Rifiuto di consegna del soggetto destinatario di MAE ed esecutività della pena

In caso di rifiuto di consegna del soggetto destinatario di MAE esecutivo resta fermo l’obbligo di assicurare l’effettiva esecuzione della pena inflitta da altro Stato membro dell’UE nei confronti del soggetto medesimo.

Questo è uno dei principi affermati dalla Cassazione con sentenza n. 36068/18, depositata il 27 luglio. Il fatto. La Corte d’Appello di Ancona, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di consegna dell’imputato, avanzata dall’autorità giudiziaria rumena sulla scorta di apposito MAE esecutivo, per dar luogo all’esecuzione delle sentenze definitive, rigettava la relativa istanza, in applicazione dell’art. 18, lett. r l. n. 69/2005 e disponeva contestualmente l’esecuzione, secondo il diritto interno, della relativa pena, senza procedere al formale riconoscimento delle due decisioni in questione, sulla scorta della ritenuta valenza derogatoria . Ciò premesso, l’oggetto della sentenza in commento è il ricorso promosso dal Procuratore Generale, il quale impugnava la decisione della Corte territoriale con la quale veniva dichiarata inammissibile l’istanza di riconoscimento, ex d.l.vo. n. 161/2010, delle sentenze del Tribunale rumeno. Secondo la Corte territoriale vi era difetto di legittimazione in capo alla Procura Generale in quanto il decreto legislativo richiamato presuppone un impulso inscindibilmente derivante da una collaborazione tra Stati attraverso i rispettivi organi politici, ossia i Ministeri in attuazione dell’art. 12 del citato decreto che scandisce l’ iter procedurale da seguirsi e dell’art. 3 che limita in via generale l’intervento della AA. GG. Ai soli aspetti relativi allo scambio documentale e di corrispondenza e previo costante obbligo di informativa al Ministero . L’obbligo di assicurare l’effettiva esecuzione della pena. Per risolvere la questione la Cassazione ha richiamati i principi affermati in materia dalla Corte di Giustizia con sentenza C-579/15 del 29 giugno 2017 ed, in particolare, i Giudici di legittimità hanno ritenuto che la decisione di rifiuto di consegna dell’imputato in relazione al MAE esecutivo emesso nei suo confronti dalla A.G. rumena non ha in alcun modo inciso o caducato l’obbligo di dare esecuzione effettiva della pena, contestualmente assunto dallo Stato italiano nei confronti della Romania. In applicazione di ciò la Suprema Corte ha ritenuto doversi affermare i seguenti principi Il rifiuto di consegna di soggetto destinatario di MAE esecutivo, ai sensi dell’art. 18, lett. r l. n. 69/2005, lascia fermo l’obbligo di assicurare l’effettività dell’esecuzione della pena inflitta da altro Stato memento dell’Unione Europea nei confronti del soggetto medesimo L’esecutività della pena inflitta con sentenza irrevocabile da altro Stato membro dell’Unione Europea non può prescindere dal formale riconoscimento della sentenza medesima nei confronti del condannato, in assenza del quale non può dirsi adempiuto l’obbligo di assicurare l’effettiva esecuzione della pena e la relativa procedura. Mera sollecitazione alla Corte d’Appello. Inoltre la Cassazione, altresì, ha affermato che se la Corte d’Appello competente rifiuti la consegna di soggetto destinatario del MAE esecutivo senza contestualmente provvedere al formale riconoscimento della sentenza irrevocabile di condanna emessa da altro Stato membro, la successiva richiesta di riconoscimento, formulata dalla Procura Generale distrettuale all’anzidetta Corte d’Appello, costituisce mera sollecitazione, che discende dai già esercitati poteri d’impulso della procedura disciplinati dall’art. 12, d.l.vo. n. 1616/2010 . Da ciò discende che, nella fattispecie in esame, non vi è alcuna necessità di attivare ex novo i meccanismi di impulso della procedura prevista dal decreto richiamato e per questo motivo non ha alcun fondamento il difetto di legittimazione invocato dalla Corte territoriale. In particolare perché la richiesta della Procura Generale è una mera sollecitazione indirizzata alla Corte d’Appello, organo competente ed è formulata al di là delle attribuzioni di cui pure la stessa Procura Genera è depositaria in proprio, in tema di misure coercitive e di esecuzione conseguente al riconoscimento . In conclusione la Cassazione, dopo aver enunciato i citati principi, ha annullato la sentenza impugnata con trasmissione degli atti alla Corte d’Appello di Ancona perché faccia luogo alla procedura in questione, ai sensi del d.l.vo. n. 161/2010.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 – 27 luglio 2018, n. 36068 Presidente Capozzi – Relatore Tronci Ritenuto in fatto 1. Il procuratore generale presso la Corte d’appello di Ancona impugna l’ordinanza indicata in epigrafe, con cui l’anzidetta Corte distrettuale, richiesta dalla stessa Procura Generale di far luogo al riconoscimento, ex d.l.vo n. 161/2010, delle sentenze 25.11.2014 del Tribunale di Bacau irr. il 21.04.2015 e 03.12.2010 della Pretura di Moinesti irr. il 24.03.2011 , ha dichiarato la relativa istanza inammissibile, per difetto di legittimazione in capo alla succitata Procura Generale, affermando in proposito che il decreto legislativo di cui sopra presuppone un impulso inscindibilmente derivante da una collaborazione tra Stati attraverso i rispettivi organi politici, ossia i Ministeri , in conformità a quanto previsto dall’art. 12 del decreto medesimo, che scandisce l’iter procedurale da seguirsi, come pure dal precedente art. 3, che limita in via generale l’intervento delle AA. GG. ai soli aspetti relativi allo scambio documentale e di corrispondenza e previo costante obbligo di informativa al Ministero . 2. Assume, per contro, la ricorrente parte pubblica che la soluzione adottata dalla Corte dorica sarebbe connotata da violazione di legge e vizio alternativo di motivazione, perché espressione di una interpretazione miope ed asistematica non solo della normativa specifica - d.lgs. n. 161/2010 - ma di tutta la materia inerente alla cooperazione internazionale , improntata all’esigenza di rendere più snelle e veloci le relazioni tra Stati dell’Unione Europea al fine di creare un omogeneo spazio giudiziario comune, nella prospettiva di un miglioramento e facilitazione dei reciproci rapporti giurisdizionali con l’obiettivo di garantire un più elevato livello di libertà e sicurezza . Invero, secondo il ragionamento della Procura Generale, esistono evidenti punti di contatto tra la normativa di cui trattasi e quella in tema di mandato di arresto Europeo dunque, così come quest’ultima è da ricollegare alla decisione quadro 2002/584/GAI - nel cui Considerando, ai punti 5 e 6, è detto apertamente che il m.a.e. costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco , alla base della cooperazione giudiziaria, e che il ruolo delle autorità centrali nell’esecuzione del mandato d’arresto Europeo deve essere limitato all’assistenza pratica e amministrativa - allo stesso modo, la normativa sul riconoscimento delle sentenze penali rappresenta il precipitato della decisione quadro 2008/909/GAI, esplicitamente finalizzata all’introduzione di meccanismi moderni per il reciproco riconoscimento delle decisioni definitive di condanna . Il che si correla all’altrettanto espressa previsione per cui ciascuno Stato membro, proprio allo scopo di agevolare i rapporti diretti tra le autorità periferiche, è tenuto, quale autorità centrale, ad informare il Segretariato generale del Consiglio in merito all’autorità o alle autorità che in forza della propria legislazione nazionale sono competenti nella relativa procedura , essendo altresì sintomatico che la trasmissione di una sentenza o di un certificato, da uno Stato membro ad un altro, sia curata, d’ordinario, dall’autorità competente del primo. Inoltre - si prosegue - non è senza significato che il codice di rito, la cui normativa si applica per quanto non espressamente previsto dal decreto n. 161/2010 giusta il rinvio contenuto nell’art. 24 di detta fonte , individui all’art. 731 nel Procuratore Generale presso la Corte d’appello, già prima delle modifiche introdotte in materia dal recente d.lgs. n. 149/2017, l’organo al quale trasmettere copia della sentenza pronunciata all’Estero da riconoscere, risultando perciò logico e conseguente desumere che il Procuratore Generale possa avere un’autonomia di iniziativa quando venga a conoscere dell’esistenza direttamente dall’Autorità estera o tramite MAE disatteso - come, appunto, nella presente vicenda - onde evitare una situazione di stallo , ovvero una artificiosa e ridondante procedura di esecuzione, per cui il Procuratore Generale dovrebbe avvertire il Ministero perché richieda allo Stato membro di emissione nuovamente la documentazione relativa alla posizione giuridica del condannato e successivamente il Ministero la inoltri direttamente alla Corte d’appello, vanificando di fatto tutto lo slancio comunitario teso a tutelare l’effettiva esecuzione della pena con procedura agile e veloce . Eguale violazione di legge viene ravvisata dal P.G. ricorrente nel riferimento, operato dall’impugnato provvedimento, all’art. 3 del decreto n. 161/2010, rilevandosi in proposito che non è dato comprendere da quale passaggio la Corte anconetana abbia tratto il proprio convincimento circa la ritenuta limitazione funzionale dell’A.G., il cui intervento diretto è stato malamente reputato come circoscritto - come detto - ai soli aspetti relativi allo scambio documentale e di corrispondenza e previo costante obbligo di informativa al Ministero , laddove esso si estende a tutto ciò che è previsto dal decreto medesimo, fermo il succitato dovere di informazione nei confronti dell’Autorità politica centrale. 3. Con memoria pervenuta in cancelleria il 5 luglio scorso, il difensore del C. ha rivendicato la piena legittimità del provvedimento impugnato, significando come l’art. 12 del d.l.vo 161/2010, per precisa scelta del legislatore, non suscettibile di interpretazione né di aggiramento alcuno , preveda due uniche e possibili strade , nessuna delle quali è stata percorsa nel caso di specie. Non senza aggiungere come la ratio sottesa all’emanazione della decisione quadro alla base del citato decreto non possa essere sbrigativamente ridotta - così come pretende parte ricorrente - al mero tentativo di attivare procedure sommarie di riconoscimento della sentenza straniera anche allorquando la stessa deve essere eseguita in uno Stato diverso da quello di emissione , essendo invece finalizzata all’esigenza di sopperire ed integrare le lacune della precedente normativa in tema di MAE nei casi di consegna in executivis” e di favorire il reinserimento e la riabilitazione sociale della persona condannata, consentendole di mantenere i legami familiari, linguistici e cultural” cfr. Relazione illustrativa al d.lgs. 161/2010 . In senso contrario, nessuna valenza - si assume ancora - può essere riconosciuta alle disposizioni citate ex adverso, atteso che l’art. 3 d.l.vo 161/2010 non consente certo la possibilità di attribuzione di poteri di iniziativa ed intervento ulteriori e diversi da quelli espressamente contemplati dalla normativa stessa l’art. 24 del decreto medesimo riveste portata meramente residuale e non è pertanto qui invocabile, stante la dettagliata disciplina prevista per il riconoscimento della sentenza di altro Stato membro l’art. 731 cod. proc. pen., infine, oltre a non avere alcuna rilevanza applicativa nel caso di specie per le ragioni di cui ai precedenti punti assenza di lacune legislative e precisa attribuzione di funzioni ex d.lgs. 161/2010 , continua a conferire espressamente oggi così come nei testi previgenti il potere impulsivo di richiesta al solo Ministero della Giustizia . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, pur dovendosi meglio puntualizzare le ragioni che ne impongono l’accoglimento, alla stregua delle ragioni che seguono. 2. La peculiarità della presente vicenda poggia sul fatto che, con sentenza del 30.06.2015, passata in cosa giudicata - sentenza ripetutamente citata negli atti trasmessi ed opportunamente acquisita d’ufficio dal Collegio - la Corte d’appello di Ancona, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di consegna del C. , avanzata dall’A.G. romena sulla scorta di apposito m.a.e. esecutivo, onde dar luogo all’esecuzione delle medesime sentenze definitive oggetto del provvedimento qui impugnato, ebbe a rigettare la relativa istanza, in applicazione dell’art. 18 lett. r della legge n. 69/2005, contestualmente disponendo l’esecuzione, secondo il diritto interno, della relativa pena, senza procedere al formale riconoscimento delle due decisioni in questione, sulla scorta della ritenuta valenza derogatoria, asseritamente discendente dalla previsione dell’art. 4 n. 6 della decisione-quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002 , dunque senza tenere in alcuna considerazione il decreto legislativo n. 161 del 2010. Donde una serie di provvedimenti di seguito adottati dalla stessa Corte distrettuale, in qualità di giudice dell’esecuzione, tutti impugnati dal C. e tutti oggetto di annullamento senza rinvio in sede di legittimità, sulla scorta di altrettante sentenze di segno conforme, quanto all’impianto motivazionale posto a loro fondamento, di cui merita di essere richiamata, per tutte, la prima, da cui è stata estratta la massima che recita testualmente Non può essere revocata la sospensione condizionale della pena per effetto di sentenza straniera non riconosciuta secondo lo specifico procedimento disciplinato dal d.lgs. 7 ottobre 2010, n. 161, né, in difetto, il giudice dell’esecuzione cui sia avanzata una richiesta in tal senso ai sensi degli artt. 674 cod. proc. pen. e 168 cod. pen. può compiere attività valutative e pervenire ad accertamenti incidentali rimessi in via esclusiva alla competente sede cognitoria così Sez. 1, sent. n. 49757 del 25.10.2016 - dep. 2017, Rv. 271452, che ha quindi disposto l’immediata liberazione del prevenuto, non potendo appunto considerarsi le sentenze di cui trattasi titolo di revoca del beneficio fruito dal C. in relazione a condanna inflittagli dall’A.G. italiana . L’istanza sfociata nel provvedimento oggetto del ricorso è, dunque, all’evidenza, conseguenza diretta delle testé citate decisioni di annullamento, che, ancorché, in via incidentale, delimitano la portata della sentenza 30.06.2015 della Corte anconetana. 3. Tanto premesso, la soluzione della questione sottoposta al vaglio del Collegio scaturisce dai principi enunciati dalla Corte di Giustizia con la sentenza 29 giugno 2017, C-579/15. Nella circostanza, la Corte di Bruxelles, richiesta dell’esatta interpretazione dell’art. 4 punto 6 della decisione quadro 2002/584, in sede di rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale di Amsterdam, che ipotizzava il profilarsi della impunità della persona alla quale si riferisce il MAE , in caso di rifiuto di consegna per il suo constatato radicamento nello Stato membro, potendo la presa a carico dell’esecuzione della pena rivelarsi impossibile, in particolare a causa dell’assenza di una richiesta in tal senso proveniente dallo Stato membro emittente , ha stabilito come la corretta esegesi della disposizione citata valga ad impedire la paventata situazione di stallo. Ciò in quanto il diniego di consegna, legato all’accertato radicamento nello Stato membro del soggetto di cui è richiesta la consegna, rientrando nell’ambito delle ipotesi di deroga facoltativa all’obbligo di dare esecuzione al mandato, espressione del principio base del mutuo riconoscimento, presuppone, alla stregua dello stesso dato testuale del menzionato art. 4 punto 6, che il detto Stato membro, ove abbia recepito nel proprio ordinamento siffatta ipotesi derogatoria, prima di rifiutare la consegna, verifichi la possibilità di eseguire concretamente la pena, in conformità alle disposizioni del proprio ordinamento interno e - come leggesi nella parte motiva della citata sentenza comunitaria - in ossequio alla finalità perseguita dal motivo di non esecuzione facoltativo enunciato in tale disposizione che, secondo una ben consolidata giurisprudenza della Corte, consiste nel consentire all’autorità giudiziaria di esecuzione di accordare una particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale del ricercato una volta scontata la pena cui è stato condannato v., in tal senso, sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU C 2012 517, punto 32 e giurisprudenza ivi citata . Donde, per converso, la coerente conclusione alternativa che, ove lo Stato membro di esecuzione si trovi nell’impossibilità di impegnarsi ad eseguire effettivamente la pena , l’A.G. è tenuta a dar corso al m.a.e. e, dunque, a consegnare il ricercato allo Stato membro emittente . 4. Applicando i principi anzidetti alla specificità del caso sottoposto al vaglio del Collegio, si ha, dunque, che la decisione di rifiuto di consegna del C. , in relazione al m.a.e. esecutivo emesso nei suoi confronti dall’A.G. romena, non ha in alcun modo inciso e, tanto meno, caducato l’obbligo di dare esecuzione effettiva alla pena, contestualmente assunto dallo Stato italiano nei confronti della Romania v. in tal senso, in parte motiva, Sez. 6, ord. n. 57259 del 10.11.2017, Rv. 272182 . Obbligo - se possibile - viepiù rafforzato dalla constatazione che è stato lo stesso C. , in seno alla procedura definita con la ricordata sentenza irrevocabile 30.06.2015 della Corte d’appello dorica, a richiedere esplicitamente - per come emerge dalla piana lettura del relativo provvedimento - di eseguire la pena in Italia ed il cui assolvimento non può in alcun modo poggiare sulla pur adottata disposizione di esecuzione delle sentenze di cui trattasi, in assenza del titolo da eseguirsi, mai entrato a far parte dell’ordinamento nazionale. Non senza aggiungere che, escluso all’evidenza che il prevenuto possa giovarsi del rifiuto di consegna all’A.G. romena ed al contempo beneficiare di una indebita lettura paralizzante di quella stessa sentenza che ha sollecitato, la soluzione qui accolta, conforme a quanto già opinato dai tre arresti in precedenza citati di questa Corte, risponde ad una doverosa esigenza di garanzia, in quanto è volta ad assicurare che la più volte citata esecuzione effettiva della pena sia preceduta dalle verifiche di cui agli artt. 10 e ss. del d.l.vo n. 161 del 2010. Logico corollario di quanto precede è che non vi è alcuna necessità di attivare ex novo, nella presente fattispecie, i meccanismi d’impulso della procedura prevista dal decreto legislativo appena richiamato per i casi di trasmissione dall’estero , a mente dell’art. 12 del decreto medesimo, che si tradurrebbero in una superfetazione del tutto inutile e ridondante, così come rappresentato dal P.G. ricorrente per l’effetto, non ha alcun fondamento il difetto di legittimazione ravvisato dalla Corte distrettuale in capo alla Procura Generale anconetana, la cui istanza altro non è che una mera sollecitazione indirizzata alla Corte d’appello, organo competente ai sensi del combinato disposto dell’art. 2 della decisione quadro 2008/909/GAI del 27 novembre 2008 e dell’art. 9 del d.l.vo n. 161/2010, al di là delle attribuzioni di cui pure la stessa Procura Generale è depositaria in proprio, in tema di misure coercitive e di esecuzione conseguente al riconoscimento. 5. Devono essere pertanto enunciati i seguenti principi di diritto Il rifiuto di consegna di soggetto destinatario di m.a.e. esecutivo, ai sensi dell’art. 18 lett. r L. n. 69/2005, lascia fermo l’obbligo di assicurare l’effettività dell’esecuzione della pena inflitta da altro Stato membro dell’Unione Europea nei confronti del soggetto medesimo . L’esecuzione della pena inflitta con sentenza irrevocabile da altro Stato membro dell’Unione Europea non può prescindere dal formale riconoscimento della sentenza medesima nei riguardi della persona condannata, secondo la procedura di cui al d.l.vo 7 settembre 2010 n. 161, in assenza del quale l’obbligo di assicurare l’effettività dell’esecuzione della pena di cui sopra non può dirsi adempiuto e la relativa procedura esaurita . Qualora la competente Corte d’appello, nel rifiutare la consegna di soggetto destinatario di m.a.e. esecutivo, ai sensi dell’art. 18 lett. r L. n. 69/2005, non abbia contestualmente provveduto al formale riconoscimento della sentenza irrevocabile di condanna emessa da altro Stato membro ed oggetto del m.a.e. di cui trattasi, la successiva richiesta di riconoscimento, formulata dalla Procura Generale distrettuale all’anzidetta Corte d’appello, costituisce mera sollecitazione, che discende dai già esercitati poteri d’impulso della procedura, disciplinati dall’art. 12 del d.l.vo 7 settembre 2010 n. 161 . La sentenza va dunque annullata e gli atti trasmessi alla Corte d’appello di Ancona, perché faccia luogo senz’altro alla procedura in questione, ex artt. 9 e ss. d.l.vo n. 161/2010. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e trasmette gli atti alla Corte d’appello di Ancona per l’ulteriore corso.