Come individuare la fattispecie del c.d. piccolo spaccio

L’ipotesi di spaccio di lieve tenuità, di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, può essere riscontrata in relazione alla quantità e qualità della sostanza, da accertarsi con riguardo al principio attivo, alla complessità e ampiezza dell’organizzazione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33019/18, depositata il 17 luglio, si è pronunciata sul ricorso avverso la pronuncia della Corte d’Appello di Perugia che assolveva l’imputato dal reato di cessione continuata di stupefacenti, limitatamente ad alcuni episodi, confermando la sua responsabilità in relazione ad altri tre episodi di detenzione e cessione di stupefacenti ed un tentativo di estorsione. Con il ricorso viene dedotta l’erronea qualificazione della condotta che avrebbe dovuto essere ricondotta all’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 quale ipotesi di spaccio lieve. Piccolo spaccio. La doglianza viene condivisa dagli Ermellini che ricordano come la costante giurisprudenza di legittimità ritenga che la cessione continuativa a terzi di sostanze stupefacenti può essere ricondotta al fatto di lieve tenuità di cui al comma 5 dell’art. 73 cit. in relazione alla quantità e qualità della sostanza, da accertarsi con riguardo al principio attivo, alla complessità e ampiezza dell’organizzazione. Quest’ultimo elemento non è infatti di per sé incompatibile con l’ipotesi delittuosa in parola e, anche laddove l’attività di spaccio non sia occasionale ma sia inserita in un’attività criminale organizzata o professionale, l’at. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/1990 prevede l’autonoma ipotesi di associazione finalizzata alla commissione di fatti di detenzione e cessione di lieve entità riferiti al piccolo spaccio. Nel caso di specie, all’imputato era contestata l’attività di spaccio nei confronti di due soli soggetti, in quantità modeste e con frequenza bisettimanale per periodi limitati di tempo. È dunque riscontrabile l’ipotesi del piccolo spaccio che si caratterizza per la minor portata dell’attività dello spacciatore con ridotta circolazione di merce e denaro. Per questi motivi la Corte, dopo aver riqualificato i fatti, annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia per il profilo attinente al trattamento sanzionatorio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 dicembre 2017 – 17 luglio 2018, n. 33019 Presidente Conti – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Ancona, in sede di giudizio abbreviato, il 19 settembre 2016, assolveva S.M. dal reato di cessione continuata di stupefacenti di cui al capo 1 , limitatamente al periodo antecedente al febbraio 2015, nonché dall’episodio di estorsione contestato alla lett. A del capo 2 , confermando la sua responsabilità in ordine ai restanti reati - tre episodi di detenzione e cessione di stupefacenti e un tentativo di estorsione capi 1, 2b, 3 e 4 -, per i quali rideterminava la pena in anni sei di reclusione ed Euro 25.400 di multa. 2. L’avvocato Fernando Prosperi, nell’interesse dell’imputato, ha proposto ricorso per cassazione, formulando i motivi che di seguito si sintetizzano ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen 2.1. Con il primo motivo deduce erronea applicazione dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, in quanto avendo la stessa Corte d’appello limitato tra febbraio - aprile 2015 il periodo in cui l’imputato avrebbe provveduto in più occasioni a vendere dosi di cocaina in favore di B.M. , la condotta contestata avrebbe dovuto essere qualificata nell’ipotesi lieve di cui al comma 5 dell’art. 73 cit., tenuto conto che è stato accertato che le cessioni avvenivano ogni 2 o 3 settimane e avevano ad oggetto ogni volta una dose di cocaina. 2.2. Con il successivo motivo, collegato al primo, lamenta l’omessa motivazione sul punto, avendo già in appello richiesto la riqualificazione della condotta di cui al capo 1 . 2.3. Con il terzo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. e il vizio di motivazione, perché la responsabilità dell’imputato per i reati in questione si fonda su dichiarazioni accusatorie di coimputati o di soggetti comunque coinvolti nello spaccio di droga il riferimento è a B. , A. e R. non riscontrate, non potendosi ritenere riscontri i risultati delle intercettazioni telefoniche. 3.4. Con il quarto motivo denuncia la manifesta illogicità della motivazione in ordine agli episodi di cessione di cui ai capi 1 e 3, in cui si tratta di droga c.d. parlata. In questo caso la sentenza avrebbe dovuto offrire una motivazione rigorosa, che invece è mancata. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è fondato, in quanto i fatti contestati ai capi 1 e 3 possono essere riqualificati ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990. La giurisprudenza di questa Corte ritiene che la cessione continuativa a terzi di sostanze stupefacenti può integrare il fatto di lieve entità di cui al quinto comma, dell’art. 73 d.P.R. cit., avuto riguardo alla quantità e qualità della sostanza detenuta e spacciata, da accertarsi con riguardo al principio attivo, alla complessità ed all’ampiezza della organizzazione, al numero ed alla qualità dei soggetti coinvolti inoltre, con riferimento all’organizzazione si è precisato che il reato di cui al comma 5 non è di per sé incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale, ma inserita in un’attività criminale organizzata o professionale, ciò in quanto l’art. 74, comma sesto, d.P.R. n. 309 del 1990, prevede l’autonoma ipotesi di associazione finalizzata alla commissione di fatti di detenzione e cessione di lieve entità, cioè riferiti al c.d. piccolo spaccio, ancorché organizzato Sez. 6, n. 28251 del 09/02/2017, Mascali, Rv. 270397 . Nel caso in esame, le contestazioni rivolte all’imputato ai capi 1 e 3 riguardano un’attività di spaccio rivolta nei confronti delle stesse persone Marco B. e Stefano A. , avente ad oggetto la vendita di poche dosi alla volta con una frequenza bisettimanale per periodi limitati nel tempo, avvalendosi di volta in volta di pusher. Si tratta di un’attività che può rientrare nel concetto di piccolo spaccio, anche in considerazione della limitata organizzazione messa in piedi dall’imputato. Del resto il c.d. piccolo spaccio si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore, tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente, a dosi conteggiate a decine Sez. 6, n. 15642 del 27/10/2015, Driouech, Rv. 263068 . 2. Il secondo motivo è assorbito dall’accoglimento del primo. 3. Gli altri due motivi sono infondati. La sentenza impugnata fonda la responsabilità dell’imputato oltre che sulle dichiarazioni di R.R. , R.R.O.D. , B.M. , A.S. - dichiarazioni che si riscontrano reciprocamente -, soprattutto sui risultati delle intercettazioni che, nella ricostruzione dei giudici, forniscono un autonomo quadro probatorio sulla attività di spaccio dell’imputato e, nello stesso tempo, riscontrano le indicate dichiarazioni. 4. In conclusione, a seguito della riqualificazione dei fatti di cui ai capii e 3 nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, la sentenza deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia per nuovo giudizio sul trattamento sanzionatorio. nel resto il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. Riqualificati i fatti di cui ai capi 1 e 3 ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia alla Corte d’appello di Perugia per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso.