Marchio “CE”: se “China Export” si finge “Comunità Europea” sussiste il reato di frode in commercio

La marchiatura CE Comunità Europea”, ove falsa o ingannevole, assume rilevanza ai sensi dell’art. 515 c.p. in quanto, pur non incidendo sulla provenienza del prodotto, incide sulla qualità e sicurezza dello stesso garantendone la conformità agli standard europei.

Sul tema la Corte di legittimità con la sentenza n. 33397/18, depositata il 18 luglio. La vicenda. Il Tribunale di Roma condannava un imputato per tentata frode in commercio per aver compiuto atti diretti in modo non equivoco a porre in commercio cose mobili diverse da quelle reali. Si trattava in particolare di oltre 2mila sveglie ed alcune tastiere per PC con logo CE” China Export simile a quello prescritto dalla direttiva 2006/42/CE idoneo a trarre in inganno i consumatori sulle caratteristiche dei prodotti stessi. L’imputato ricorre per la cassazione della sentenza. Frode in commercio. La marchiatura CE” prevista dalla direttiva 2006/42/CE, che disciplina gli apparecchi elettromagnetici, garantisce al consumatore la conformità dei dispositivi agli standard di qualità e sicurezza europei. Tale marchio ha dunque la funzione di tutelare gli interessi pubblici della salute e sicurezza degli utilizzatori e, pur non essendo un marchio di qualità o di origine, costituisce un marchio amministrativo che segnala la libera circolazione di quel prodotto nel mercato unico europeo. Precisa dunque il Collegio che tale marchiatura, ove falsa o ingannevole, assume rilevanza ai sensi dell’art. 515 c.p. in quanto, pur non incidendo sulla provenienza del prodotto, incide sulla qualità e sicurezza dello stesso. In altre parole, integra il reato di frode nell’esercizio del commercio la detenzione di marce recante la marcatura CE indicativa della locuzione China Export” apposta con caratteri tali da ingenerare nel consumatore la erronea convinzione che i prodotti rechino, invece, il marchio CE Comunità Europea , poiché quest’ultimo ha la funzione di certificare la conformità del prodotto ai requisiti essenziali di sicurezza e qualità previsti per la circolazione dei beni nel mercato europeo . Ai fini della sussistenza del reato, rileva la semplice messa in vendita di un bene difforme da quello dichiarato creando una divergenza qualitativa che configura l’illecito penale. Ed infatti la decettività della marcatura CE China Export – che si distingue da quella europea per la sola minima distanza delle due lettere – è elemento sufficiente di per sé ad ingannare il consumatore. In conclusione, correttamente il giudice di merito ha riscontrato la sussistenza del reato nella forma del tentativo posto che la merce era collocata sugli espositori per la vendita nell’esercizio commerciale di cui il ricorrente è titolare, con ovvia destinazione della stessa al commercio. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 giugno – 18 luglio 2018, n. 33397 Presidente Ramacci – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Roma condannava X.F. alla pena di Euro mille di multa, perché ritenuto responsabile del delitto di cui agli artt. 56, 515 cod. pen. per aver compiuto atti diretti in modo non equivoco a porre in commercio cose mobili diverse, per qualità e caratteristiche, da quelle reali e, in particolare, quale legale rappresentante della Dolce Capanna srl, per aver detenuto presso in locali in uso alla predetta azienda 2.576 sveglie e 27 tastiere per personal computer con applicato il lodo CE China export , simile a quello prescritto dalla direttiva 2006/42/CE e in violazione degli artt. 16, par. 3, e 17 della direttiva medesima, e, quindi, idoneo a trarre in inganno i consumatori sulle caratteristiche dei prodotti. 2. Avverso l’indicata sentenza l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione ed erronea applicazione degli artt. 56, 515 cod. pen. e della direttiva 2006/42/CE, recepita con d.lgs. n. 194 del 2007. Assume il ricorrente che il Tribunale avrebbe errato nei ravvisare il delitto in esame nella mera apposizione sulla merce del logo CE , attestante l’origine cinese del prodotto, ritenuto confondibile con il marchio CE , relativo alla conformità Europea , destinato a certificare, per taluni dispositivi, la conformità del prodotto agli standard di qualità e di sicurezza Europei, sotto un duplice profilo da un lato, il Tribunale non avrebbe tenuto conto della direttiva 2004/108/CE, che disciplina gli apparecchi elettromagnetici, con esclusione di quelli, come i prodotti in esame, che non presentano rischi in termini di compatibilità elettromagnetica, in relazione ai quali, pertanto, la marchiatura CE non è obbligatoria dall’altro, il Tribunale avrebbe erroneamente applicato la direttiva 2006/42/CE, la quale, invece, riguarderebbe solo i prodotti che possono essere definiti macchine . In ogni caso, nella vicenda in esame, sostiene il ricorrente, avrebbe dovuto trovare applicazione il disposto dell’art. 15, comma 6, d.lgs. n. 194 del 2007, vigente al momento del fatto, il quale configura un mero illecito amministrativo nei confronti di chiunque appone marchi che possono confondersi con la marcatura CE . 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. a e lett. b cod. proc. pen., in relazione all’esercizio, da parte del Tribunale, di una potestà riservata dalla legge agli organi legislativi, nonché eccesso di potere e analogia iuris, laddove il Tribunale ha ritenuto integrato il delitto di tentata frode in commercio nella marchiatura CE di dispositivi, per i quali la legge non prevede tale marchiatura. Il Tribunale, assume il ricorrente, avrebbe errato nell’applicare la direttiva 2006/42/CE e il relativo decreto di recepimento, in quanto non disciplinerebbe né le sveglie, né le tastiere per computer. Il Tribunale, pertanto, applicando la direttiva in esame, avrebbe operato un’indebita analogia iuris, eccedendo la propria competenza e travalicando i confini del proprio potere, in quanto la semplice apposizione della marcatura CE non avrebbe modificato in alcun modo l’essenza degli apparecchi per origine, provenienza, qualità o quantità. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione agli artt. 56 e 515 cod. pen. Il ricorrente censura la sentenza impugnata, laddove, come motivazione che si assume apparente e avulsa dalle risultanze probatorie, ha ravvisato il delitto in esame, senza che la merce sia stata visionata da un consulente o da un perito. 2.4. Con il quarto motivo si deduce manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 62 bis cod. pen. Sul punto, il Tribunale non avrebbe motivato in ordine alla mancata applicazione delle circostanze in esame. 3. Con motivi aggiunti depositati in data 4 giugno 2018, il ricorrente deduce altresì vizio di motivazione per aver il tribunale erroneamente, da un lato, ritenuto che i prodotti fossero esposti per la vendita, mentre erano stipati nel magazzino, e, dall’altro, ravvisato il delitto in esame, nonostante che per i prodotti in esame non sia obbligatoria la marchiatura CE. Considerato in diritto 1. Il ricorso, al limite dell’inammissibilità, è, nel complesso, infondato e deve perciò essere rigettato. 2. I primi due motivi di doglianza, unitamente al secondo dedotto con i motivi aggiunti, possono essere trattati congiuntamente, perché attengono al carattere ingannevole del marchio CE China Export apposto sulla merce oggetto dell’imputazione ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 515 c.p Orbene, i motivi sono infondati, non avendo pregio, per escludere la sussistenza del delitto in esame, l’assunto difensivo secondo cui, per i prodotti in esame, non era obbligatoria la marchiatura CE . 2.1. Va ricordato che la marcatura CE è stata istituita dalla normativa comunitaria in quanto, con l’apposizione della stessa, il produttore o il suo legale rappresentante dichiara che è stata certificata la conformità del suo prodotto con i requisiti essenziali richiesti dal mercato Europeo. La funzione della marcatura CE , infatti, è quella di tutelare gli interessi pubblici della salute e sicurezza degli utilizzatoti dei prodotti, assicurando che essi siano adeguati a tutte le disposizioni comunitarie che prevedono il loro utilizzo. Detta marcatura, pur non fungendo da marchio di qualità o di origine, costituisce tuttavia un marchio amministrativo, che segnala che il prodotto marcato può circolare liberamente nel mercato unico dell’Unione Europea vedi Cass., Sez. 2 18.9.2009, n. 36228, Wang . 2.2. Orbene, tale marchiatura, ove fasulla o ingannevole, rileva proprio ai sensi dell’art. 515 cod. pen., in quanto incide non sulla provenienza ma sulla qualità e sulla sicurezza del prodotto, il quale, appunto, è falsamente dichiarato essere conforme agli standard Europei. Deve perciò essere ribadito il principio secondo cui integra il reato di frode nell’esercizio del commercio la detenzione di merce recante la marcatura CE indicativa della locuzione China Export apposta con caratteri tali da ingenerare nel consumatore la erronea convinzione che i prodotti rechino, invece, il marchio CE Comunità Europea , poiché l’apposizione di quest’ultimo ha la funzione di certificare la conformità del prodotto ai requisiti essenziali di sicurezza e qualità previsti per la circolazione dei beni nel mercato Europeo Sez. 3, n. 45916 del 18/09/2014 - dep. 06/11/2014, Tebai, Rv. 260914 Sez. 3, 9 giugno 2009, n. 23819, concernente proprio un’ipotesi di tentativo di frode in commercio posto in essere anche attraverso la commercializzazione di prodotti recanti il marchio CE contraffatto, indicativo della locuzione China - Export . 2.3. Invero, poiché l’interesse tutelato dalla disposizione incriminatrice in esame è quello dello Stato e del consumatore al leale esercizio del commercio e il reato in essa previsto è integrato dalla semplice messa in vendita di un bene difforme da quello dichiarato, è evidente che la consegna di merce recante una marcatura ingannevole, che parrebbe attestare la rispondenza a specifiche costruttive che assicurano la sussistenza dei requisiti di sicurezza e qualità richiesti dalla normativa comunitaria, determina quella divergenza qualitativa che configura l’illecito penale. Infatti, la decettività della marcatura CE China Export , che si distingue da quella Europea per la sola, impercettibile, diversa distanza tra le due lettere, è da sola sufficiente ad ingenerare nel consumatore la convinzione che la merce abbia le caratteristiche e gli standard Europei. Ne può darsi, neanche in astratto, l’ipotesi di merci prive della marcatura CE Comunità Europea che siano comunque dotate di tutti tali requisiti, perché l’apposizione del marchio CE da parte del produttore ha la funzione di certificare la conformità del prodotto con i requisiti essenziali richiesti dal mercato Europeo e tale certificazione costituisce in sé un essenziale elemento qualitativo del prodotto. 2.4. Va, infine, osservato che, nel caso di specie, non trova applicazione il disposto dell’art. 15, comma 6, d.lgs. n. 194 del 2007, vigente al momento del fatto, il quale configura un mero illecito amministrativo nei confronti di chiunque appone marchi che possono confondersi con la marcatura CE , perché detta normativa - la quale disciplina le apparecchiature, che, come si ricava dall’art. 3, possono generare perturbazioni elettromagnetiche - all’evidenza non si applica né alle sveglie, né alle tastiere dei computer. 3. Manifestamente infondato è il terzo motivo, che, per omogeneità delle censure, può essere trattato unitamente al primo dei motivi aggiunti. Secondo quanto accertato in sede di merito, la merce sequestrata, su cui era apposta la marcatura CE, era collocata sugli espositori per la vendita, ubicati presso la sede della Dolce capanna srl, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di articoli da regalo, articoli per la casa e materiale elettrico ed elettronico. Orbene, a fronte di tale accertamento fattuale, non vi è dubbio che la merce fosse destinata alla vendita, il che integra gli estremi del tentativo di frode in commercio. In tal senso, peraltro, si è già espressa questa Corte, affermando che integra il reato di tentativo di frode in commercio il detenere, anche presso un esercizio commerciale di distribuzione e vendita all’ingrosso, prodotti privi di marcatura CE o con marcatura CE contraffatta Sez. 3, n. 27704 dei 21/04/2010 - dep. 16/07/2010, Amato, Rv. 248133 in motivazione la Corte ha precisato che la presenza della marcatura è finalizzata ad attestare la conformità del prodotto a standard minimi di qualità . 4. Infondato è il quarto motivo, stante la sua genericità. Invero, pur non avendo il Tribunale preso posizione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, il ricorrente non ha, tuttavia, indicato alcun elemento idoneo a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato, il quale, peraltro, è stato condannato alla multa, pur prevedendo l’art. 515 cod. pen. la pena alternativa. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.