La configurabilità del reato di minaccia e la lesione della libertà morale del soggetto passivo

Il reato di minaccia si configura con il carattere formale del pericolo, per la cui integrazione non è necessariamente richiesta la lesione del bene tutelato, ma basta che il male prospettato possa incutere timore al soggetto passivo.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 19829/18 depositata il 26 luglio. La vicenda. Il Giudice di Pace di Salerno assolveva l’imputato per il reato di ingiuria perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, condannandolo invece per il diverso reato di minaccia. Avverso la predetta sentenza ricorre il Procuratore generale denunciando l’omessa motivazione sul reato di cui all’art. 612 c.p. e l’insussistenza del fatto per la natura non minacciosa della frase pronunciata dall’imputato. La configurabilità del reato. Per la configurabilità del reato di minaccia basta che il male prospettato incuta timore nel soggetto passivo del reato, non essendo necessario che il bene tutelato sia realmente leso. Ne consegue che, secondo il costante orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte, per l’integrazione del reato di minaccia non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, ma è sufficiente che la condotta posta in essere dall’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo . Nel caso di specie, la frase pronunciata dall’imputato Sei un cretino, ti ho già denunziato e non ti metti a posto ha valenza ingiuriosa ma non può considerarsi lesiva della spera della libertà personale e morale, pertanto il Supremo Collegio annulla la sentenza impugnata perché il reato non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 giugno – 26 luglio 2018, n. 35817 Presidente Bruno – Relatore Amatore Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata il Giudice di pace di Salerno ha assolto il predetto imputato per il reato di cui all’art. 594 cod. pen. perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato e lo ha invece condannato alla pena di giustizia per il diverso reato di cui all’art. 612 cod. pen Avverso la predetta sentenza ricorre il Procuratore generale, affidando la sua impugnativa ad una unica ragione di doglianza. 1.1 Denunzia la parte ricorrente l’omessa motivazione sul reato di cui all’art. 612 cod. pen. e comunque la insussistenza del fatto stante la natura non minacciosa ed offensiva della frase pronunciata dall’imputato. Considerato in diritto 2. Il ricorso è fondato. 2.1 Sul punto, occorre precisare che il reato di minaccia è un reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, bastando che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale la valutazione dell’idoneità della minaccia a realizzare tale finalità va fatta avendo di mira un criterio di medialità che rispecchi le reazioni dell’uomo comune così, Cass., Sez. 5, n. 8264 del 29/05/1992 - dep. 23/07/1992, Mascia, Rv. 19143301 Sez. 6, n. 14628 del 18/10/1999 - dep. 23/12/1999, Cafagna G, Rv. 21632101 . Ne consegue che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’integrazione del reato di minaccia art. 612 cod. pen. , non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo semplicemente sufficiente che la condotta posta in essere dall’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo cfr. Sez. 5, n. 46528 del 02/12/2008 - dep. 17/12/2008, Parlato e altri, Rv. 24260401 Sez. 5, n. 51246 del 30/09/2014 - dep. 10/12/2014, Marotta, Rv. 26135701 Sez. 1, n. 44128 del 03/05/2016 - dep. 18/10/2016, Nino, Rv. 26828901 . Ciò posto, va ricordato come, nel caso di specie, la frase proferita dall’odierno ricorrente e come tale ritenuta dal giudice del merito integrante il reato in parola fosse la seguente . sei un cretino, ti ho già denunziato e non ti metti a posto . Ciò detto, occorre concordare con quanto denunziato dal P.G. ricorrente nell’atto introduttivo, laddove, per un verso, si lamenta l’assoluta carenza di motivazione in ordine al reato di minaccia e, per altro verso, si evidenzia l’insussistenza del fatto contestato ad integrare il delitto da ultimo menzionato. Ed invero, la frase pronunciata e sopra ricordata ha una sicura valenza ingiuriosa per la quale la persona offesa potrà attivarsi nella competente sede civilistica per il conseguente ristoro risarcitorio, stante la depenalizzazione della relativa fattispecie incriminatrice , ma non può certo considerarsi lesiva della sfera della libertà personale e morale tramite la prospettazione di un male ingiusto. Osserva, pertanto, la Corte come il contenuto della frase riportata verbatim sopra non possa assumere oggettivamente alcuna valenza intimidatoria ovvero idoneità ad intimidire un soggetto di normale avvedutezza, cioè - detto altrimenti - una persona che rispecchi le reazioni dell’uomo comune. E ciò è a maggior ragione evidente, se si considera il contesto peculiare in cui la frase era stata proferita, contesto che evidenzia non già un atteggiamento intimidatorio del ricorrente, quanto piuttosto una reazione non adeguata e sicuramente scortese dell’odierno ricorrente. Dunque, non emerge dal contesto fattuale alcun rilievo di idoneità della condotta contestata ad intimorire la persona offesa. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto contestato non sussiste. L’accoglimento del primo motivo di ricorso assorbe l’esame delle ulteriori censure. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto di cui all’art. 612 cod. pen. non sussiste.