Valida la notifica al difensore d’ufficio che si rifiuta di ricevere atti destinati all’imputato

La notificazione di un atto all’imputato deve essere eseguita mediante consegna del plico al difensore, qualora non sia possibile presso il domicilio eletto, e non nella casa comunale anche qualora il difensore domiciliatario rifiuti di ricevere l’atto.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 35199/18 depositata il 24 luglio, relativamente ad una causa il cui ricorrente è un avvocato, nominato difensore d’ufficio dell’imputato cittadino tunisino, condannato con sentenza del GdP ad una pena pecuniaria per illegittimo trattenimento sul territorio dello Stato. In particolare il difensore dichiara di aver tempestivamente comunicato all’Autorità giudiziaria procedente il proprio rifiuto a ricevere atti destinati all’imputato, il quale aveva dichiarato domicilio eletto presso la propria persona e il proprio studio legale. La notifica al difensore d’ufficio. Ribadisce la Suprema Corte che in casi come quello in esame, il rifiuto da parte del soggetto domiciliatario di ricevere l’atto comporta l’impossibilità della notifica al domicilio eletto e legittima la notifica mediante consegna dell’atto al difensore. Prosegue ancora la Corte che è valida la notifica all’imputato detenuto eseguita presso il domicilio eletto, stante la facoltà anche per l’imputato detenuto di dichiarare o eleggere domicilio, ex art. 161, comma 1, c.p.p., sicché il rifiuto del domiciliatario di ricevere l’atto determina, anche in tal caso, l’impossibilità della notifica al domicilio eletto e legittima la notifica mediante consegna dell’atto al difensore . Pertanto, il GdP ha validamente ritenuto la notificazione del decreto di citazione a giudizio dell’imputato fatta presso il difensore d’ufficio, anche se questi aveva rifiutato di riceverla in qualità di domiciliatario. Il ricorso, per queste ragioni, viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 febbraio – 24 luglio 2018, n. 35199 Presidente/Relatore Mazzei Ritenuto in fatto 1. L’avvocato Gianluca Vichi del foro di Ravenna, nominato difensore di ufficio di K.K. , cittadino della , condannato con sentenza del Giudice di pace di Ravenna, in data 22 febbraio 2017, alla pena di Euro cinquemila di ammenda per illegittimo trattenimento sul territorio dello Stato, come accertato in omissis , ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza e, previamente, impugna l’ordinanza del Giudice di pace emessa all’udienza del 19 ottobre 2016. 1.1. Con il primo motivo il ricorrente sostiene la violazione di norme processuali e, segnatamente, degli artt. 157, 161, 178 e 179 cod. proc. pen., applicabili al procedimento davanti al Giudice di pace ai sensi dell’art. 2 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, con riferimento all’eccepita nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio dell’imputato e il vizio di motivazione dell’ordinanza, in data 19 ottobre 2016, di rigetto della suddetta eccezione. Al riguardo, il ricorrente rileva di aver tempestivamente comunicato all’Autorità giudiziaria procedente, con fax in data 11 marzo 2016, il suo rifiuto di ricevere gli atti destinati all’imputato, dopo che quest’ultimo aveva eletto domicilio presso la sua persona e il suo studio nel verbale di identificazione, dichiarazione o elezione di domicilio, nomina del difensore, informazioni sul diritto di difesa ed effettiva conoscenza del procedimento, redatto dalla polizia giudiziaria in data omissis e firmato dall’indagato, K. . Ciononostante il giudice aveva ritenuto legittima la notificazione all’imputato del decreto di citazione a giudizio presso l’avvocato Vichi, osservando che solo l’autore della elezione di domicilio ha il potere di revocarla, ciò che non era avvenuto nel caso di specie, e che l’impossibilità della notificazione presso il difensore domiciliatario, per rifiuto di quest’ultimo di ricevere l’atto, avrebbe comunque implicato la notificazione all’imputato della citazione a giudizio presso il medesimo difensore a norma dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. Tale ragionamento è criticato dal ricorrente sul presupposto che l’elezione di domicilio, diversamente dalla nomina di ufficio, non può imporsi al difensore contro la sua volontà, come peraltro previsto dalla recente riforma di alcune norme del codice di procedura penale, tra cui il novellato art. 162 cod. proc. pen., cui è stato aggiunto, dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 24, il comma 4 bis che testualmente recita L’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non ha effetto se l’autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l’assenso del difensore domiciliatario . 1.2. Con il secondo motivo il difensore ricorrente denuncia violazione degli articoli 62-bis e 133 cod. pen. insieme al vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata illegittimamente e ingiustificatamente negato all’imputato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato per le ragioni che seguono. 1.1. Il primo motivo di carattere processuale è infondato. Premesso che la nuova disciplina, introdotta dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, cit., in vigore dal 3 agosto 2017, non è applicabile ai processi incardinati secondo la normativa in tema di domicilio eletto in vigore fino al 2 agosto u.s., la Corte di cassazione, nella sua più autorevole composizione, ha affermato che La notificazione di un atto all’imputato, che non sia possibile presso il domicilio eletto , deve essere eseguita mediante consegna al difensore e non mediante deposito nella casa comunale con i correlati avvisi anche nel caso in cui il difensore, n.d.r. domiciliatario rifiuti di ricevere l’atto Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv. 250120 . Coerentemente è stato ritenuto, in casi identici a quello in esame, che Il rifiuto del domiciliatario di ricevere l’atto determina l’impossibilità della notifica al domicilio eletto e legittima la notifica mediante consegna dell’atto al difensore. Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto legittima la notifica mediante consegna dell’atto al medesimo difensore d’ufficio, che aveva precedentemente rifiutato di riceverla in qualità di domiciliatario Sez. 1, n. 22073 del 09/04/2013, Perrone, Rv. 256082 parimenti si è affermato che È valida la notifica all’imputato detenuto eseguita presso il domicilio eletto, stante la facoltà anche per l’imputato detenuto di dichiarare o eleggere domicilio, ex art. 161, comma 1, cod. proc. pen., sicché il rifiuto del domiciliatario di ricevere l’atto determina, anche in tal caso, l’impossibilità della notifica al domicilio eletto e legittima la notifica mediante consegna dell’atto al difensore. Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto legittima la notifica mediante consegna dell’atto al medesimo difensore d’ufficio, che aveva rifiutato di riceverla in qualità di domiciliatario Sez. 5, n. 33882 del 04/05/2017 Ud., Moros Vega, Rv. 271609 . Contrariamente alla tesi del ricorrente ritiene, dunque, la Corte che legittimamente il Giudice di pace ha ritenuto valida la notificazione del decreto di citazione a giudizio dell’imputato presso il difensore d’ufficio domiciliatario, nonostante il rifiuto di quest’ultimo di ricevere gli atti destinati all’imputato, rifiuto tempestivamente comunicato all’autorità giudiziaria procedente. D’altronde, il fatto che il legislatore abbia espressamente aggiunto, con la recente legge 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 24, cit., il comma 4-bis, nell’art. 162 cod. proc. pen., subordinando l’efficacia della elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio all’espresso assenso del domiciliatario, costituisce implicita conferma della precedente diversa disciplina che riteneva applicabile, in tal caso, l’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., con notificazione comunque diretta al difensore rifiutante la domiciliazione. 2. Risulta infondata anche la censura circa l’illegittimo ovvero immotivato diniego delle circostanze attenuanti generiche. Secondo la giurisprudenza della Corte Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis cod. pen., disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione di tali attenuanti, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986 Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610 . La sentenza impugnata si è attenuta al predetto canone, poiché ha espressamente escluso la sussistenza di elementi positivi per riconoscere all’imputato le attenuanti generiche, tenuto anche conto dei richiamati precedenti di polizia dello stesso più volte controllato e denunciato, come risulta dall’elenco dei precedenti dattiloscopici in atti . 2. Il rigetto del ricorso impone, a norma dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.