Viola gli arresti domiciliari perché dopo il litigio con la moglie si reca dai Carabinieri, è evasione?

Può considerarsi colpevole del reato di evasione per abbandono del luogo degli arresti domiciliari l’imputato che, dopo aver litigato con la moglie, si allontani dalla propria abitazione per andare alla stazione di Carabinieri per chiedere di essere condotto in carcere? Gli orientamenti contrastanti e la risposta dalla Cassazione.

Sulla questione la Suprema Corte con sentenza n. 36808/18, depositata il 31 luglio. Il caso. La Corte territoriale, riformando la decisione di prime cure, aveva assolto l’imputato dal delitto di evasione con la formula perché il fatto non costituisce reato”, sul presupposto dell’insussistenza del dolo. In particolare il Giudice di merito osservava che non poteva costituire reato la condotta dell’imputato che aveva lasciato la casa nella quale era agli arresti domiciliari raggiugendo una stazione dei Carabinieri per chiedere di essere condotto in carcere perché aveva discusso con la moglie. Contro la decisione di merito il Procuratore Generale ha proposto ricorso per cassazione deducendo l’erronea applicazione della legge in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato. I due orientamenti sul dolo nel reato di evasione. Osservano i Giudici di Cassazione che sulla questione esistono due opposti orientamenti. Secondo il primo, maggioritario, il dolo nel reato di evasione per abbandono del luogo dei domiciliari è generico e, per questo, per la sua sussistenza basta la volontà di allontanarsi non rivestendo alcun importanza lo scopo che l’agente si propone con la sua azione . A detto orientamento si oppone quello secondo cui il dolo non sussiste quando il soggetto agli arresti domiciliari presso la propria abitazione si allontani per recarsi, per via diretta, alla stazione dei Carabinieri in quanto, in questo caso, deve escludersi ogni offensività concreta , posto che l’imputato non ha avuto la volontà di sottrarsi al controllo da parte dell’autorità tenuta alla vigilanza. Nella sentenza in commento la Suprema Corte ha aderito all’orientamento maggioritario ribadendo che per violare il precetto è sufficiente il dolo generico costituito dalla conoscenza e volontà di allontanarsi arbitrariamente dal domicilio, indipendentemente dalla possibilità – da parte di coloro che ne sono addetti – di effettuarne il controllo . Ciò in quanto il perimetro di offensività della norma incriminatrice si incentra sul doveroso rispetto della decisione da parte del destinatario che – affidandosi alla capacità di quest’ultimo – gli consente la modalità autocustodiale in parola . Di conseguenza, nel caso di specie, secondo la Cassazione deve annullarsi la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio, in quanto la Corte d’Appello ha assolto l’imputato pur riconoscendo la sua volontà arbitraria e in violazione delle prescrizioni connesse allo stato cautelare.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 31 maggio – 31 luglio 2018, n. 36808 Presidente Di Stefano – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma, a seguito di gravame interposto dall’imputato C.E. avverso la sentenza emessa il 26.5.2010 dal Tribunale di Tivoli, in riforma della decisione ha mandato assolto il predetto dal reato di cui all’art. 385 cod. pen. ascrittogli perché il fatto non costituisce reato. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma deducendo erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla esclusione dell’elemento psicologico del reato facendo leva sull’orientamento di legittimità secondo il quale è irrilevante lo scopo che l’agente di propone con la sua azione, essendo sufficiente la consapevolezza di assentarsi dal luogo di detenzione in modo indebito. In ogni caso, anche a voler dare rilevanza alla volontà di sottrarsi alla vigilanza, dovrebbe essere verificata la previa comunicazione dal luogo di detenzione dell’agente alla autorità di p.g. preposta alla vigilanza al fine di recepirne le indicazioni o comunque prima di recarsi per la via più breve in caserma. Sotto quest’ultimo aspetto, deduce il ricorrente, alcun accertamento risulta essere stato effettuato dalla Corte di merito che solo avrebbe potuto dimostrare la volontà di non sottrarsi alla vigilanza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. La Corte di merito ha assolto l’imputato dal reato di evasione ascrittogli ritenendo insussistente il dolo del reato facendo leva sull’orientamento espresso da Sez. 6 n. 25583/2013 ed in base alla ricostruzione in fatto secondo la quale l’imputato si era recato dai CC presso i quali è stato sorpreso con un borsone al seguito contenente i suoi indumenti chiedendo di essere condotto al carcere di Rebibbia in quanto aveva avuto una grossa discussione con la moglie e non poteva più restare a casa. 3. Osserva questo Collegio che, in materia, si rilevano due opposti orientamenti. Il primo, maggioritario, secondo il quale il dolo del reato di evasione per abbandono del luogo degli arresti domiciliari è generico, essendo necessaria e sufficiente - in assenza di autorizzazione - la volontà di allontanamento nella consapevolezza del provvedimento restrittivo a proprio carico, non rivestendo alcuna importanza lo scopo che l’agente si propone con la sua azione Sez. 6, n. 7842 del 01/06/2000, Vernucci R., Rv. 217557 Sez. 6, n. 19639 del 09/01/2004, C. , Rv. 228315 Sez. 6, n. 10425 del 06/03/2012,Ghouila, Rv. 252288 Sez. 6, n. 22109 del 13/05/2014, Costa, Rv. 262537 Sez. 6, n. 8614 del 25/02/2016, Cantiello, Rv. 266508 . L’ultima delle decisioni citate - in fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio - ha affermato che integra il reato di evasione la condotta di volontario allontanamento dal luogo di restrizione domiciliare e di presentazione presso la stazione dei Carabinieri ancorché per chiedere di essere ricondotto in carcere così Cass. Sez. 6, sent. n. 22109 del 13.05.2014, Rv. 262537 , significando, con il conforto di ulteriori precedenti di legittimità, che qualsiasi condotta di volontario allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, in difetto di previa autorizzazione da parte della competente A.G., vale ad integrare il reato previsto e punito dall’art. 385 cod. pen., comportando la lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice al rispetto dell’autorità delle decisioni giudiziarie, a tale riguardo non assumendo alcun rilievo, in senso contrario, né la durata o la distanza dello spostamento, né i motivi alla base della determinazione del soggetto agente, ove pure riconducibili al deterioramento del rapporto con i familiari conviventi, trattandosi di situazione ad esempio ovviabile mediante la richiesta di mutamento del domicilio della restrizione cfr., in particolare, Cass. Sez. 6, sent. n. 29679 del 13.03.2008, Rv. 240642 . Al predetto orientamento si oppone quello secondo il quale, in fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio, in tema di evasione, deve ritenersi insussistente il dolo nella condotta di colui che, trovandosi agli arresti domiciliari presso la propria abitazione, se ne allontani per recarsi, per la via più diretta, alla stazione dei Carabinieri. Sez. 6, n. 25583 del 05/02/2013, Giannone, Rv. 256806 e, ancora, non integra il delitto di evasione la condotta di chi, trovandosi in stato di detenzione domiciliare, si allontani dalla propria abitazione per farsi trovare al di fuori di essa in attesa dei carabinieri, prontamente informati della sua intenzione di volere andare in carcere Sez. 6, n. 44595 del 06/10/2015, Ranieri, Rv. 265451 . Tale ultima decisione ha spiegato che deve essere esclusa ogni offensività concreta, ex art. 49, comma secondo, cod. pen., nella condotta dell’imputato, mai sottrattosi alla possibilità di controllo da parte dell’autorità tenuta alla vigilanza. 4. Ritiene questo Collegio di aderire all’orientamento maggioritario dovendosi considerare l’oggetto della tutela penale del reato in questione costituito dall’autorità della decisione giudiziaria che - a fini cautelari o di espiazione della pena - sottopone il soggetto che ne è destinatario alla restrizione domiciliare, non rilevando né le motivazioni né lo scopo di tale allontanamento. Cosicché è sufficiente a violare il precetto il dolo generico costituito dalla coscienza e volontà di allontanarsi arbitrariamente dal domicilio, indipendentemente dalla possibilità - da parte di coloro che ne sono addetti - di effettuarne il controllo. Non è infatti tale possibilità, eventuale nei tempi e nei modi, a segnare il perimetro di offensività della norma incriminatrice, incentrata - invece - sul doveroso rispetto della decisione da parte del destinatario che - affidandosi alla capacità di quest’ultimo - gli consente la modalità autocustodiale in parola. 5. Da quanto detto consegue la violazione da parte della Corte di merito della norma incriminatrice in quanto - pur rilevando una violazione delle prescrizioni connesse allo stato cautelare - ha ritenuto decisivo, ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico del reato di evasione, lo scopo dell’arbitrario allontanamento dell’imputato dalla abitazione presso la quale era stato ristretto affermando, inoltre, in modo manifestamente illogico la non sostanziale interruzione del suo stato di detenzione - al quale, invece, egli si era evidentemente consapevolmente sottratto - in relazione al suo successivo arresto. 6. Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.