L’assoluzione dopo la condanna di primo grado e gli obblighi del giudice d’appello

Al di là di ogni ragionevole dubbio deve intervenire la condanna, non certo l’assoluzione possibile anche ex 530, comma 2, c.p.p Ciò posto, le soglie probatorie imposte dalla presunzione di innocenza e dal ragionevole dubbio sono asimmetriche in relazione alla diversa tipologia dell’epilogo decisorio la certezza della colpevolezza per la condanna, il dubbio processualmente plausibile per l’assoluzione .

Lo ha ribadito la Cassazione con sentenza n. 33088/18, depositata il 17 luglio. Il caso. L’imputato veniva condannato dal Tribunale di Forlì per il reato di cui all’art. 640 c.p. Truffa per essersi, essendo dipendente di una società di vigilanza, procurato un ingiusto profitto per l’indennità di malattia e per l’aspettativa non retribuita in relazione al periodo di assenza per riposo, nonostante fosse in piena efficienza fisica. Inoltre il Giudice condannava altresì imputato al risarcimento dei danni in favore della società datrice di lavoro costituitasi parte civile. La Corte d’Appello, adita dalla datrice di lavoro, ribaltava la decisione di prime cure e assolveva l’imputato perché il fatto non sussiste. Secondo il Giudice di secondo grado dall’istruttoria emergevano svariate indicazioni a supporto della versione difensiva in relazione al reale malessere fisico dell’imputato che facevano sorgere quanto meno il ragionevole dubbio sulla fondatezza delle accuse a suo carico. Detta decisione è impugnata per cassazione su ricorso promosso dalla società datrice di lavoro, la quale deduce la manifesta illogicità della motivazione nella valutazione delle prove inerenti l’insussistenza della inabilità al lavoro ovvero della prove attestanti l’efficienza fisica, prove tutte rilevanti ai fini dell’accertamento dell’elemento materiale del reato di truffa . L’assoluzione dopo la condanna. Osserva il Supremo Collegio che, in punto di diritto, in tema di motivazione della sentenza il giudice di appello ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato Cass. SS.UU. n. 33748/2005 . Inoltre, richiamando una recentissima decisione delle Sezioni Unite Penali, la Cassazione ha ribadito che nel caso di riforma della decisione di prime cure in senso assolutorio il giudice non deve per forza rinnovare l’istruzione dibattimentale per l’esame di coloro che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive per la condanna di primo grado. Tuttavia, il giudice di appello è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata Cass. SS.UU. n. 14800/18 . Conclude la Suprema Corte precisando che, quindi, anche se il giudice di secondo grado deve motivare in modo rafforzato non è necessario che l’assoluzione dopo la condanna superi alcun dubbio, perché è la condanna che deve intervenire al di là di ogni ragionevole dubbio, non certo l’assoluzione, possibile anche ex art. 530, comma 2, c.p.p. . In relazione alla diversa tipologia dell’epilogo decisorio per la condanna la certezza della colpevolezza e per l’assoluzione il dubbio processualmente plausibile presunzione di innocenza e ragionevole dubbio impongono soglie probatorie asimmetriche . Secondo la Cassazione la Corte d’Appello, nella fattispecie in esame, ha fatto corretta applicazione dei citati principi nella motivazione rafforzata concessa a sostegno della decisione di assoluzione. Per queste ragioni gli Ermellini rigettano il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 giugno – 17 luglio 2018, n. 33088 Presidente Diotallevi – Relatore Rago Ritenuto in fatto 1. R.I. fu tratto a giudizio per il reato di cui all’art. 640 cod. pen. perché, essendo dipendente del Centro Cavalieri Security G.P.G. s.r.l., si procurava l’ingiusto profitto percepito per l’indennità di malattia e per l’aspettativa non retribuita in relazione ad un prolungato periodo di riposo nel quale, in realtà, si trovava in piena efficienza fisica, con pari danno per l’Inail . L’imputato, all’esito del giudizio di primo grado, fu condannato dal giudice monocratico del tribunale di Forlì alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 600,00 di multa oltre al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile Centro Cavalieri Security G.P.G. s.r.l Il Tribunale giungeva alla pronuncia di penale responsabilità in quanto dagli atti dell’istruttoria dibattimentale era emerso che l’imputato, dipendente del Centro Cavalieri Security S.r.l. con mansioni di guardia giurata, a seguito di un infortunio dovuto a sinistro stradale, avvenuto nella notte del omissis , mentre si trovava alla guida di un’autovettura nell’espletamento del proprio servizio di vigilanza, aveva goduto di una lunga assenza dal lavoro, per il periodo dal omissis al 2 maggio 2011, ad eccezione di un breve periodo nel dicembre del 2010 durante il quale era tornato al lavoro, all’uopo presentando certificati medici, per lo più attestanti la riacutizzazione dell’originaria contusione del rachide cervicale da tamponamento cd. colpo di frusta , in concomitanza allo scadere di un precedente periodo di malattia già certificato tuttavia, durante tale periodo di assenza dal lavoro, lo stesso aveva partecipato a battute di caccia al cinghiale in braccata nei giorni 17, 20, 24, 27 novembre 2010 4, 8, 25, 26, 29 dicembre 2010 15, 19, 20, 22, 26 gennaio 2011 inoltre, in data 5 gennaio 2011, era stato visto effettuare alcuni lavori presso la propria abitazione implicanti il sollevamento e lo spostamento di carichi sospesi. Dette circostanze erano comprovate dalla comunicazione redatta dal Presidente del comitato provinciale degli ATC e dalle schede di presenza nelle battute di caccia, dalle dichiarazioni degli stessi testi indotti dalla difesa, compagni di caccia del prevenuto, i quali avevano riferito che questi aveva partecipato alle battute in piena efficienza fisica e che le battute in questione implicavano tortuosi trasferimenti per raggiungere zone boschive impervie . pag. 1 sentenza impugnata. Proposto appello da parte dell’imputato, la Corte di Appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe, lo assolveva perché il fatto non sussiste. Ad avviso della Corte Territoriale, infatti, il quadro fattuale che emergeva dalla svolta istruttoria pone una seria ipoteca sulla fondatezza della prospettazione accusatoria e che ben giustifica, quantomeno, il ragionevole dubbio plurime sono le indicazioni a supporto della versione difensiva - non va dimenticato supportata da copiosa documentazione medica proveniente da più medici della stessa Inail che, infatti, nulla ha rilevato di anomalo nella durata della malattia e, significativamente, non si è costituita parte civile - circa l’esistenza di un effettivo stato di malessere fisico caratterizzato dall’improvvisa insorgenza di vertigini in occasione di brusche rotazioni del capo, con anche, almeno in un caso, cadute a terra per forte sbandamento pag. 6 sentenza impugnata . 2. Contro la suddetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il Centro Cavalieri Security G.P.G. s.r.l. deducendo la manifesta illogicità della motivazione nella valutazione delle prove inerenti l’insussistenza della inabilità al lavoro ovvero delle prove attestanti l’efficienza fisica, prove tutte rilevanti ai fini dell’accertamento dell’elemento materiale del reato di truffa ai danni di essa ricorrente. L’asse portante della censura dedotta è racchiusa nella seguente affermazione La Corte di Appello partendo dal presupposto indimostrato e non spiegato che la patologia dell’imputato pur potendo astrattamente impedire l’attività lavorativa, non sia ostativa all’attività venatoria ed ai lavori di ristrutturazione dell’abitazione, di fatto giunge ad una immotivata conclusione antitetica non solo alla decisione di primo grado, ma ad evidenti principi logici, infatti più oltre la motivazione della decisione d’appello osserva che la soluzione accolta dal giudicante fondata sull’assunto secondo il quale si tratterebbe di sintomatologia essenzialmente soggettiva, non appare convincente alla luce per l’appunto delle certificazioni mediche, i cui contenuti non risultano smentiti in atti . Ecco l’errore logico, escludendo a priori l’incompatibilità della patologia denunciata dall’imputato con le attività extralavorative, viene meno, erroneamente, la prova contraria delle certificazioni mediche, che a dispetto di quanto riportato in sentenza, come invece descritto dal teste B. , funzionario dell’Inail, non comportarono nel caso di specie esami specifici, radiografici o di altra natura da parte del personale medico dell’Inail, ma si trattò solo di certificazioni c.d. esterne, ossia del medico privato di base. Se aprioristicamente si ritiene che le attività extralavorative del R. non fossero incompatibili con la patologia certificata è di fatto impossibile procedere alla verifica, annunciata come necessaria nell’impugnata sentenza, dell’effettiva esistenza dei disturbi e dei malesseri dell’imputato . La ricorrente, poi, ripercorre l’iter processuale censurando la motivazione sia nella parte in cui la Corte aveva ritenuto che la patologia lamentata fosse compatibile con il sollevamento di carichi sospesi e con l’attività venatoria sia nella parte in cui aveva ritenuto che, mentre quella patologia fosse incompatibile con le mansioni svolte porto di armi e pattugliamento , poi, aveva ritenuto che quelle stesse attività fossero, invece, compatibili con l’attività svolta privatamente caccia . Considerato in diritto 1. In punto di diritto, va premesso che, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello sia che riformi la decisione di condanna di primo grado, Cass. 7630/2014 Rv. 231136 Cass. 46742/2013 Rv. 257332 Cass. 1253/2013 Rv. 258005 sia che riformi una decisione assolutoria Cass. 35762/2008 Rv. 241169 Cass. 42033/2008 Rv. 242330 Cass. 22120/2009 Rv. 243946 , ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato SSUU 33748/2005 Rv. 231679 . Si è, infatti, osservato che, in tali fattispecie, la motivazione della sentenza di appello si caratterizza per un obbligo peculiare e rafforzato di tenuta logico-argomentativa, che si aggiunge a quello generale della non apparenza, non manifesta illogicità e non contraddittorietà art. 606/1 lett. e c.p.p. , dovendo il giudice di appello non solo indicare l’iter logico argomentativo posto a sostegno del proprio alternativo ragionamento probatorio, ma anche di confutare specificamente i più rilevanti argomenti contenuti nella motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, non potendosi limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché ritenuta preferibile a quella del primo giudice. In tal senso, da ultimo, si sono pronunciate anche le SSUU le quali ribadendo quanto statuito dalle precedenti SSUU Dasgupta e Patalano - hanno affermato che Nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna, il giudice di appello non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna di primo grado. Tuttavia, il giudice di appello previa, ove occorra, rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado SSUU n. 14800/2018. In particolare, le SSUU hanno chiarito che, nel caso in cui il giudice di appello pronunci sentenza di assoluzione a fronte di una sentenza di condanna in primo grado, può limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto, sulla base di un’operazione di tipo essenzialmente demolitivo. Deve trattarsi, peraltro, di ricostruzioni non solo astrattamente ipotizzabili in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. È dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo. Movendo da tali postulati va inoltre sottolineato come, all’assenza di un obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in caso di ribaltamento assolutorio, debba affiancarsi l’esigenza che il giudice d’appello strutturi la motivazione della decisione assolutoria in modo rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte . La conclusione è quindi la seguente pur dovendo il giudice di appello motivare in modo rafforzato, tuttavia l’assoluzione dopo una condanna non deve superare alcun dubbio, perché è la condanna che deve intervenire al di là di ogni ragionevole dubbio, non certo l’assoluzione, possibile anche ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. Presunzione di innocenza e ragionevole dubbio impongono soglie probatorie asimmetriche in relazione alla diversa tipologia dell’epilogo decisorio la certezza della colpevolezza per la condanna, il dubbio processualmente plausibile per l’assoluzione SSUU 14800/2018 cit. 2. Alla stregua dei suddetti principi di diritto, non resta che verificare se la Corte di Appello ad essi si sia attenuta, verifica che può che essere effettuata solo comparando l’iter motivazionale della sentenza di primo grado con quello di appello. Orbene da un semplice raffronto delle due sentenze di merito, emerge che la Corte di Appello ha assolto all’obbligo della motivazione rafforzata. Il primo giudice pag. 4 sentenza di primo grado , dopo avere analizzato l’esito della svolta istruttoria, concluse ritenendo che le circostanze emerse svolgimento di attività incompatibili con la patologia dichiarata fossero tutte chiaramente evidenzianti il carattere meramente strumentale del ricorso da parte dell’imputato all’induzione di certificazione di malattie e/o di indisposizioni fisiche - nella specie sostanzialmente riferibili a riacutizzazione dei sintomi di cervicalgia da colpo di frusta, come tali prettamente riconducibili a sensazioni dolorose e sintomatologiche riferite dal paziente - astrattamente incompatibili con la prestazione di servizio ma da ritenersi invece concretamente inesistenti in quanto oggettivamente incompatibili con l’efficienza fisica richiesta per lo spostamento di carichi e/o l’esercizio dell’attività venatoria, e dunque da ritenersi artificiosamente addotte ai sanitari al solo fine di ottenere l’indebito prolungamento dell’assenza dal servizio con fraudolento conseguimento dell’intera retribuzione mensile con pari danno patrimoniale sia del datore di lavoro sia dell’Inail tenuti per legge a corrispondere pro quota quest’ultima . . La Corte di Appello pag. 6 ha confutato la suddetta motivazione sulla base dei seguenti argomenti La soluzione accolta dal giudicante, fondata sull’assunto secondo il quale si tratterebbe di sintomatologia essenzialmente soggettiva - dunque, pare di capire, non accertabile in base a metodologie oggettive - non appare convincente alla luce, per l’appunto, non solo delle certificazioni mediche, i cui contenuti non risultano smentiti in atti, certificazioni che danno conto non solo del riferito del paziente ma di esami radiografici, manipolazioni dei sanitari sulla parte dolorante, visite obiettive, ma dalla presenza, anch’essa certificata, di concreti episodi di svenimento, vomito e malessere, in relazione ad uno dei quali il R. fu anche ricoverato per qualche giorno in tal senso, deve darsi atto che 1 nessuno dei numerosi medici della struttura pubblica che visitarono, in occasione della scadenza di ciascun periodo di malattia, l’imputato ebbe a sollevare dubbi sulla esistenza della patologia distorsione rachide cervicale , sulla congruità alla stessa della sintomatologia manifestata episodi sincopali, cervicalgia recidivante e vertiginosa, nausee e vomito e sulla sua riconducibilità all’infortunio del omissis 2 il paziente fu sottoposto a svariati esami Eeg, Rx, Tac, ecodoppler e a terapia medica e fisiatrica 3 il omissis fu ricoverato in osservazione al Pronto soccorso dell’ospedale di a seguito di caduta, con trauma gluteo sx, per svenimento e perdita di coscienza nel relativo certificato si dà atto di capogiri nel passaggio alla posizione seduta e di lieve dolenzia lombare dx nonché di un precedente episodio sincopale, accaduto qualche giorno prima, testimoniata da un amico . Come, quindi, può notarsi non solo la motivazione è rafforzata ma la Corte ha preso in esame tutto il materiale - anche quello non considerato dal primo giudice in particolare la documentazione medica di parte nonché gli episodi sincopali - giungendo ad una conclusione opposta a quella del primo giudice proprio sulla base del ragionevole dubbio cfr supra in parte narrativa al § 1 . Le censure dedotte dal ricorrente in questa sede non hanno una valenza tale da scalfire l’ordito motivazionale della sentenza impugnata in quanto, a ben vedere, si fondano tutte su una rilettura - in senso accusatorio - degli atti processuali e su pretese manifeste illogicità che tali non sono. Infatti, la Corte ha fondato il proprio convincimento non sull’aprioristico presupposto indimostrato e non spiegato che la patologia dell’imputato pur potendo astrattamente impedire l’attività lavorativa, non sia ostativa all’attività venatoria ed ai lavori di ristrutturazione dell’abitazione , ma su un coacervo di dati processuali accertamenti medici oggettiva sintomatologia episodi sincopali, cervicalgia recidivante e vertiginosa, nausee e vomito ricoveri in ospedali pubblici neppure presi in considerazione dal primo giudice e che inficiano, sotto il profilo del ragionevole dubbio, il giudizio di colpevolezza. Non è ravvisabile, poi, neppure la contraddizione evidenziata dalla ricorrente secondo la quale la motivazione era intrinsecamente contraddittoria nella parte in cui la Corte aveva ritenuto, da una parte, che le mansioni svolte porto di armi e pattugliamento fossero incompatibili con la patologia lamentata, e, poi, dall’altra, che quelle stesse attività fossero, invece, compatibili con l’attività svolta privatamente caccia e sollevamenti di carichi che implicava lo svolgimento di quegli stessi movimenti fisici che l’imputato compiva nello svolgimento delle sue mansioni. Infatti, la Corte di Appello pag. 5 della sentenza impugnata ha confutato il suddetto argomento scrivendo che, quanto al saltuario sollevamento, tramite verricello, di un secchio contenente materiale, si ignorava quale ne fosse il peso e che le battute di caccia erano connotate dalla prolungata sosta in una postazione fissa, raggiunta con auto guidate da altri . 3. In conclusione, non ravvisandosi nella sentenza impugnata alcun vizio attinenti all’obbligo della motivazione rafforzata, ed essendo l’assoluzione pronunciata sotto il profilo del ragionevole dubbio, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.