifica occasione per delinquere. Inoltre, con riferimento ai delitti aggravati dal metodo mafioso d.l. n. 152/1991, conv. in l. n. 203/1991 , gli Ermellini ricordano la sussistenza di una presunzione di concretezza ed attualità del pericolo di recidiva, superabile solo dalla prova – a carico dell’interessato – di elementi da cui desumere l’affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare. Per questi motivi, la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 luglio – 5 settembre 2018, n. 39964 Presidente Cammino – Relatore Aielli Premesso in fatto 1. Con provvedimento del 18/1/2018 il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice di appello, rigettava l’impugnazione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare dell’obbligo di dimora, con divieto di allontanamento dalla abitazione dalle ore 21,00 alle ore 7,00, applicata nei confronti di P.G. in ordine al delitto di cui all’art. 629 comma 2 c.p., aggravato dall’art. 7 D.L. 152/1991. Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione P.G. per mezzo del difensore, il quale deduce il vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al profilo di attualità del pericolo di reiterazione del reato avuto riguardo al decorso del tempo, non potendosi lo stesso ravvisare in relazione a situazioni risalenti nel tempo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge consistente nell’omessa motivazione in ordine al profilo della attualità delle esigenze cautelari, posto che il decorso del tempo costituirebbe, a suo avviso, motivo di elisione del pericolo di reiterazione del reato. Invero, esaminando il provvedimento impugnato, deve rilevarsi che il Tribunale di Catanzaro ha ottemperato al dovere di motivazione che gli incombeva sulla base dei motivi di appello proposti. 3. Deve a tal proposito ribadirsi che al giudice dell’appello, a differenza del giudice del riesame, non è riconosciuto dall’art. 310 c.p.p., il potere di decidere anche in base a motivi e ragioni diverse da quelli indicati nel provvedimento impugnato o nei motivi di appello sez. 5 n. 25595 del 17/5/2006, Rv. 234417 sez. 1 n. 43913 del 2/7/2012, Rv. 253786 . Ciò comporta che, avuto riguardo alla natura devolutiva dell’appello cautelare, lo scrutinio di legittimità imposto in questa sede, deve intendersi consentito solo con riferimento a doglianze che attengono a profili di legittimità del provvedimento impugnato. Va infatti rammentato che, in ragione della natura pienamente devolutiva del giudizio di appello cautelare, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dalla parte impugnante, ma anche dal decisum del provvedimento gravato, cosicché al giudice ad quem non è attribuito il potere di estendere d’ufficio la sua cognizione a questioni neppure prese in esame dal giudice a quo cfr. Sez. 1, n. 43913 del 02/07/2012, Xu, Rv. 253786 Sez. 2, n. 3418 del 02/07/1999, Moledda, Rv. 214261 . 3. Ciò detto, nel caso di specie, deve rilevarsi che il Tribunale del riesame ha specificamente indicato le ragioni per le quali, a fronte degli elementi indicati nella originaria richiesta di revoca della misura cautelare mero decorso del tempo , dovesse, invece, ritenersi persistente il pericolo di recidiva. In particolare si è fatto riferimento alle peculiari modalità del fatto estorsione aggravata dall’uso del metodo mafioso ed alla personalità dell’indagato, recidivo reiterato, e autore in precedenza di condotte estorsive analoghe a quelle contestate, per concludere circa la persistenza del pericolo di reiterazione del reato. Sul punto vale considerare, in sintonia con la nuova formulazione dell’art. 274, comma 1, lett. c cod. procomma pen. dettata dalla legge n. 47 del 16/4/2015 che il giudizio cautelare ontologicamente probabilistico non può ridursi all’accertamento di uno stato ovvero alla verifica della permanenza delle condizioni soggettive dell’accusato nell’arco che va dal tempo della commissione del delitto, sino a quello dell’applicazione della cautela, ma deve necessariamente estendersi alla valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto. Questo giudizio, tuttavia, non può che fondarsi sulle emergenze disponibili risultanti dagli atti e non si richiede, invece, che il giudizio sull’attualità si estenda alla previsione di una specifica occasione per delinquere la cui previsione esula dalle facoltà del giudice della cautela Sez. 2, n. 19283 del 3/2/2017, rv. 270062 Sez. 2, n. 53645 del 8/9/16, rv. 268977 Sez. 2 n. 47619 del 18/10/2016, rv. 268508 . Con specifico riferimento ai delitti aggravati dalla circostanza di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 convertito nella L. n. 203 del 1991, poi, vale rilevare che la contestazione della stessa determina una presunzione relativa di concretezza ed attualità del pericolo di recidiva, superabile solo dalla prova, offerta dall’interessato, di elementi da cui desumere l’affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare, sicché, in difetto di detta prova, l’onere motivazionale incombente sul giudice ai sensi dell’art. 274 cod. procomma pen. deve ritenersi rispettato mediante il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un’attenuazione delle esigenze di prevenzione Sez. 2, n. 3105 del 22/12/2016 Rv. 269112 . Il Tribunale si è attenuto a tali linee ermeneutiche con la conseguenza che il ricorso proposto risulta inammissibile. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla cassa delle ammende.