Nullità dell’interrogatorio di garanzia: non va dedotta al Tribunale della Libertà

La questione dell’inefficacia della misura, cagionata da mancanza, tardività o invalidità dell’interrogatorio di garanzia non è deducibile, né rilevabile d’ufficio nel procedimento di riesame. L’indeducibilità non verrebbe meno nemmeno se detta questione venisse sollevata unitamente ad altre, attinenti ai vizi genetici del provvedimento cautelare.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 39084/18 depositata il 28 agosto. L’invalidità dell’interrogatorio di garanzia. La decisione in commento prende le mosse da una vicenda cautelare tutt’altro che lineare due persone finiscono in carcere con l’accusa di riciclaggio, ricettazione e falso. La difesa di uno dei due indagati aveva lamentato, in sede di giudizio di riesame, la nullità dell’interrogatorio di garanzia. Quest’ultimo, infatti, non era stato preceduto dalla notifica al difensore dell’avviso di deposito dell’ordinanza cautelare, della relativa richiesta e degli allegati. Il Tribunale della Libertà rispondeva affermando l’indeducibilità di tale vizio in quella sede. Da qui, il ricorso per cassazione. La Procura Generale chiede il rigetto del ricorso, ma gli Ermellini tagliano corto e ne dichiarano l’inammissibilità. Vediamo perché. Presupposti legittimanti la misura e condizioni di persistenza. Il nòcciolo della decisione adottata dalla Suprema Corte ruota tutto attorno a questa coppia concettuale da una parte i presupposti che legittimano l’adozione di una misura cautelare e, dall’altro lato, quelli che ne consentono la persistenza. Solo i primi, secondo la Cassazione, possono essere sottoposti all’attenzione del Tribunale del Riesame. I secondi, invece, devono essere valutati dal giudice procedente, ossia quello che ha adottato la misura cautelare, al quale potrà essere richiesta in qualsiasi momento la revoca della stessa nel caso in cui una delle condizioni di persistenza fosse venuta meno o, come nel caso che ci occupa, non sia mai esistita. Il difetto dell’avviso di deposito dell’ordinanza, infatti, non è un vizio che intacca la legittimità del provvedimento cautelare, bensì un vizio procedurale che – in quanto tale – non deve essere dedotto al Tribunale della Libertà. La forza attrattiva del ricorso per cassazione. Diversi precedenti di legittimità, anche a Sezioni Unite, hanno talvolta sostenuto, nel corso degli anni, la possibilità che questioni identiche a quella che ci occupa – vizi procedurali non attinenti all’ordinanza cautelare – possono essere dedotti in sede di riesame, e successivamente in sede di ricorso per cassazione, nel caso in cui venissero proposti insieme ad altre censure riguardanti difetti genetici dell’atto impugnato. L’indirizzo prevalente, al quale la Seconda Sezione, ha ritenuto di adeguarsi, però, è del tutto diverso nel procedimento di riesame non è deducibile la questione riguardante la perdita di efficacia della misura per invalidità dell’interrogatorio di garanzia, nemmeno se detta doglianza fosse per avventura affiancata ad altra pertinente rispetto al tipico oggetto del giudizio di riesame. A fondamento della decisione vi è una lettura rigorosamente aderente al dettato normativo previsto dal codice di rito in tema di perdita di efficacia della misura valutabile dal tribunale della libertà. Questa è essenzialmente collegata al mancato rispetto dei termini perentori che scandiscono il procedimento di riesame, e non può essere estesa anche ad altre ipotesi non contemplate dalla norma. Il rimedio corretto è la richiesta di revoca della misura. Una volta precisato che l’invalidità dell’interrogatorio di garanzia non può essere dedotta con la richiesta di riesame, la Cassazione individua – per esclusione, potremmo dire – l’autorità giudiziaria competente, presso la quale far valere l’inefficacia della misura per vizi diversi da quelli rilevabili dinanzi il tribunale della libertà come dicevamo è il giudice che ha adottato la misura. La decisione di quest’ultimo, secondo la trafila ordinaria, potrà essere eventualmente appellata e la decisione di appello, a sua volta, potrà formare oggetto di ricorso per cassazione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 25 maggio – 28 agosto 2018, n. 39084 Presidente Cervadoro/Relatore Beltrani Ritenuto in fatto Il GIP del Tribunale di Torino, con ordinanza emessa in data 9.1.2018, ha disposto l’applicazione nei confronti di R.M. generalizzato in atti, ed indagato in ordine ai reati di cui ai capi 1.4.5.6.9.10.13.14.17.18.21.22. e di B.P. generalizzato in atti, ed indagato in ordine ai reati di cui ai capi 13.14.17.18. della misura cautelare della custodia in carcere. Le contestazioni provvisorie riguardano plurimi episodi di riciclaggio, ricettazione e falso. Il Tribunale del riesame di Torino, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha confermato la predetta ordinanza nei confronti del R. , disponendo nei confronti del B. l’applicazione della meno afflittiva misura dell’obbligo quotidiano di presentazione alla PG. Contro tale provvedimento, gli indagati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, denunciando B. - manifesta illogicità della motivazione in ordine alla pretesa sussistenza dei ritenuti gravi indizi di colpevolezza capi 13 e 14 le intercettazioni valorizzate non dimostrerebbero alcun ruolo del ricorrente nella vicenda riguardante un secondo veicolo, la cui provenienza delittuosa sarebbe indimostrata capi 17 e 18 in riferimento a tali imputazioni provvisorie sarebbe lo stesso Tribunale del riesame ad avanzare dubbi in ordine alla consapevolezza dell’indagato, valorizzando come elemento decisivo il mero ed irrilevante rapporto di parentela che lo legava al coimputato R. R. - violazione degli artt. 293, comma 3, 294 c.p.p. e 111 della Costituzione sarebbe nullo l’interrogatorio di garanzia per omesso avviso al difensore del deposito dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, della richiesta del P.M. e degli atti allegati il Tribunale del riesame ha ritenuto il vizio non deducibile, ma la difesa ritiene il contrario, valorizzando precedenti decisioni di questa Corte - omessa motivazione quanto alle concrete ed attuali esigenze cautelari ed alla necessità della misura applicata a soddisfarle. All’odierna udienza camerale, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti. Considerato in diritto I ricorsi sono inammissibili. 1. Le doglianze del B. riguardanti il ritenuto quadro indiziario sono reiterative, più o meno pedissequamente, di censure già dedotte in sede di riesame e già non accolte dal Tribunale, risultando, pertanto, prive della specificità necessaria ai sensi dell’articolo 581, comma 1, lett. C , c.p.p. Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio - 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693 Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno - 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133 , e, comunque, manifestamente infondate, in considerazione delle argomentazioni esaurienti, logiche e non contraddittorie, nonché giuridicamente corrette e, pertanto, nel complesso, esenti da vizi rilevabili in questa sede, poste dal Tribunale a fondamento delle contestate statuizioni. 1.1. Per quanto riguarda i quattro reati ascritti all’indagato, il Tribunale ha essenzialmente valorizzato f. 33 ss. dell’ordinanza impugnata gli esiti di plurime conversazioni intercettate, incensurabilmente interpretate in difetto di documentati travisamenti , e gli stretti rapporti avuti con il R. . Tali elementi hanno legittimato l’incensurabile conclusione della sussistenza dei necessari gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati provvisoriamente contestati all’indagato. Il Tribunale ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio indiziario già sottoposto al vaglio del GIP, e, dopo avere preso atto delle censure dell’indagato, puntualmente riepilogate, e dettagliatamente esaminate e confutate, è giunto alla medesima conclusione in termini di sussistenza dei necessari gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati provvisoriamente contestati a fronte di ciò, l’indagato, in concreto, si è limitato a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese dal Tribunale e riproporre la propria diversa lettura delle risultanze indiziarie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi valorizzati a suo carico. 2. Il primo motivo di ricorso del R. non è consentito, non essendo stata la doglianza previamente sottoposta all’esame del G.I.P., come richiesto dagli artt. 302 e 306 c.p.p. 2.1. In argomento, una non recente decisione delle Sezioni Unite penali di questa Corte Suprema Sez. Un., n. 26 del 5 luglio 1995, Galletto, rv. 202015 ebbe modo di chiarire che, poiché il procedimento di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sulla sua persistenza, non è consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti ne consegue che esulano dall’ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’articolo 294 cod. proc. pen., le quali, inerendo a vicende del tutto avulse dall’ordinanza oggetto del gravame, si risolvono in vizi processuali che non ne intaccano l’intrinseca legittimità ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l’estinzione automatica che deve essere disposta, in un distinto procedimento, con l’ordinanza specificamente prevista dall’articolo 306 cod. proc. pen., suscettibile di appello ai sensi dell’articolo 310 dello stesso codice . Una successiva decisione Sez. Un., n. 7 del 17 aprile 1996, Moni, rv. 205255 , peraltro relativa a fattispecie diversa, precisò che le cause che determinano la perdita di efficacia dell’ordinanza cautelare, secondo le previsioni contenute nel titolo primo del libro quarto del codice di procedura penale, non intaccando l’intrinseca legittimità del provvedimento ma agendo sul piano della persistenza della misura coercitiva, devono essere fatte valere avanti al giudice di merito in un procedimento distinto da quello di impugnazione, attraverso la richiesta di revoca contemplata dall’articolo 306 cod. proc. pen. tuttavia, allorché la questione di inefficacia sia stata proposta, insieme ad altre concernenti l’originaria legittimità del provvedimento, con il ricorso per cassazione, deve ritenersi attratta da questo e può quindi essere direttamente esaminata dal giudice di legittimità affinché non sia ritardata la decisione de libertate che si sarebbe dovuto richiedere in altra sede . In applicazione di detto principio la Corte ritenne di poter esaminare - respingendola peraltro per motivi diversi - la questione concernente la perdita di efficacia della misura cautelare per inosservanza del termine di cui all’articolo 309, comma 9, c.p.p., prospettata nel ricorso insieme a varie censure di violazione di legge, precisando altresì che non ci sarebbe spazio per il dispiegarsi della descritta vis attractiva del ricorso proposto nel procedimento di impugnazione della misura ove, con esso, si denunciasse esclusivamente la sopravvenuta inefficacia del provvedimento coercitivo. Richiamata la sentenza Galletto, le Sezioni Unite, con la sentenza Moni, osservarono in particolare, che Questi principi, scaturiti dall’esame di una fattispecie diversa - si discuteva, in allora, se il tribunale del riesame possa porsi il problema della perdita di efficacia della ordinanza del g.i.p. per non avere questi, in violazione delle norme degli artt. 294 e 302 c.p.p., proceduto all’interrogatorio della persona in stato di custodia nel termine di cinque giorni dall’inizio dell’esecuzione della custodia - debbono essere ribaditi, con la puntualizzazione, però, mutuata da Cass. sez. 1, 8 agosto 1995, Franco, sentenza, quest’ultima, che, in una fattispecie simile a quella oggetto dell’odierno ricorso, ha sottolineato la vis attractiva del ricorso per cassazione, quando, come nel caso in esame, oltre che l’inefficacia vengano prospettate questioni relative alla legittimità del provvedimento. Questa precisazione fa si tra l’altro, che, specialmente se l’assunto della perdita di efficacia del provvedimento è fondato, non si ritardi ulteriormente una decisione che si sarebbe dovuto richiedere in altra sede subito dopo l’intervento della ordinanza del tribunale. È del tutto ovvio, peraltro, che non vi sarebbe spazio per il dispiegarsi della vis attractiva ove, con il ricorso per cassazione, si denunciasse unicamente la perdita di efficacia del provvedimento . Si ritenne, pertanto, consentita la deduzione in sede di legittimità anche della tardività del provvedimento impugnato per violazione del termine di giorni dieci previsto dall’articolo 309 c.p.p., comma 9, purché unitamente a censure direttamente inerenti all’ordinanza resa dal giudice del riesame ex articolo 309 c.p.p Il principio è stato successivamente ribadito da Sez. Un. n. 25 del 16 dicembre 1998, Alagni, rv. 212072, in fattispecie nella quale la ricorrente, unitamente a censure inerenti all’ordinanza reiettiva della richiesta di riesame, lamentava la perdita di efficacia del provvedimento di custodia cautelare in carcere per effetto della mancata trasmissione al giudice del riesame di tutti gli atti di cui all’articolo 291 c.p.p. entro il termine di cui all’articolo 309 c.p.p., comma 5. 2.1.1. Un successivo orientamento di questa Corte Suprema ha ritenuto di potere estendere il predetto principio anche ai vizi inerenti all’interrogatorio di garanzia, giungendo ad affermare che, in tema di misure cautelari personali, l’eccezione di nullità dell’interrogatorio ex articolo 294 c.p.p. e di conseguente perdita di efficacia della misura custodiale è proponibile solo avanti al giudice che ha adottato il provvedimento impositivo, e non dinanzi al Tribunale del riesame, fatta salva l’ipotesi in cui alla predetta censura si accompagnino ulteriori motivi di doglianza inerenti al contenuto dell’atto impugnato, o comunque volti a dedurre vizi genetici dello stesso Sez. 6, n. 42308 del 29 ottobre 2009, Mansueto, rv. 245479 Sez. 6, n. 4683 del 10 novembre 2011, Pispicia, rv. 245848 Sez. 6, n. 353 del 30 gennaio 1998, Cascino, rv. 21007 . 2.1.2. Altro successivo orientamento è rimasto, peraltro, fermo nel ritenere che nel procedimento di riesame non sono deducibili, né rilevabili d’ufficio, questioni di inefficacia della misura diverse da quelle concernenti l’inosservanza dei termini stabiliti dai commi quinto e nono dell’articolo 309 c.p.p. da ultimo, Sez. 3, n. 16386 del 10 febbraio 2010, Vidori ed altro, rv. 246768 fattispecie di dedotta inefficacia per nullità dell’interrogatorio di garanzia. In precedenza, nel medesimo senso, Sez. 1, n. 477 del 9 luglio 1997, Suarino ed altri, rv. 208503 Sez. 4, n. 1430 del 6 maggio 1999, Barbaro, rv. 214243 Sez. 5, 24 novembre 1999, Frroku, rv. 216240 Sez. 3, n. 809 del 17 febbraio 2000, Demo, rv. 216065 Sez. 2, n. 5428 del 13 novembre 2001, Giuliani, rv. 220998 Sez. 6, n. 29564 del 10 giugno 2003, Vinci, rv. 226222 Sez. 6, n. 22448 dell’8 maggio 2009, Patriarca, rv. 244008 . 2.1.3. Questa Sezione Sentenza n. 4817 del 23/10/2012, dep. 2013, Rv. 254447 ha già ritenuto che, nel procedimento di riesame, non è deducibile, né rilevabile d’ufficio, la questione inerente all’inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’articolo 294 cod. proc. pen., a nulla rilevando che essa sia proposta unitamente ad altre questioni inerenti a vizi genetici del provvedimento impugnato, sicché la stessa non può costituire oggetto di ricorso per cassazione ex articolo 311 cod. proc. pen 2.1.4. Il collegio condivide e ribadisce questo orientamento, ormai assolutamente dominante cfr. Sez. 4, Sentenza n. 12995 del 05/02/2016, Rv. 266294, una delle decisioni menzionate dalla difesa del ricorrente in ricorso, il cui senso giuridico è stato all’evidenza travisato Sez. 2, Sentenza n. 33775 del 04/05/2016, Rv. 267851 Sez. 2, Sentenza n. 54267 del 12/10/2017, Rv. 271366 , e che trova ineludibile conferma nell’articolo 309 c.p.p. e negli artt. 302 e 306 c.p.p 2.1.4.1. Nel procedimento incidentale di riesame disciplinato dall’articolo 309 c.p.p. - e nel successivo giudizio di Cassazione - non sono deducibili, né rilevabili di ufficio, in difetto di espressa previsione da parte del citato articolo 309, questioni relative all’inefficacia della misura cautelare diverse da quelle concernenti l’inosservanza dei termini stabiliti dai commi 5 e 9 dello stesso articolo. Soltanto quest’ultima - sanzionata dal successivo comma 10 con la automatica perdita di efficacia dell’ordinanza impositiva della misura cautelare - può a piena ragione essere dedotta in sede di riesame nonché essere eventualmente rilevata, anche di ufficio, in Cassazione, a seguito del ricorso avverso l’ordinanza di riesame , poiché il giudice della procedura incidentale di impugnazione è, in quanto tale, non soltanto giudice della propria competenza, ma anche giudice della regolare instaurazione del contraddittorio e della validità di ogni suo atto, e quindi del rispetto dei termini che la procedura incidentale deve rispettare peraltro, detta inosservanza sarebbe rilevabile in base a dati oggettivi, documentalmente verificabili, che non richiedono accertamenti incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità. Per questa ragione, non appare possibile mutuare anche ai fini de quibus l’orientamento espresso dalla sentenza Moni. Invero, la questione inerente all’inefficacia della misura coercitiva per la omissione o la nullità dell’interrogatorio di garanzia ex articolo 294 c.p.p. costituente atto successivo all’adozione del provvedimento cautelare risulta del tutto estranea all’ambito del riesame, dovendo, invece, formare - per espressa previsione di legge - oggetto di istanza al giudice del procedimento principale, il cui provvedimento, pronunciato ai sensi degli artt. 302 e 306 c.p.p. che sistematicamente precedono l’articolo 309 c.p.p. - dal cui ambito, pertanto, esulano ed esplicitamente attribuiscono proprio al giudice del procedimento principale una specifica competenza ad hoc , è soggetto all’appello previsto dall’articolo 310 c.p.p., con possibilità di successivo ricorso per Cassazione in forza dell’articolo 311 c.p.p. D’altro canto, l’articolo 306 c.p.p. è già stato autorevolmente interpretato nel senso che competente a dichiarare la caducazione di una misura cautelare sia esclusivamente il giudice del procedimento principale o incidentale nell’ambito del quale si è verificato l’evento che l’ha determinata così, in motivazione, Sez. Un., n. 14 del 31 maggio 2000, Piscopo . 2.1.4.2. Va, inoltre, evidenziato che il procedimento di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sul protrarsi dell’applicazione della misura disposta ciò conferma ulteriormente che non è consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti. Ne consegue che esulano dall’ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’articolo 294 c.p.p., le quali, inerendo a vicende che prescindono de tutto dall’ordinanza oggetto di gravame, si risolvono in vizi processuali che non possono inficiare l’intrinseca legittimità di quest’ultima alla cu verifica soltanto è legittimato il giudice del riesame , ma, operando sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l’estinzione automatica che deve essere disposta all’esito di un distinto subprocedimento come detto, con l’ordinanza specificamente prevista dall’articolo 306 c.p.p., appellabile ex articolo 310 c.p.p. . 2.1.4.3. A tali conclusioni, sia pur incidentalmente, sono di recente giunte le Sezioni Unite di questa Corte Suprema Sez. Un., n. 45246 del 19 luglio 2012, P.M. in proc. Polcino, in motivazione , a parere delle quali l’estinzione di una misura cautelare può . verificarsi ope legis, per caducazione automatica conseguente al verificarsi di determinati eventi che non incidono di regola né sulla validità del provvedimento applicativo né sui presupposti di applicazione della misura si tratta quindi di eventi sopravvenuti che determinano la perdita di efficacia della misura ma non ne precludono la rinnovazione, salve le limitazioni previste dall’articolo 307 cod. proc. pen. per la sostituzione della custodia cautelare caducata per decorso dei termini massimi di durata. E per questa ragione la giurisprudenza ha sempre escluso che le cause di caducazione ope legis delle misure cautelari personali possano essere dedotte con le impugnazioni proponibili contro le ordinanze applicative. In particolare deve escludersi che con la richiesta di riesame possa essere dedotta la caducazione della custodia cautelare per omissione o invalidità dell’interrogatorio ex articolo 294 cod. proc. pen., che va dedotta con richiesta al giudice per le indagini preliminari, in quanto non attiene alle condizioni di legittimità e di merito per l’adozione della misura . 2.1.4.4. Anche questa decisione viene menzionata dalla difesa del ricorrente, in ricorso, a sostegno del proprio, contrario, assunto, ancora una volta travisandone il senso giuridico. 2.1.4.5. Va in conclusione ribadito il seguente principio di diritto Nel procedimento di riesame non è deducibile, né rilevabile d’ufficio, la questione inerente all’inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’articolo 294 cod. proc. pen., a nulla rilevando che essa sia proposta unitamente ad altre questioni inerenti a vizi genetici del provvedimento impugnato ne consegue che la predetta questione può costituire neanche oggetto di ricorso per cassazione ex articolo 311 cod. proc. pen. . 2.2. Le doglianze oggetto del secondo motivo del R. sono reiterative, più o meno pedissequamente, di censure già dedotte in sede di riesame e già non accolte dal Tribunale, risultando, pertanto, prive della specificità necessaria ai sensi dell’articolo 581, comma 1, lett. C , c.p.p. Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio - 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693 Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno - 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133 , e, comunque, manifestamente infondate, in considerazione delle argomentazioni esaurienti, logiche e non contraddittorie, nonché giuridicamente corrette e, pertanto, nel complesso, esenti da vizi rilevabili in questa sede, poste dal Tribunale a fondamento delle contestate statuizioni l’indagato risponde di dodici reati, e ciò evidenzia di per sé la correttezza delle contestate statuizioni, documentando oggettivamente la pregressa, intensa ed altrimenti inarrestabile opera criminosa del R. . 3. La declaratoria d’inammissibilità totale dei ricorsi comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché, apparendo evidente dal contenuto dei motivi che essi versano in colpa quanto alla determinazione delle rilevate cause d’inammissibilità Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186 , della somma di Euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria, stabilita in considerazione dell’entità della predetta colpa. 3.1. La cancelleria provvederà nei confronti del solo R. detenuto in carcere agli adempimenti di cui all’articolo 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94, co. 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. per R.M. . Sentenza con motivazione semplificata.