Magliette da calcio taroccate: anche i marchi delle squadre sono tutelabili

I marchi delle squadre di calcio, impressi sulle maglie da gioco, sono pienamente tutelabili. Da ciò ne discende che rientra nella fattispecie di commercio di prodotti con segni falsi la condotta di colui che detiene per la vendita magliette recanti i segni di riconoscimento delle società calcistiche contraffatti.

Così ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione, sez. V Penale, con la sentenza n. 33900/18 depositata il 19 luglio. Il sogno di indossare una maglia. Quanti di noi, giovani e meno giovani, hanno sognato, almeno per un giorno, di poter far parte della propria squadra del cuore e di giocare fianco a fianco con i beniamini del calcio? Sogni a parte, indossare la livrea della squadra di calcio alla quale si è devoti è possibile, anche se non si è assi del pallone. I negozi di articoli sportivi, oppure gli stores ufficiali delle varie squadre ne sono sempre ben forniti. Certo, questi capi di abbigliamento hanno un costo spesso non indifferente. Accanto alle forniture ufficiali” vi è, comunque, tutto un fiorire di bancarelle o di ambulanti, talvolta strategicamente collocati nei pressi degli stadi di calcio in occasione di qualche partita particolarmente calda” talvolta la merce esposta è in tutto e per tutto uguale a quella originale, ma i segni distintivi non sono che una pallida imitazione di quelli veri. E' reato metterle in commercio? Un dissequestro non gradito alla Procura. Il caso che ci occupa prende le mosse da un'ordinanza di annullamento di un sequestro probatorio di alcune magliette di squadre di calcio i cui segni distintivi non erano originali. Il Tribunale del Riesame che l'ha pronunciata ha affermato che i colori delle squadre di calcio non possono essere tutelati perché ormai sarebbero volgarizzati” dalla loro notorietà e, inoltre, il nome delle squadre di calcio non può essere considerato un marchio tutelabile. Il Pubblico Ministero, avuta l'ordinanza tra le mani, insorge e affida le proprie critiche a due motivi di ricorso per cassazione. Il nome della squadra di calcio è tutelabile. Gli Ermellini, condividendo le doglianze espresse dalla Procura della Repubblica, iniziano il loro ragionamento affrontando il tema della tutelabilità del nome” della squadra di calcio. Quest'ultimo, secondo la Suprema Corte, è pienamente tutelabile come un vero e proprio marchio. Le ragioni di questa conclusione si appoggiano sul sistema normativo attualmente in vigore, che consente, intanto, alle squadre di calcio di perseguire lo scopo di lucro vietato fino al 1996 anche attraverso lo svolgimento di attività commerciali parallele” a quella del gioco del calcio vendita dei diritti per le riprese televisive, attività pubblicitaria e merchandising rappresentano, per l'appunto, le iniziative commerciali più diffuse e più lucrose per le società sportive calcistiche. Ciò comporta che ogni squadra faccia uso del proprio marchio e dei segni distintivi correlati in modo tale da ricavarne un profitto commerciale. Il nome della squadra di calcio, anche quando esso coincide con la denominazione geografica della città di appartenenza ad esempio, Torino” o Palermo” , è registrabile e tutelabile. La tutelabilità del marchio non viene meno, come si è voluto sostenere nell'ordinanza impugnata dal P.M., a causa del fatto che i nomi delle squadre sono entrati a far parte del linguaggio comune questo fenomeno – sia pure massivo – non ha fatto perdere capacità distintiva al marchio, proprio perché la notorietà della squadra è fuori discussione. I criteri di giudizio per accertare la contraffazione. Il provvedimento di dissequestro ha escluso la ricorrenza degli indizi di reato perché, da un raffronto analitico tra i marchi originali e quelli impressi sulle magliette sequestrate, erano emerse non poche differenze. Gli Ermellini, però, ricordano che la comparazione, ai fini della valutazione penalistica della fattispecie di contraffazione” o alterazione”, deve essere sintetica e non analitica cioè essa deve avere ad oggetto il marchio nei suoi elementi essenziali”. Questo giudizio, nel caso in cui verta su un marchio dotato di forte capacità distintiva, porterà a considerare irrilevanti eventuali differenze che attengano ad elementi secondari del segno distintivo. Da ciò ne discende che la condotta contraffattiva – sotto il profilo penale - ben potrà essere dichiarata sussistente anche quando vi siano delle differenze marginali tra il marchio originale e quello falso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 8 maggio – 19 luglio 2018, n. 33900 Presidente Sabeone – Relatore Fidanzia Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 22 febbraio 2018 il Tribunale del Riesame di Lodi ha accolto il riesame proposto da C.P. avverso il decreto di sequestro probatorio, disposto dal P.M. dello stesso tribunale, di n. 2628 magliette di squadre di calcio italiane ed estere nonché etichette, bobine e cartellini sempre riferiti a squadre di calcio. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il P.M. presso il Tribunale di Lodi affidandolo ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione all’art. 253 c.p.p. per avere l’ordinanza impugnata stravolto la nozione di corpo di reato o cose pertinenti al reato nella parte in cui è stata evidenziata la mancanza di un’autonoma correlazione tra il compendio sequestrato e quanto indicato nel provvedimento del pubblico ministero. Peraltro, tale correlazione doveva evincersi ictu oculi dal verbale di sequestro degli operanti. 2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge per omessa motivazione e/o motivazione apparente. Lamenta il Procuratore ricorrente che l’ordinanza impugnata, nell’affermare la mancanza di prova della contraffazione degli articoli in sequestro per lo più magliette delle squadre di calcio Juventus, Inter, Milan, Roma nonché estere , aveva omesso di considerare l’integrazione di perizia del 19.2.2018 prodotta in udienza, da cui emergeva la non autenticità degli articoli posti in sequestro e l’idoneità degli stessi a trarre in inganno l’acquirente. Il Collegio aveva irragionevolmente affermato che i colori delle squadre di calcio sia italiane che estere non possono avere tutela stante la diffusa volgarizzazione e che il nome delle squadre di calcio non può essere considerato marchio industriale tutelato dall’art. 474 c.p Infine, era stato erroneamente escluso il fumus del reato di cui all’art. 474 c.p. sul rilievo che vi era palese difformità tra i marchietti impressi sulle maglie sequestrate - soggetto che era già stato licenziatario delle squadre di calcio Juventus, Milan ed Inter - in alcuni casi riportanti il nome storpiato della squadra e i simboli originali protetti. In proposito, la fattispecie dell’art. 474 c.p. è volta a tutelare, in via principale e diretta, non la libera determinazione dell’acquirente ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, trattandosi di reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno. Considerato in diritto 1. Il secondo motivo, che può essere esaminato per primo, per comodità espositiva, è fondato e va pertanto accolto. Va preliminarmente osservato che il Tribunale di Lodi ha accolto l’istanza del riesame del sig. C. , svolgendo una serie di considerazioni in diritto ed in fatto in ordine alla mancanza del fumus commissi delicti del reato contestato all’indagato che in questi termini si sintetizzano 1 il nome delle squadre di calcio non può essere considerato come marchio tutelato dall’art. 474 c.p., tenuto conto che le stesse sono nate come associazioni senza scopo di lucro, che molte squadre di calcio riportano il nome della città e/o regione in cui giocano denominazione geografica non tutelabile e che da decenni il loro uso è invalso nella generalità dei produttori e venditori di articoli sportivi 2 posto che il c.d. marchietto, ovvero il logo della squadra di calcio, che è apposto sul lato sinistro della maglietta di calcio, è suscettibile di ricevere tutela penale solo se registrato, anche in caso di registrazione si potrebbe dubitare della sua validità per assenza dei requisiti della novità ed originalità 3 non sussiste, nel caso di specie, il fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 474 cp. atteso che la contraffazione presuppone la riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa, di un marchio e di un segno distintivo, emergendo, invece, nel caso concreto la palese difformità tra i marchietti impressi sulle maglie di calcio sequestrate e i simboli originali oggetto di tutela. Deve essere disattesa l’affermazione del Tribunale del Riesame secondo cui il nome delle squadre di calcio non costituirebbe un marchio tutelabile a norma dell’art. 474 c.p Va preliminarmente osservato che il richiamo dell’ordinanza impugnata alla pronuncia di questa Corte, risalente agli inizi degli anni settanta - che aveva definito le squadre di calcio come società di pubblico spettacolo ed il loro marchio di servizio - non è pertinente, in quanto non più attuale, in considerazione dei mutamenti normativi, nel frattempo, intervenuti nella disciplina giuridica delle società calcistiche. In particolare, l’entrata in vigore del D.L. n. 485/1996, convertito nella L. 18/11/1996 n. 586, abrogando il precedente divieto della distribuzione degli utili previsto dall’art. 10 comma 2 L. 91/1981, ha consentito anche alle società sportive professionistiche, in compatibilità con il disposto dell’art. 2247 cod. civ., il perseguimento dello scopo di lucro, assoggettando le medesime alla disciplina comune in materia di società. Con la stessa normativa l’oggetto sociale delle società sportive è stato esteso anche alle attività connesse o strumentali all’attività sportiva, così consentendo a tali società di operare anche in aree diverse ed ulteriori rispetto a quelle strettamente sportive ed agonistiche e di svolgere attività d’impresa in settori limitrofi, quali la vendita dei diritti per le riprese televisive dei loro incontri sportivi, la vendita di spazi pubblicitari e dei prodotti legati al merchandising. Le società sportive professionistiche sono quindi delle imprese a tutti gli effetti e, come tali, nell’esercizio della loro attività economica organizzata al fine della produzione e scambio di beni e servizi ovviamente contigui all’attività sportiva , possono utilizzare e registrare marchi commerciali. Se è pur vero che i marchi utilizzati dalle squadre professioniste di calcio spesso evocano la denominazione geografica della città o della regione in cui gioca la squadra - circostanza che sarebbe ostativa alla loro registrabilità, a norma dell’art. 13 comma 1 del codice della proprietà industriale, ove il segno fosse costituito in via esclusiva dal toponimo - tuttavia, come già evidenziato da questa Corte sez 1 civile n. 7861 del 11 agosto 1998 , anche una denominazione geografica può essere inserita in un marchio e dare luogo ad un marchio forte purché l’insieme del segno, in concreto, faccia desumere l’avvenuta trasposizione del messaggio dal piano di riferimento del luogo a quello di individualizzazione del prodotto, sicché prevalendo le componenti di originalità e fantasia, l’uso del toponimo non adempia ad una funzione meramente descrittiva . Peraltro, anche ammettendo che al toponimo venga aggiunto un elemento differenziale solo minimo, quale, a titolo di esempio, la data di fondazione della società calcistica, tale segno sarà registrabile e godrà tendenzialmente della tutela del marchio debole in relazione allo stretto collegamento concettuale tra il marchio e la denominazione geografica, salvo che non venga fornita prova dell’acquisita capacità distintiva, del suo rafforzamento, attraverso l’uso dello stesso segno c.d. secondary meaning . In tale eventualità, anche ove il segno coincida con il mero toponimo, oltre ad essere registrabile in deroga all’art. 13 comma 1 cod. propr. ind., godrà della tutela del marchio forte. Nel caso di specie, i marchi delle squadre di calcio impressi sulle magliette oggetto di sequestro sono pienamente tutelabili, oltre che per le sopra illustrate osservazioni, anche perché celebri o comunque notori, circostanza che li rende comunque registrabili a norma dell’art. 8 comma 3 del cod. proc. ind. Né sono condivisibili le affermazioni contenute nell’ordinanza impugnata secondo cui l’uso generalizzato del marchio o del logo della squadra di calcio, incidendo sul requisito della novità e della originalità, ne inficerebbe la validità. Se è pur vero che non possono essere registrati per carenza del requisito di novità, a norma del combinato disposto degli artt. 7 e 12 cod. propr. ind., i segni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente ed abbiano quindi perso la loro capacità distintiva c.d. volgarizzazione del segno , tale caratteristica non può essere certo attribuita ai segni delle società calcistiche che sono stati impressi sulle magliette oggetto di sequestro, la cui forte capacità distintiva in conseguenza della immediata immedesimazione concettuale degli stessi con quella determinata società , la cui notorietà, acquisita con l’attività sportiva principale, non può certo essere messa in discussione. Né può sostenersi che l’eventuale uso ultradecennale di tali segni sui capi di abbigliamento da parte di produttori e venditori di articoli sportivi - che non può comunque essere genericamente allegato ma va rigorosamente dimostrato - prima che venissero meno i paletti normativi sopra evidenziati che impedivano alle società calcistiche di poter sfruttare commercialmente i propri segni, costituisca un elemento ostativo alla loro registrazione. Eventualmente il singolo operatore economico che, nel caso concreto, alleghi la preesistente commercializzazione di prodotti portanti marchi che hanno poi formato oggetto di registrazione quando le società sportive hanno iniziato ad associare alla propria attività sportiva quella collaterale di merchandising gestita direttamente o indirettamente mediante licenza a terzi , potrà continuare a venderli solo ove fornisca la prova puntuale del preventivo uso dei segni poi registrati da parte dei loro titolari vedi sul punto parte motiva di sez 5 del 4/06/2008 n. 360167 . Accertata quindi incidentalmente, a norma dell’art. 2 c.p., la piena registrabilità e tutelabilità dei marchi delle società calcistiche impressi sulle maglie oggetto di registrazione, va osservato che, come affermato anche dall’ordinanza impugnata, i c.d. marchietti delle società Juventus, Inter e Milan risultano regolarmente registrati, mentre, per quanto concerne quello della Roma Calcio, trattandosi di marchio celebre, ai fini della sussistenza del delitto previsto dall’art. 474 cod. pen, non è richiesta la prova della sua registrazione, gravando in tal caso l’onere di provare la insussistenza dei presupposti per la sua protezione su chi eventualmente tale insussistenza deduce sez. 2 n. 36139 del 19/07/2017, Rv. 271140 . Ciò posto, l’ordinanza impugnata ha affermato l’insussistenza del fumus commissi delicti del delitto di cui all’art. 474 c.p. per cui è procedimento sulla base di una comparazione in termini analitici tra i marchi originali e quelli impressi sulle magliette oggetto di sequestro, adottando quindi un erroneo parametro di valutazione. Come già osservato da questa Corte nella parte motiva della sentenza n. 17108/2015 del 21/10/2014, citata nella stessa ordinanza impugnata, mentre il concetto di contraffazione, ai fini della tutela penale, presuppone la riproduzione integrale in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa, di un marchio o di un segno distintivo, per alterazione costituente parimenti condotta punibile a norma degli artt. 473 e 474 cod. pen. - si intende la riproduzione solo parziale ma tale da potersi confondere col marchio originario o col segno distintivo. Dunque, è sufficiente la riproduzione del marchio nei suoi elementi essenziali e tale valutazione deve essere condotta sulla base di un esame, non analitico, ma sintetico che tenga conto dell’impressione d’insieme e della specifica categoria cui il prodotto è destinato in questi termini anche sez V n. 46833 del 27/10/2004 non mass. . È evidente che come nel caso di specie più il marchio gode di rinomanza - circostanza che nella disciplina civilistica lo rende tutelabile, a norma dell’art. 20 lett. c cod. propr. ind., a prescindere addirittura da ogni confondibilità del segno e dal settore merceologico in cui si colloca il prodotto - più lo stesso è dotato di una forte capacità distintiva, con la conseguenza che, nella valutazione complessiva dei segni posti al raffronto, eventuali elementi di differenziazione aventi carattere secondario presenti nei segni dei contraffattori non incidono sulla positiva valutazione di falsità. Né può avere rilievo la circostanza che gli acquirenti possano avere eventualmente consapevolezza della falsità del marchio, considerato che le norme penali sul falso tutelano l’affidabilità di alcune forme di comunicazione e di rappresentazione della realtà, prescindendo, di regola, dalla lesione di ulteriori interessi patrimoniali, con la conseguenza che ciò che rileva non è una generica idoneità all’inganno della condotta ma solo l’idoneità di un documento o di un marchio ad assumere un significato descrittivo non corrispondente ai fatti e, quindi, nella specie, non rileva che il singolo acquirente sia effettivamente ingannato o addirittura consapevole della falsità, ma solo che il marchio contraffatto sia idoneo a fare falsamente apparire il prodotto come proveniente da un determinato produttore sez. 5 n. 33543 del 21/09/2006, Rv. 235225 . Peraltro, questa Corte ha anche affermato che non rileva neppure una eventuale contraffazione grossolana atteso che l’art. 474 c.p. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi. Si tratta quindi di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e non può nemmeno ravvisarsi qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno sez 2 n. 20944 del 4/05/2012, Rv. 252836 . Alla luce delle sopra illustrate osservazioni, deve annullarsi l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Lodi per nuovo esame. Il primo motivo è assorbito. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Lodi per nuovo esame.