Ancora sui confini tra concussione e induzione indebita a dare o promettere utilità

Il delitto di concussione è caratterizzato, da un lato, da un abuso costrittivo consistente nella minaccia di cagionare un danno ingiusto alla persona offesa che, senza trarre alcun vantaggio per sé, è posta di fronte all’alternativa di subire il danno o evitarlo, assecondando la pretesa illecita. Tale condotta si differenzia da quella di induzione indebita poiché quest’ultima lascia al suo destinatario effettivi margini di scelta se prestare acquiescenza alla richiesta di una prestazione non dovuta, perseguendo un tornaconto personale, o resistervi.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, sez. VI Penale, con la sentenza n. 37589/18 depositata il 2 agosto. Quando il vigile urbano pignolo propone l’”alternativa”. Immaginiamo la scena lei è in contravvenzione , sentenzia gravemente il tutore dell’ordine urbano di fronte ad un barista che aveva sconfinato sul suolo pubblico con i propri tavolini. E che sarà mai! pensa l’esercente, prima di sentirsi annunciare una multa da ben tremila euro. Povero barista sul suo volto pietrificato si disegna l’effigie dello stupore. Tremila euro?!? Il tutore dell’ordine urbano, raggiunto l’obiettivo di prospettare una temutissima e salatissima multa, assume di colpo un’aria complice e, sottovoce, propone l’alternativa uno sconto del cinquanta per cento e non ne parliamo più. Non è periodo di sconti, pensa il barista frastornato, prima di capire che la cassa dove potrà versare la sanzione ridotta non è quella del Comune, ma del vigile urbano. Accettata la proposta, scatta il tranello per il pubblico ufficiale furbacchione la somma è consegnata sotto forma di banconote false mentre alcuni Carabinieri, non visti, vedono e registrano tutto. Risultato una doppia conforme di condanna per concussione. Il ricorso per cassazione, però, rimette tutto in discussione. L’incerto confine tra induzione e concussione. All’indomani dell’ultima riforma dei reati contro la pubblica amministrazione, risalente al 2012, si generò notevole confusione interpretativa sui profili distintivi della neonata – all’epoca, s’intende – fattispecie di induzione indebita a dare o promettere utilità e quella, classica, di concussione. Quest’ultima, con i tratti somatici dell’estorsione, era ben identificabile e lungamente studiata sia in dottrina che in giurisprudenza allo scopo di distinguerla dalla figura giuridica della corruzione che appariva ed appare tutt’oggi come una contrattazione illecita tra corrotto e corruttore, posti su un piano di sostanziale parità di forza negoziale” . Il reato di induzione indebita, una novità nel panorama sanzionatorio, sembrava creato apposta per ingenerare dubbi interpretativi rispetto alla figura della concussione, nella quale prevale – nei fatti e nella norma – la caratteristica costrittiva. Le Sezioni Unite, intervenute nel 2013 con la nota pronuncia Maldera, hanno fornito alcune coordinate interpretative per distinguere l’area di intervento delle due fattispecie di concussione e induzione indebita. La prima è, come già osservato, una vera e propria coartazione che non lascia sostanzialmente alcun margine di scelta alla vittima subire il sopruso o subire il danno ingiusto. Nella induzione indebita, invece, il margine di manovra per la vittima è più ampio. Quest’ultima viene persuasa, indotta appunto, ad eseguire una prestazione indebita o a prometterne l’esecuzione. Il tratto distintivo più interessante tra le due fattispecie, tuttavia, è quello del tornaconto personale illecito, ovviamente della vittima esso è assente nel caso della concussione, ed è invece dominante nel caso della induzione indebita. In quest’ultimo caso chi subisce la persuasione” del pubblico ufficiale è animato da un intento antigiuridico che, tutto sommato, gli suggerisce di assecondare la pretesa indebita. Nel caso che ci occupa, secondo gli Ermellini, la qualificazione giuridica del fatto non è quella della concussione, bensì quella della induzione indebita in fondo, la vittima si determinava soltanto perché avrebbe evitato una contravvenzione. Induzione indebita consumata o tentata? Nel caso di specie la vittima fingeva di accettare la proposta del vigile urbano, per poi rivolgersi ai Carabinieri e organizzare quello che abbiamo definito un tranello” l’operazione di consegna del denaro falso veniva infatti ripresa nei minimi dettagli dai militari. Ecco che, a parere della Suprema Corte, il reato di induzione indebita si è fermato allo stadio di tentativo manca l’evento tipico della promessa o della dazione. La prima, infatti, veniva formulata con la riserva mentale di denunciare tutto ai Carabinieri, mentre la seconda – anch’essa simulata – consisteva nella consegna di banconote facsimile al solo scopo di cogliere il pubblico ufficiale con le mani nel sacco”.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 maggio – 2 agosto 2018, n. 37589 Presidente Paoloni – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Roma ha confermato l’appellata sentenza del 3 novembre 2015, con la quale il Tribunale di Roma ha condannato M.G. alla pena di legge per il reato di cui all’art. 317 cod. pen. In particolare, al ricorrente è contestato di avere, quale pubblico ufficiale - in quanto funzionario di Polizia di omissis -, dopo un controllo amministrativo presso il e la contestazione verbale di due violazioni occupazione abusiva con tavolini e sedie di suolo pubblico privo di recinzione e mancanza di autorizzazione comunale per l’occupazione di un’area recintata per le quali asseriva di dover elevare una contravvenzione di 3.000 Euro, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, prospettato alla titolare dell’esercizio pubblico C.C. di aiutarla capisci me ne dai 1500 Euro a me a fronte di 3000 Euro per un anno stai tranquilla, poi l’anno prossimo vediamo e, quindi, costretto la medesima a promettere il versamento della somma di 1.310 Euro, poi consegnata nell’equivalente in facsimile di banconote sotto il diretto monitoraggio dei Carabinieri. 2. M.G. ricorre avverso il provvedimento e ne chiede l’annullamento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 317 e 319-quater cod. pen., per avere la Corte d’appello erroneamente qualificato il fatto quale concussione anziché come induzione indebita. A sostegno dell’assunto, la difesa evidenzia che, contrariamente a quanto ritenuto dal Collegio del gravame, la violazione amministrativa prospettata dal M. alla C. - comportante il pagamento della somma di 3.000 Euro - non può ritenersi inesistente . Il funzionario Fantozzi, sentito come teste, ha invero richiamato la risoluzione del Ministero dello sviluppo economico n. 145811 dell’agosto 2014 secondo la quale l’occupazione del marciapiede con tavoli e sedie non può qualificarsi quale ampliamento sanzionabile ai sensi dell’art. 11, comma IX, L.R. 29 novembre 2006, n. 21, ma ha omesso di riferire che, prima di tale risoluzione, trovava applicazione la circolare n. 210917 del 9 dicembre 2009 della Regione Lazio, in forza della quale l’occupazione costituisce ampliamento , circostanza confermata anche dal teste L.P. . Di tale circolare aveva appunto fatto applicazione M. nel caso di specie. 2.2. Con il secondo motivo, la difesa eccepisce la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione in relazione agli artt. 317 e 319-quater cod. pen., per avere la Corte errato nel qualificare il fatto come concussione anziché come induzione indebita. A sostegno del rilievo, la difesa pone in luce che, stando anche alla stessa versione dei fatti della persona offesa, non risulta provata alcuna condotta intimidatoria dell’imputato tale da annientare la libertà di autodeterminazione o da comportare uno stato di soggezione della vittima, la quale ha chiarito di avere finto di accettare la proposta, avendo già deciso di denunciare l’accaduto alla Polizia. 2.3. Con il terzo motivo, M. rileva la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 323-bis cod. pen., per avere la Corte denegato l’applicazione della circostanza attenuante in oggetto nonostante l’esiguità del vantaggio patrimoniale conseguendo dall’imputato 1.310 Euro . 2.4. Con il quarto ed ultimo motivo, l’impugnate deduce la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 538 cod. proc. pen., per avere la Corte erroneamente confermato l’entità del risarcimento del danno nei confronti della parte civile nella misura di 10.000 Euro sebbene ella abbia riportato soltanto un danno di natura morale, in relazione ad una condotta di breve durata e non implicante alcuna violenza fisica. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte. 2. Ritiene il Collegio che il fatto così come congruamente ricostruito dai Giudici della cognizione sia stato erroneamente qualificato come concussione e debba, piuttosto, essere sussunto sotto la fattispecie dell’induzione indebita tentata. 2.1. Mette conto rammentare come, secondo l’insegnamento ormai consolidato di questo Supremo Collegio, il delitto di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen., nel testo modificato dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, sia caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater cod. pen. introdotto dalla medesima legge n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013 - dep. 14/03/2014, Maldera, Rv. 258470 Sez. 6, n. 8963 del 12/02/2015, M. , Rv. 262503 . Si è ancora affermato che la minaccia di un danno ingiusto del pubblico ufficiale finalizzata a farsi dare o promettere denaro o altra utilità, posta in essere con abuso della qualità o dei poteri, integra il delitto di concussione e non quello di induzione indebita pur quando la persona offesa, cedendo alle pretese dell’agente, consegue anche un vantaggio indebito, sempre che quest’ultimo resti marginale rispetto al danno ingiusto minacciato Sez. 6, n. 6056 del 23/09/2014 - dep. 10/02/2015, Staffieri, Rv. 262332 . 2.2. Il discrimen fra le due fattispecie incriminatrici poggia dunque su due distinti aspetti per un verso, sulla diversa intensità della pressione condizionante dispiegata dall’agente per altro verso, sull’esistenza o meno di un vantaggio illegittimo della vittima. Si deve pertanto ritenere che la minaccia di un danno ingiusto del pubblico ufficiale finalizzata a farsi dare o promettere denaro o altra utilità, posta in essere con abuso della qualità o dei poteri, integri il delitto di concussione e non quello di induzione indebita allorquando, per un verso, l’intimidazione sia connotata da un’intensità tale da incidere pesantemente sulla libertà di autodeterminazione del destinatario e da trasmodare dunque in una vera e propria costrizione per altro verso, non sia ravvisabile un vantaggio indebito in capo alla persona offesa o comunque esso resti marginale rispetto al danno ingiusto minacciato. 3. Di tali coordinate non ha fatto buon governo la Corte distrettuale allorché ha escluso la possibilità di inquadrare il fatto come contestato e ricostruito all’esito dell’istruttoria dibattimentale nell’ipotesi di cui al combinato disposto degli artt. 56 e 319-quater cod. pen 3.1. Sotto un primo aspetto, ritiene il Collegio che - come correttamente rilevato dalla difesa -, nella specie, non possa affermarsi che la minaccia rivolta dal M. alla C. avesse ad oggetto l’elevazione di una sanzione amministrativa in radice insussistente. 3.2. Al riguardo, deve essere notato come la questione circa la ravvisabilità o meno di un ampliamento sanzionabile ai sensi della L.R. 29 novembre 2006, n. 21, in caso di occupazione del suolo pubblico marciapiede da parte degli esercenti di bar e ristoranti con i c.d. dehor è stata in passato controversa anche fra gli addetti ai lavori, tanto da richiedere un espresso e formale chiarimento da parte del Governo. Ed invero, con la risoluzione n. 145811 del 14 agosto 2014, il Ministero dello Sviluppo Economico nella persona del Direttore Generale , chiamato dal Comando dei Vigili Urbani di un Municipio a dare risposta al quesito concernente l’inquadramento giuridico dell’ occupazione di suolo privato con tavoli e sedie per ampliamento attività , abbia chiarito come detta occupazione non comporti ampliamento della superficie di vendita sanzionabile ai sensi dell’art. 11, comma 9, L.R. 29 novembre 2006, n. 21. Vista la prossimità della risoluzione chiarificatrice del Ministero del 14 agosto 2014 rispetto alla commissione del fatto in data 20 ottobre 2014 e la tecnicità e problematicità della questione, non è logicamente implausibile che M. - nel momento in cui faceva firmare alla C. il c.d. talloncino di verifica della Segnalazione Certificata di Inizio di Attività SCIA , le mostrava velocemente un verbale e le diceva che per le infrazioni commesse avrebbe dovuto pagare una contravvenzione di oltre 3.000 Euro, appunto compatibile con la disciplina sanzionatoria della citata L.R. n. 21/2006 avanzando subito dopo la richiesta del versamento di una somma di 1.500 Euro per omettere dette contestazioni - ignorasse detta indicazione ministeriale e, dunque, prospettasse una conseguenza sanzionatoria stimata realmente applicabile. 3.3. Ad ogni modo, non può sottacersi come l’occupazione del marciapiedi da parte della C. integrasse comunque una violazione - sia pure meno grave - al codice della strada, implicante il pagamento di una sanzione pecuniaria sia pure per una somma di gran lunga inferiore a quella 3000 Euro . 3.4. Tirando le fila delle considerazioni sopra svolte, ritiene la Corte che stando proprio alla ricostruzione storico fattuale compiuta dai Giudici della cognizione - la richiesta di denaro formulata dal pubblico ufficiale fosse certamente ingiusta là dove egli chiedeva l’esborso della somma non dovuta di 1.500 Euro per non porre in essere un atto d’ufficio, id est per non elevare la contravvenzione e nondimeno fosse tale - qualora accolta - da realizzare un indebito vantaggio alla persona offesa, esercente un’attività di somministrazione di bevande al pubblico con dehor, esposta quotidianamente a controlli e possibili sanzioni per l’occupazione del suolo pubblico. 3.5. Sotto diverso aspetto, occorre considerare sempre avendo riguardo alla ricostruzione compiuta dai decidenti di merito alla luce della versione dei fatti della persona offesa come la minaccia profferita dal M. nel prospettare un male contra ius, seppure idonea ad esercitare una pressione morale sulla vittima, non fosse comunque connotata da una carica intimidatoria così intensa da annientare totalmente la libertà di autodeterminazione della vittima e da non lasciarle alcun significativo margine di scelta, ma si sia mantenuta entro i confini della convinzione, della persuasione, sia pure abusiva. 4. Ritiene allora il Collegio che il fatto debba essere qualificato come tentativo di induzione indebita, non potendosi ritenere perfezionato l’evento tipico della fattispecie di cui all’art. 319-quater cod. pen. in alcuna delle forme alternative della promessa e della dazione . 4.1. Non è revocabile in dubbio che il delitto si consumi già con la mera promessa di denaro o altra utilità e, tuttavia, ai fini del perfezionamento, deve ovviamente trattarsi una promessa valida ed effettiva. Validità che non può ritenersi provata in termini di certezza nella specie, là dove - proprio avendo riguardo alle specifiche connotazioni della vicenda sub iudice, come delineate nelle sentenze di merito - la C. , dopo avere ricevuto diverse visite del M. e subito l’abuso induttivo del pubblico ufficiale, si determinava a denunciare l’imputato ai Carabinieri e, quindi, simulava di accettare la proposta, concordando con il ricorrente la consegna delle banconote, poi avvenuta mediante la dazione dei facsimile sotto il diretto monitoraggio degli inquirenti. In altri termini, nel momento in cui accettava la proposta del M. , la donna fingeva soltanto di impegnarsi a consegnare il denaro richiesto rivolgendosi subito dopo agli inquirenti. Dissimulazione che appunto impedisce di conferire validità alla promessa e impone di ritenere arrestatasi la condotta sulla soglia del tentativo. 4.2. Tanto premesso, occorre fare applicazione del principio di diritto già affermato da questo Giudice della nomofilachia, secondo il quale il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319-quater cod. pen. non integra un reato bilaterale, in quanto le condotte del soggetto pubblico che induce e del privato indotto si perfezionano autonomamente ed in tempi diversi, sicché il reato si configura in forma tentata nel caso in cui l’evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico agente. Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione in termini di tentativo di un’ipotesi in cui il soggetto passivo aveva denunciato la richiesta di denaro formulata dal pubblico ufficiale, consentendo anche la registrazione del colloquio nel corso del quale la richiesta veniva reiterata Sez. 6, n. 35271 del 22/06/2016, Mercadante e altro, Rv. 267986 Sez. 6, n. 6846 del 12/01/2016 - dep. 22/02/2016, Farina e altro, Rv. 265901 Sez. 6 n. 32246 del 11/04/2014, Sorge, Rv. 262075 . Ed invero, il tentativo di induzione indebita prevista dagli artt. 56 e 319-quater c.p., non implica la necessità dell’ulteriore requisito costituito dal perseguimento di un indebito vantaggio da parte dei privati, là dove detto requisito, giustifica - in coerenza con i principi fondamentali del diritto penale e con i valori costituzionali in tema di colpevolezza, pretesa punitiva dello Stato, proporzione e ragionevolezza - la punibilità dell’indotto che abbia dato o promesso l’utilità al pubblico ufficiale, secondo quanto sottolineato, nella pronuncia poc’anzi richiamata, dalle Sezioni unite Maldera, secondo cui esso assurge al rango di criterio di essenza della fattispecie induttiva. Nondimeno, detto elemento è necessario solo nell’ipotesi della consumazione del reato di cui all’art. 319-quater c.p., e non anche in quella del tentativo atteso che, qualora il privato - come nel caso sub iudice - non dia o non prometta denaro o altra utilità al pubblico ufficiale, resistendo alle illecite richieste di quest’ultimo, viene meno la ratio posta a base del requisito del perseguimento di un indebito vantaggio da parte del privato v. nella motivazione della sentenza Sorge cit. . 4.3. Ne discende che, nel caso in cui il privato resista alla condotta abusiva del pubblico ufficiale e si rivolga alle forze dell’ordine prima di porre validamente in essere una delle due condotte tipiche promessa o dazione , è integrato il tentativo di induzione indebita, a prescindere dal perseguimento/conseguimento di un ingiusto vantaggio da parte dell’indotto. 5. È invece immune dai denunciati vizi il passaggio argomentativo della sentenza col quale il Collegio distrettuale ha escluso l’applicabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen 5.1. Il Giudice a quo ha invero esaustivamente e convincentemente spiegato a pagina 12 della sentenza come il vantaggio patrimoniale preteso dall’imputato pari a 1.310 Euro non possa ritenersi di minima entità. La decisione sul punto si pone, dunque, perfettamente in linea con il dettato normativo della norma su indicata e con la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui detto elemento circostanziale può ravvisarsi allorché il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato v. da ultimo Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Di Marzio e altri, Rv. 259501 . 6. Infine, non è coltivabile nella sede di legittimità l’ultima deduzione concernente la commisurazione del risarcimento del danno morale nei confronti della parte civile in misura di 10.000 Euro . 6.1. In via preliminare, mette conto di precisare come dalla disposta riqualificazione giuridica del fatto da concussione a tentativo di induzione indebita non discenda la trasformazione del privato da vittima a concorrente nel reato, sia pure nella particolare forma di cui all’art. 319-quater, comma secondo, cod. pen Ed invero, acclarata la natura non necessariamente bilaterale del reato di induzione indebita, qualora il mancato perfezionamento dell’incriminazione consegua proprio dalla resistenza opposta dal destinatario dell’abuso induttivo del pubblico ufficiale, al privato può certamente essere riconosciuta la veste di vittima in senso proprio della condotta indebita del soggetto qualificato, con conseguente diritto al risarcimento del danno, ovviamente allorché ne ricorrano le condizioni. 6.2. Ciò posto, deve essere ribadita la costante lezione ermeneutica di questa Corte, secondo cui la liquidazione del danno non patrimoniale, sfuggendo ad una precisa valutazione analitica, resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito, che sono incensurabili col ricorso di legittimità quando contengano l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico adottato Sez. 5, n. 6018 del 23/01/1997, Montanelli, Rv. 208086 Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli e altro, Rv. 263450 . 6.3. Non è pertanto scrutinabile in questa Sede il discorso giustificativo svolto a sostegno della determinazione del risarcimento del danno, là dove la Corte distrettuale ha soppesato il pregiudizio morale sofferto dalla C. ed ha commisurato l’entità del ristoro sia pure in via equitativa v. pagina 18 della sentenza . 7. Conclusivamente, sussunta la fattispecie concreta in quella dell’induzione indebita tentata, si deve rinviare ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma per nuova determinazione della pena. 7.1. In tale sede, la Corte dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese di rappresentanza e difesa della costituita parte civile. P.Q.M. Riqualificato il fatto ai sensi degli artt. 56 e 319-quater cod. pen., annulla la sentenza impugnata e rinvia per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di rappresentanza e difesa della costituita parte civile.