Omesso mantenimento e sostituzione di persona: condanna definitiva

Inutile il tentativo di ricorrere in Cassazione. I Supremi Giudici confermano definitivamente la condanna di un uomo per l’omesso versamento dell’assegno di mantenimento per la moglie e i due figli, all’epoca minorenni, nonché per la creazione di un falso profilo Facebook con il quale scambiava messaggi con la moglie inseriti poi in un libro da lui scritto.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38790/18, depositata il 22 agosto. La vicenda. Il Tribunale di Milano condannava un imputato per violazione degli obblighi di assistenza familiare e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice per aver omesso di versare la somma stabilita a favore della moglie e dei figli, nonché per sostituzione di persona per aver creato un falso profilo Facebook con il quale aveva contattato la moglie e scambiato messaggi nell’area riservata, pubblicati poi nel libro scritto dall’imputato. Dopo la conferma in appello, l’imputato ricorre in Cassazione. Sindacato di legittimità. Il Collegio dichiara manifestamente infondato il ricorso. In primo luogo, l’elemento valorizzato dal ricorrente circa il raggiungimento della maggiore età del figlio è irrilevante posto che il reato restava perseguibile d’ufficio in quanto commesso quando il figlio era minorenne. Le ulteriori censure sollevate attengono invece alla ricostruzione del fatto, il cui esame resta precluso ai Giudici di legittimità. L’art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., come modificato dalla l. n. 46/2006, non consente alla Corte di Cassazione di sovrapporre la propria valutazione a quella dei giudici di merito. Resta ferma la possibilità per il ricorrente di dedurre come travisamento della prova la rispondenza delle valutazioni delle acquisizioni processuali, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuali gli atti rilevanti. Valorizzando inoltre il fatto che nel caso di specie, ci si trova di fronte ad una c.d. doppia conforme, circostanza che comporta sostanzialmente un unico complesso motivazionale, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 febbraio – 22 agosto 2018, n. 38790 Presidente Ramacci – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. T.A. è stato chiamato a rispondere del reato di cui al capo 1 art. 570, comma 2, e 388 cod. pen., perché aveva omesso di versare la somma stabilita in sentenza a favore della moglie e dei figli, nati nel 1990, la ragazza, e nel 1994, il ragazzo, e si era reso inadempiente anche agli obblighi non patrimoniali e relativi all’educazione dei figli, in omissis dal 2009 al 14.2.2012 data del deposito della denuncia-Querela 2 art. 494, 61, cod. pen., perché con falso nome aveva contattato la moglie su Facebook e si era scambiato con lei messaggi nell’area riservata o per e-mail che poi aveva pubblicato nel libro da lui scritto omissis , con l’aggravante di aver commesso il reato per eseguire quello di cui al capo 3 , in omissis in epoca anteriore e prossima al 14.2.2012 3 art. 167, in relazione all’art. 23 d. Lgs. 196/2003, perché, senza l’autorizzazione della moglie, aveva pubblicato nel libro i messaggi sopra indicati, sia per trarne profitto, sia per recare danno alla persona offesa, in omissis e omissis in epoca anteriore all’ottobre 2011. 1.1. Con sentenza in data 31.3.2014 il Tribunale di Milano ha dichiarato l’imputato colpevole del reato al capo 1 ed unificati i reati di cui ai capi 2 e 3 ai sensi dell’art. 81 cpv cod. pen., con la riduzione del rito, lo ha condannato alla pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 300,00 di multa per il reato di cui al capo 1 e ad anni 1, mesi 4 di reclusione per i reati di cui ai capi 2 e 3 , il tutto oltre spese, sospensione condizionale della pena subordinato al pagamento della somma liquidata a titolo di provvisionale entro anni 1 ha poi dichiarato di non doversi procedere nei suoi confronti per la parte di contestazione del capo 1 ai danni della figlia, per difetto di querela. 1.2. Con sentenza in data 13.3.2017 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza sopra indicata con condanna al pagamento delle spese del grado. 2. Con il primo motivo, l’imputato deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. per difetto di motivazione, con riferimento al capo 1 d’imputazione, quanto al conseguimento della maggiore età del figlio. La Corte territoriale aveva dichiarato l’irrilevanza dell’età, stante la procedibilità d’ufficio del reato, mentre egli intendeva sottoporre all’attenzione dei Giudici il fatto che era stato condannato sulla base della missiva del 20.9.2013, laddove il ragazzo aveva raggiunto la maggiore età il 21.11.2012, sicché il reato doveva essere circoscritto a quella frazione temporale. Inoltre, i Giudici non avevano analizzato gli elementi costitutivi del reato. Dalla lettura dei provvedimenti era emerso che i Giudici si erano occupati delle sue questioni di famiglia, esulando dai fatti contestati. Quanto ai capi 2 e 3 non era stato considerato che la donna aveva accettato il contatto su Facebook da uno sconosciuto con il quale aveva intavolato una conversazione dai contenuti privati. La Corte territoriale aveva riprodotto i motivi della sentenza di primo grado senza sottoporli a vaglio critico. 2.1. Con il secondo motivo, denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., per violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521 cod. proc. pen La contestazione aveva ad oggetto solo le pag. 170-174 del libro, mentre i Giudici avevano passato in rassegna l’intero testo senza focalizzarsi sulle quattro pagine oggetto del capo d’imputazione. Chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. 3.1. La Corte territoriale ha considerato il momento del raggiungimento della maggiore età del figlio del tutto irrilevante, giacché il reato restava perseguibile d’ufficio siccome commesso su minorenne. Il ricorrente ritiene che la Corte territoriale abbia mal interpretato il motivo d’appello che consisteva nel fatto che era stata posta a fondamento della sua condanna una missiva che era successiva al raggiungimento della maggiore età del figlio. Il motivo è inconsistente la missiva costituisce solo una delle prove dell’ampio compendio istruttorio valutato dai Giudici di merito ed in ogni caso il Giudice di secondo grado ha ben risposto che il reato era stato commesso su minorenne e non necessitava di querela, circostanza rispetto alla quale il ricorrente non si è confrontato criticamente. 3.2. Le ulteriori censure del primo motivo si risolvono in vaghe questioni di fatto, volte non tanto a colpire la motivazione della sentenza impugnata, ma a reiterare il livore nei confronti della ex-moglie. La tesi difensiva, nell’accusare la donna, non esclude la sua responsabilità del delitto di sostituzione di persona per indurre l’ex moglie a parlare, carpendone le confidenze. 3.3. Analogamente è ad dirsi per il secondo motivo. La Corte territoriale ha ben spiegato che nella sentenza di primo grado era chiarissimo e ripetuto il riferimento all’inserimento nella seconda edizione del libro della trascrizione dei messaggi scambiati con l’ex-moglie sotto falsa identità. Ed era evidente che il riferimento ad altri dati sensibili contenuti nella prima e nella seconda edizione del libro aveva un preciso scopo, quello di consentire l’identificazione dei soggetti coinvolti e quello di danneggiare l’ex-coniuge attraverso la diffusione di dati personali, non da ultimo quelli contenuti proprio nelle pagine di cui alla contestazione, relativi per lo più alla relazione di convivenza intrapresa dalla donna con un altro uomo. Era stata inoltre provata l’identificabilità della vicenda umana narrata nel libro e dei soggetti coinvolti da parte di familiari, amici, colleghi di lavoro e più in generale da parte delle persone che erano entrate in relazione con la coppia ed il nucleo familiare. 3.4. La Cassazione ha precisato, in plurime occasioni, che la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., a seguito della L. n. 46 del 2006, non consente al giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetta ad essi sia percepibile ictu oculi , dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze si veda, tra le prime sul tema, Cass., Sez. 4, n. 20245/06, Rv 234099 . Le deduzioni difensive, anche se non espressamente confutate, devono essere disattese se logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento si veda amplius Cass., Sez. 4, n. 19170/09, Rv 243636, con numerosi richiami ai precedenti e idem, n. 4060/14, Rv 258438 . Il suddetto vizio della motivazione, poi, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica rispetto a sé stessa , cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. Nel caso di specie va anche ricordato che ci si trova dinanzi ad una doppia conforme e cioè ad una doppia pronuncia di eguale segno, con la conseguenza che il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Invero, sebbene sia sindacabile con il ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, non è possibile nel caso di c.d. doppia conforme, superare il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice si veda, tra le prime, Cass., n. 5223/07, Rv 236130 . Nel caso di specie, invece, il Giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, è giunto alla medesima conclusione in ordine alla sua colpevolezza. Come di recente ribadito anche da Cass., Sez. 3, n. 27117/15, Rv 264032, La giurisprudenza di questa Corte è compatta nel ritenere che le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello, come nella specie, abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata Cass., Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615 Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 . 3.5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile M.G. che liquida in Euro 3.200,00, oltre accessori di legge.