Patologia da gioco d’azzardo: la mancata allegazione della cogenza del disturbo conferma il reato di peculato

Si classifica gioco d’azzardo il disturbo del controllo degli impulsi, un comportamento persistente e ricorrente che registra una compromissione delle quotidiane attività personali, familiari o lavorative.

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 33463/18 depositata il 18 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, condannava l’imputato del reato di peculato, poiché questi nella veste di pubblico ufficiale con funzione di coordinamento di determinato Cup regionali, si appropriava delle somme di cui veniva in possesso in ragione del suo ufficio. L’imputato ricorre in Cassazione dichiarando come non sarebbe stato affetto, così come ritenuto nell’impugnata sentenza, da una patologia psichiatrica non incidente sulla capacità di intendere e di volere, ossia la dipendenza da gioco d’azzardo. Le caratteristiche del gioco d’azzardo patologico. La giurisprudenza di legittimità chiamata ad interrogarsi sui disturbi della personalità per vederne la rilevanza ai fini dell’imputabilità o meno del reato, sottolinea che per il riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità possono rientrare nel concetto di infermità purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente e a condizione che sussiste un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto casualmente determinato dal disturbo mentale . Pertanto, il disturbo della personalità, connotando una dipendenza dell’agente da determinate situazioni e beni, si traduce in una causa di esclusione dell’imputabilità qualora esso assuma connotati di intensità tali da escludere la capacità di autodeterminarsi. Detto ciò, difetta nell’argomentazione difensiva dell’imputato una tempestiva allegazione della cogenza del disturbo tale da escludere la volontà dell’imputato della condotta appropriativa contestatagli, quindi, il ricorso è inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 maggio – 18 luglio 2018, n. 33463 Presidente Paoloni – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 29 settembre 2016, ha confermato quella resa dal Tribunale di Arezzo che aveva condannato l’imputato, C.V. , alla pena di un anno e cinque mesi di reclusione per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma e 314, primo comma, cod. pen., perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella qualità di dipendente della Ausl di Arezzo, nella veste di pubblico ufficiale con funzione di coordinamento di tutti i Cup della Valdichiana e compiti di versamento del denaro riscosso, si appropriava delle somme percepite per complessivi 16.828,17 Euro, denaro di cui aveva il possesso in ragione del suo ufficio. 2. Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza il difensore di fiducia dell’imputato con due motivi di annullamento. 2.1. Con il primo motivo si denuncia il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale con l’omettere di valutare il dato scientifico emerso dall’istruttoria dibattimentale sullo stato mentale dell’imputato al momento del fatto. C. non sarebbe stato affetto, di contro a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, da una patologia psichiatrica non incidente sulla sua capacità di intendere e di volere, e tale era stata intesa dai giudici di merito la dipendenza da gioco d’azzardo. I responsabili del Ser.t Valdichiana e le relazioni peritali, allegate agli atti, nonché le risultanze della c.t.p. prodotta in udienza, avrebbero invece attestato che C. al momento della contestata condotta appropriativa in stato di dipendenza da gioco patologica o G.A.P. Gioco d’Azzardo Patologico avrebbe risentito di un impulso irresistibile al gioco che, incidendo sulle sue capacità volitive, ne avrebbe comportato la non imputabilità dell’agire. La Corte aveva rigettato la richiesta di applicazione della disciplina del vizio totale o parziale di mente artt. 88 e 89 cod. pen. non apprezzando gli esiti del test - che avrebbero registrato il superamento dei cinque o più criteri di cui al DSM-IV Manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali , necessari per stabilire la sussistenza dell’indicata patologia - al quale il C. si era sottoposto e che negli esiti avrebbero conclamato l’esistenza del disturbo del controllo degli impulsi. La Corte territoriale in modo contraddittorio avrebbe convalidato il ragionamento del primo giudice nella parte in cui questi aveva attribuito a siffatta evidenza una mera efficacia attenuante della pena senza motivare sulla esclusione di una pure richiesta c.t.u. 2.2. Con il secondo motivo si fa valere violazione e falsa applicazione degli artt. 88 e 89 cod. pen. Il disturbo dedotto avrebbe inciso sull’imputabilità, rientrando nel concetto di infermità anche i disturbi della personalità o comunque quelle anomalie psichiche di intensità e gravità tali da incidere sulla capacità di intendere e di volere del soggetto, escludendola, e non solo le patologie mentali. Al momento dei fatti la riscontrata fase di dipendenza aveva superato i 5 o più criteri fissati dal DSM-IV come necessari per stabilire la patologia da G.A.P. e quindi l’esistenza di quella fase della manifestazione dell’impulso irresistibile che avrebbe potuto essere valutato ai fini della imputabilità. Ritenuto in diritto 1. I motivi di ricorso, che possono ricevere congiunta trattazione, sono inammissibili per le ragioni di seguito indicate. 2. In via preliminare va data qualificazione al disturbo da gioco d’azzardo per un percorso in cui il dato scientifico si coniughi efficacemente con i profili giuridici destinati a venire in rilievo, segnatamente, quanto alla capacità di intendere e volere dell’autore del reato e quindi sulla sua imputabilità artt. 88 e 89 cod. pen. . Il gioco d’azzardo patologico viene classificato per i più recenti approdi della nosologia medica Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali o DSM nei suoi successivi aggiornamenti quale disturbo del controllo degli impulsi e definito come comportamento persistente, ricorrente e maladattativo che registra una compromissione delle attività personali, familiari o lavorative. La giurisprudenza di legittimità chiamata ad interrogarsi sui disturbi della personalità per scrutinarne la rilevanza ai fini della imputabilità del reato ed alla loro più ampia ascrivibilità alla categoria della infermità mentale, capace di escludere o grandemente far scemare la capacità di intendere e di volere integrativa della prima artt. 88 e 89 cod. pen. , si è trovata da tempo ad affermarne il rilievo. Si è così detto che ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità , che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità , purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale . All’indicata qualificazione si è ritenuto che consegua la non rilevanza ai fini dell’imputabilità di anomalie caratteriali o alterazioni della personalità che risultino tali da non presentare gli esposti caratteri e, ancora, gli stati emotivi e passionali che in quanto temporanei ed accidentali non sono destinati a definire un quadro di infermità come previsto dal codice penale Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317 in termini Sez. 1, n. 52951 del 25/06/2014, Guidi, Rv. 261339 in materia di gioco d’azzardo, in termini sulla qualificazione Sez. 2, n. 24535 del 22/05/2012, Bonadio, Rv. 253079 . Il disturbo della personalità registra una dipendenza dell’agente da situazioni e beni e può tradursi in una causa di esclusione dell’imputabilità là dove esso assuma connotati di intensità tali da escludere la capacità dell’agente di autodeterminarsi. Scrutinata ancora nella giurisprudenza di legittimità la nozione di imputabilità intesa come capacità di intendere e di volere del soggetto, si è in tal modo valorizzata di quest’ultima l’autonoma e decisiva rilevanza agli effetti del giudizio di cui agli artt. 85 e 88 cod. pen., anche in ipotesi di accertata capacità di intendere, a cui si accompagni la comprensione del disvalore sociale della azione delittuosa. Si tratta di ipotesi in cui si registra nel carattere irresistibile per l’agente degli impulsi all’azione l’apprezzamento da parte del primo della riprovevolezza della seconda che risulta comunque non contenibile per la consistenza ed ampiezza degli impulsi, tali da vanificare la capacità di apprezzare dell’azione le conseguenze. All’indicata forza determinativa deve altresì accompagnarsi il nesso eziologico tra impulso e condotta criminosa sicché il fatto di reato deve essere causalmente determinato da quello specifico disturbo mentale idoneo ad alterare non l’intendere, ma il solo volere dell’autore della condotta illecita, restando fermo l’onere dell’interessato dimostrare il carattere cogente nel singolo caso dell’impulso stesso Sez. 6, n. 18458 del 05/04/2012, Bondì, Rv. 252686 . In applicazione degli indicati principi il disturbo da gioco d’azzardo è un disturbo della personalità o disturbo del controllo degli impulsi destinato, come tale, a sconfinare nella patologia e ad incidere, escludendola, sulla imputabilità per il profilo della capacità di volere. 3. Ciò posto, difetta negli argomenti difensivi portati, per gli articolati motivi di ricorso, una tempestiva allegazione della cogenza del disturbo tale da escludere ogni volontà nell’imputato della condotta appropriativa a lui contestata art. 314 cod. pen. . Con carattere di novità infatti la difesa contesta l’esistenza in capo al prevenuto all’epoca in cui venne commesso il fatto, all’esito di un effettuato test di controllo, di aver superato i criteri del DSM 4 per stabilire una patologia da G.A.P. o patologia da gioco d’azzardo , senza che il motivo, nei suoi contenuti, trovi speculare riscontro in quanto dedotto dinanzi alla Corte territoriale chiamata a pronunciare su di una patologia psichiatrica non meglio definita nella sua capacità di escludere la capacità di volere del soggetto e di rappresentazione delle conseguenza della propria azione. La novità del profilo che connota il ricorso chiama questa Corte in modo non consentito a pronunciare sul fatto. 4. Il ricorso è pertanto inammissibile, assorbita ogni diversa deduzione sulla prova. 5. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma equitativamente stimata in ragione dei profili di colpa che connotano l’assunta iniziativa giudiziaria di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.