E’ estorsione, e non truffa, prospettare un male “immaginario” se lo stesso viene configurato come dipendente dall’agente

Certamente la prospettazione di taluni mali” può spaventare alcuni più di altri, ma se non è possibile considerare male”, dal punto di vista oggettivo, ciò che viene prospettato, allora non sussiste la minaccia. L’esempio classico è la minaccia condita da magia” magari anche nera oppure la prospettazione di calamità di ogni genere o persino di rubare l’anima” . Tutti concetti che sicuramente hanno un significato ed anche un sostrato, ma che non corrispondono ai canoni di probabilità id est di possibilità di essere oggetto di prova in senso tecnico e che quindi devono considerarsi pericoli immaginari”.

La vicenda. Con una motivazione sintetica, la Corte di cassazione, con sentenza n. 37526/18 depositata il 2 agosto, ha confermato la sentenza della Corte d’Appello che aveva riqualificato come estorsione, così come indicato nell’originaria imputazione, e non come truffa la prospettazione di un male possibilità che i servizi segreti potessero far sparire” le persone offese perché in concreto manifestato come dipendente dalla volontà dell’agente, nonostante tale male fosse immaginario” in quanto, in realtà, l’imputato non faceva parte dei servizi segreti e comunque non poteva in alcun modo influenzarli . Nella sostanza la Suprema corte ha aderito all’indirizzo più recente, secondo cui è sufficiente che vi sia la minaccia del male, reale o immaginario, allorché dal soggetto passivo essa sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorché in contrasto con la realtà, a lei ignota . Se non che è doveroso sottolineare – come pure emerge nella motivazione della sentenza in commento – come nella specie l’imputato avesse accompagnato le minacce immaginarie” mostrando la propria pistola, con ciò di per sé integrando la fattispecie estorsiva. Risulta così che il precedente in questione non possa essere letto come sicura conferma dell’indirizzo giurisprudenziale sopra citato, in quanto in fondo la decisione anche della Corte d’appello si è fondata su basi fattuali diverse da quelle proprie del male immaginario”. Ma ciò detto, rimane da comprendere se sia davvero persuasiva tale impostazione. Pericoli immaginari. Dal punto di vista esegetico, la minaccia deve essere connotata da serietà oggettiva e non da mere percezioni della persona offesa. Se così non fosse mancherebbe un sostrato oggettivo e tutto si rifugerebbe nella mera psiche del soggetto passivo. Certamente la prospettazione di taluni mali” può spaventare alcuni più di altri, ma se non è possibile considerare male”, dal punto di vista oggettivo, ciò che viene prospettato, allora non sussiste la minaccia. L’esempio classico è la minaccia condita da magia” magari anche nera oppure la prospettazione di calamità di ogni genere o persino di rubare l’anima” . Tutti concetti che sicuramente hanno un significato ed anche un sostrato, ma che non corrispondono ai canoni di probabilità id est di possibilità di essere oggetto di prova in senso tecnico e che quindi devono considerarsi pericoli immaginari”. Tuttavia, vi sono zone d’ombra che devono essere decise e decise secondo i canoni propri della legge penale. La minaccia presuppone sempre che il male prospettato dipenda, in qualche modo, dalla volontà del minacciante. Ma non sempre ciò è possibile vuoi perché i presupposti riferiti non sono veri come nella specie , vuoi perché ciò contrasta con i principi scientifici, vuoi perché vi sono circostanze che rendono in concreto impossibile il male astrattamente probabile. Il concetto di minaccia Nelle situazioni in questione, o si amplia il concetto di minaccia, fino a farvi ricomprendere anche fatti la cui verificazione, in effetti, NON dipende o non può dipendere dall’agente, oppure si accetta che non si tratta di minaccia, ma più precisamente della prospettazione di un pericolo immaginario, cioè di un pericolo così percepito dall’offeso ma che in concreto non è prospettabile dal punto di vista causale. Così impostata la questione, è evidente che la tesi astrattamente” sostenuta dalla Corte di cassazione risulta essere scarsamente persuasiva, specie se condivisa a priori e, dunque, senza considerare le peculiarità dei casi concreti. Da ultimo, però, può capitare che l’agente creda seriamente ed effettivamente di poter influenzare contro la realtà di fatto la concretizzazione del pericolo se non mi dai quello che voglio, farò scendere dal cielo strali contro di te o la tua famiglia per sette generazioni . In tal caso, non si potrebbe a stretto rigore parlare di artificio” o raggiro”, poiché manca la consapevolezza della sussistenza di un pericolo immaginario in capo all’agente posto che per ipotesi lo ritiene vero” . D’altra parte, se una dazione di beni viene effettuata, è chiaro che il soggetto passivo ha creduto che quel che si è prospettato potesse accadere. In simili situazioni, si potrebbe allora pensare di far riferimento alla normativa sull’estorsione? Vi è da dubitare che ciò sia l’unica conclusione possibile, poiché certamente non vi è un vuoto di tutela, considerando che sussistono strumenti anche civilistici per il recupero delle somme pagate senza giusta causa. Ad ogni modo, senza dover approfondire ulteriormente la questione, è chiaro che la ratio della normativa sull’estorsione così come dei suoi elementi essenziali si sta sempre più soggettivizzando, dimenticando che la ratio non è semplicemente un fine”, ma innanzi tutto l’ipotesi tipica che il legislatore ha avuto a mente nel vietare i fatti penalmente sanzionati ed è quindi connotata da elementi oggettivi. ai fini dell’estorsione. Certamente la paura” dell’offeso è essenziale nell’estorsione, ma sicuramente un male concretamente realizzabile dall’agente è cosa diversa da un male immaginario” e se tale paura non è connessa ad una minaccia che in effetti dipenda dall’agente, allora si può dire, senza alcun dubbio, che si sia all’interno dalla sfera tipica del delitto in questione. In fondo, la tipicità penale non è altro che un mezzo per impedire che cose diverse siano impropriamente equiparate, solo perché in talune situazioni vi siano elementi in comune, ma soprattutto per dare certezza su ciò che si può o non si può fare e quando vi è incertezza interpretativa se non si erra deve valere il sacrosanto principio in dubio pro reo . Si dirà ma vi sono esigenze di tutela sociale, id est repressive. Se non che è facile rispondere che se la legge non è chiara e se dopo millenni ancora si discute su cosa sia minaccia” ai fini dell’estorsione, non è forse tempo di procedere, con legge e con responsabilità politica, ad una sua seria delimitazione?

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 23 maggio – 2 agosto 2018, n. 37526 Presidente Davigo – Relatore Pazienza Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 14/03/2017, la Corte d’Appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza la sentenza emessa in data 13/03/2015 dal Tribunale di Roma, con la quale B.L. era stato condannato alla pena di giustizia in relazione ai delitti di truffa aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 7 cod. pen., a lui ascritti ai capi A , D E , G , all’ulteriore delitto di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, secondo comma, n. 2, cod. pen. così diversamente qualificata l’originaria imputazione di estorsione di cui al capo C , al delitto di falso di cui al capo B , nonché dell’ulteriore reato di guida senza patente di cui al capo H , oltre alla condanna al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili C.M. e S.D. . In particolare, la Corte d’Appello ha assolto il B. dal reato sub B , ha dichiarato non doversi procedere per i reati sub E , G H per intervenuta prescrizione, ed ha qualificato nuovamente quale estorsione il fatto di cui al capo C , rideterminando conseguentemente il trattamento sanzionatorio per il predetto reato e le ulteriori residue imputazioni di cui ai capi A e D , e confermando nel resto. 2. Ricorre per cassazione il B. , a mezzo del proprio difensore, deducendo 2.1. Violazione dell’art. 629 cod. pen., in relazione all’art. 606, lett. b , cod. proc. pen. Si censura la decisione della Corte, che aveva disatteso la preferibile interpretazione, accolta dal giudice di primo grado, in tema di distinzione tra i delitti di estorsione e di truffa aggravata dal timore di un pericolo immaginario dovendo ritenersi configurabile tale seconda figura di reato nelle ipotesi in cui la minaccia è frutto di artifici e raggiri, come tale impossibile da realizzare per l’agente, pur eventualmente non irrealizzabile in termini assoluti. Nella specie, il timore ingenerato nella persona offesa era correlato alla possibilità, paventata dal B. , di un intervento ai suoi danni dei servizi segreti, correlato ad una in realtà inesistente appartenenza di tale soggetto a quel sistema. 2.2. Omessa motivazione in ordine alle doglianze dedotte in appello quanto alla ritenuta inammissibilità della richiesta di patteggiamento. Si deduce che la decisione del Tribunale era stata criticata sia perché era possibile rinnovare in termini diversi la richiesta, rispetto a quanto prospettato in udienza preliminare essendo quindi irrilevanti i termini del patteggiamento lì proposti , sia perché una parte della giurisprudenza ritiene possibile definire ex art. 444 cod. proc. pen. anche una parte delle imputazioni ascritte. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Con il primo motivo, il ricorrente si duole della riqualificazione della condotta sub C - operata dalla Corte territoriale in accoglimento dell’appello proposto dal P.M. - ai sensi dell’art. 629 cod. pen., e quindi in linea con l’originaria contestazione pur con l’esclusione dell’aggravante di cui al capoverso del predetto articolo, contestata al capo C laddove invece il Tribunale aveva ritenuto che la condotta del B. - ottenimento dal C. della ulteriore somma di Euro 5.800 da parte del C. , con la minaccia, in caso contrario, di gravissime conseguenze - dovesse essere ricondotta nell’alveo della truffa aggravata da un pericolo immaginario tale somma andava ad aggiungersi a quella, ben più ingente, già consegnata dal C. al B. , che aveva fatto credere alla persona offesa di poter lavorare per i servizi segreti cfr. l’imputazione di truffa aggravata ai sensi del n. 7 dell’art. 61 cod. pen., contestata al capo A . 2.1. Come emerge chiaramente dalle motivazioni delle sentenze di merito, e dallo stesso ricorso, la decisione del Tribunale è stata assunta in adesione all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui mentre gli elementi caratterizzanti la condotta estorsiva sono la violenza e la minaccia , quelli qualificanti il comportamento truffaldino - anche nell’ipotesi aggravata della prospettazione del pericolo immaginario - sono, pur sempre, gli artifizi e raggiri in quest’ultima ipotesi infatti la minaccia, poiché riguarda un male non reale, ma immaginario, assume i contorni dell’inganno perché contribuisce alla induzione in errore della parte offesa del reato attraverso la prospettazione del falso pericolo Sez. 2, n. 8456 del 18/04/1995 Ud. dep. 26/07/1995 Rv. 202347 in senso analogo, Sez. 2, n. 52121 del 25/11/2014, Danzi . Ponendosi in tale ottica interpretativa - che non conferisce alcun rilievo alla provenienza del danno minacciato né allo stato psicologico della vittima - il Tribunale ha ricondotto alla truffa aggravata l’ottenimento di ulteriori somme, da parte del B. , facendo presente al C. che i Servizi segreti avrebbero impiegato poco tempo a farlo sparire, e che egli stesso, dinanzi ad un prestito non onorato, aveva fatto intervenire propri agenti non già presso il debitore, ma presso i genitori di quest’ultimo cfr. pag. 8 della sentenza di primo grado essendo dirimente, nell’ottica fatta propria dal giudice di primo grado, il carattere immaginario della prospettazione, essendo il B. in realtà estraneo ai Servizi. 2.2. La riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 629 cod. pen., da parte della Corte d’Appello, è stata per converso determinata dall’adesione del Collegio all’indirizzo interpretativo secondo cui integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell’agente, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorché in contrasto con la realtà, a lei ignota così da ultimo Sez. 2, n. 21974 del 18/04/2017, Cianci, Rv. 270072 in senso analogo, tra le altre, Sez. 2, n. 46084 del 21/10/2015, Levak, secondo cui il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente mentre si configurando, invece, l’estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato . V. anche Sez. 2, n. 11453 del 17/02/2016, Guarnieri, Rv. 267124, secondo la quale il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, è rappresentato dalla concreta efficacia coercitiva, e non meramente manipolativa, della condotta minacciosa rispetto alla volontà della vittima, da valutarsi con verifica ex ante , che prescinde dalla effettiva realizzabilità del male prospettato . Ponendosi in tale prospettiva, la Corte ha ravvisato il delitto di estorsione avendo l’imputato prospettato al C. una situazione di pericolo riconducibile alla propria condotta o, comunque, a quella dei servizi segreti nel cui ambito egli era inserito inoltre, il far mostra continuamente di una pistola e il rammentare alla persona offesa le conseguenze che altri, prima di lui, avevano dovuto subire, furono comportamenti idonei a far ritenere alla vittima di non avere alternative cfr. pag. 10 della sentenza impugnata . 2.3. Ritiene il Collegio che la qualificazione in termini di estorsione della condotta ascritta al B. sia corretta, non solo perché il secondo indirizzo richiamato trova un costante riscontro nelle più recenti decisioni di questa Suprema Corte cfr. da ultimo Sez. 2, n. 33077 del 18/04/2018, Urraso Sez. 2, n. 24903 del 08/03/2018, Palena Sez. 2, n. 53799 del 14/11/2017, Abbate , ma perché, nella fattispecie in esame, non può non attribuirsi rilievo all’avere il B. ripetutamente palesato, al C. , la propria disponibilità di una pistola. L’accertamento di tale specifica circostanza fattuale da parte della Corte d’Appello, non contestato dal ricorrente con l’odierno ricorso, induce ad escludere che la minaccia di gravi conseguenze per il C. , in caso di rifiuto della consegna del danaro, abbia avuto connotazioni immaginarie , essendosi del resto inserita in un contesto eloquentemente descritto dalla persona offesa cfr. pag. 4 sent. di primo grado, che riporta le parole del C. nella parte in cui riferiva che, pur se il B. non aveva mai minacciato di usare la pistola nei suoi confronti, il suo semplice far in modo che io la vedessi costituiva per me una minaccia larvata considerando il clima di paura timore intimidazione, a cui egli mi sottoponeva . Ed è appena il caso di evidenziare che, a tali conclusioni, non osta il fatto che la Corte d’Appello non abbia ritenuto integrata l’aggravante di cui al capoverso dell’art. 629 cod. pen., evidentemente valorizzando il fatto che l’arma non era stata utilizzata come diretto ed esplicito strumento di minaccia non vi è invero espressa motivazione sul punto ma ogni approfondimento al riguardo appare ultroneo, in assenza di impugnazione quel che rileva, ai fini che qui specificamente interessano, è l’impossibilità di ricondurre le prospettazioni del RUSSO - anche quando ricordava al C. le irruzioni dei suoi agenti presso i genitori di chi non pagava - nell’ambito dei meri pericoli immaginari . 3. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso. Assume invero un rilievo assorbente il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui in tema di riti alternativi, è inammissibile la richiesta di patteggiamento riguardante solo alcuni dei reati contestati Sez. 3, n. 41138 del 23/05/2013, Lukasuak, Rv. 256929 Sez. 2, n. 11284 del 06/12/2012, Hounaini, Rv. 255301 Sez. 6, n. 48651 del 18/11/2014, Biondelli . La necessità di applicare il principio in questione anche all’istanza di patteggiamento presentata nell’interesse del B. rende irrilevante l’omessa pronuncia della Corte territoriale sul corrispondente motivo di appello, alla luce del consolidato orientamento secondo cui in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012, dep. 2013, Tannoia, Rv. 256314 . 4. Le considerazioni fin qui svolte impongono il rigetto del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Il B. deve essere altresì condannato alla rifusione delle spese processuali sostenute nel grado dalle parti civili C.M. e S.D. , che si liquidano, come da richiesta, in Euro 2.010.00 oltre rimborso forfettario al 15%, C.P.A. e I.V.A P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili C.M. e S.D. liquidate in Euro 2010,00 oltre rimborso forfettario al 15%, C.P.A. e I.V.A