Allontanamento volontario dal domicilio, automatica la sostituzione dei domiciliari con la custodia cautelare in carcere

L’art. 276 c.p.p. sancisce che in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell'entità, dei motivi e delle circostanze della violazione .

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 32620/18 depositata il 16 luglio. Il caso. Il condannato ricorre per la cassazione della sentenza del Tribunale di riesame con la quale in appello si confermava l’ordinanza del Giudice procedente con cui si aggravava la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella della custodia in carcere. La Corte territoriale riteneva accertata la violazione del divieto di allontanamento dall’abitazione poiché l’imputato non rispondeva all’insistente suono del campanello e alla chiamata della centrale operativa. L’automatica sostituzione della misura cautelare personale. Stabilisce la Suprema Corte che in caso di trasgressioni delle prescrizioni riguardanti il divieto di allontanarsi dal domicilio, l’art. 276, comma 1- ter, c.p.p. rende obbligatoria la revoca degli arresti domiciliari e il ripristino della custodia cautelare in carcere, senza che al giudice possa essere riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari . Presupposto della sostituzione è la verifica giudiziale di una condotta di trasgressione, la quale può risultare anche da violazioni di prescrizioni inerenti gli arresti domiciliari, diverse dall’allontanamento dal domicilio. Continua il Collegio che la suddetta sostituzione presenta carattere automatico, salvo che vi sia la prova della lieve entità del fatto. Nel caso in esame l’allontanamento dalla propria abitazione da parte dell’imputato è provato dalle concrete modalità di controllo della polizia. Pertanto, il ricorso è inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 luglio – 16 luglio 2018, n. 32620 Presidente Paoloni – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. T.L. propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Genova con la quale, in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen. , è stata confermata l’ordinanza con la quale il giudice procedente aveva aggravato la misura custodiale degli arresti domiciliari con quella della custodia in carcere, ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter cod. proc. pen Il T. , già condannato in appello alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione per il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. 309/1990, era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, con autorizzazione ad uscire dal domicilio ogni lunedì dalle ore 8 00 alle ore 11 00. La Corte territoriale aveva ritenuto accertata la violazione del divieto di allontanamento dal domicilio poiché il T. , alle ore 23 30 del 5 marzo 2018, non aveva risposto all’insistente squillo del campanello e non aveva risposto alla chiamata che la centrale operativa aveva effettuato sul telefono cellulare a lui in uso. 2. Con il ricorso il T. censura la sentenza impugnata con riferimento alla sussistenza dei requisiti per l’aggravamento, non essendo provata una condotta di evasione dagli arresti domiciliari. Denuncia, in particolare, la illogicità delle affermazioni del Tribunale che ha ritenuto irrilevante la mancata verifica dell’allontanamento dall’abitazione e inverosimile la tesi difensiva esprimendo valutazioni prive di scientificità, quanto agli effetti collaterali indotti dai farmaci antidepressivi e inducenti al sonno assunti dal T. , stante anche la brevità degli accertamenti condotti sul posto. Illogica è anche la esclusione che la violazione fosse lieve, giudizio formulato sulla scorta di una circostanza, che il T. era autorizzato a lasciare il domicilio in alcune ore, avulsa dalla violazione riscontrata e, pertanto inidonea ad agire con la stessa. Al contrario ha evidenziato che il T. , sottoposto alla misura degli arresti domiciliari da ben diciannove mesi, non aveva mai dato luogo a rilievi di sorta. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la genericità, indeducibilità e manifesta infondatezza dei motivi proposti. 2. La giurisprudenza di questa Corte ha delineato con sufficiente precisione i canoni ermeneutici che sovrintendono all’applicazione dell’art. 276 cod. proc. pen., norma che definisce un sistema autonomo di interventi ripristinatori in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare già applicata. Non vi è dubbio che la norma in esame, lungi dall’assolvere a finalità sanzionatorie estranee alle misure di custodia preventiva, le quali non possono soddisfare altro che esigenze di carattere cautelare o comunque strettamente inerenti al processo Corte Cost. sentenze n. 1 del 1980 e n. 64 del 1970 , costituisce una disposizione di natura eccezionale che va letta nel complesso del sistema cautelare e, dunque, coordinata con il principio secondo cui, in tema di sostituzione e revoca delle misure cautelari coercitive, il presupposto per l’aggravamento della misura non è la violazione delle prescrizioni, bensì la necessità di adeguare lo status libertatis alla eventuale sopravvenienza di circostanze tali da far ritenere aggravate le esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen. Sez. 4, n. 25008 del 15/01/2007, Granata, Rv. 237001 Sez. 1, n. 3285 del 21/12/2015 dep. il 2016, Dzhangveladze, Rv. 265726 . 3.Costituisce, altresì, ius receptum di questa Corte di legittimità il principio, espresso sulla scorta del dato letterale della disposizione in esame il giudice dispone che, in caso di trasgressione delle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari precedentemente disposti, sia esso l’abitazione o altro luogo di privata dimora, l’art. 276, comma 1-ter cod. proc. pen. rende obbligatoria la revoca degli arresti domiciliari ed il ripristino della custodia cautelare in carcere, senza che al giudice possa essere riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari. Tale previsione, lungi dall’assolvere a finalità sanzionatorie estranee alle misure custodiali, integra un’ipotesi di presunzione di inadeguatezza di ogni misura diversa dalla custodia cautelare in carcere una volta che la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari si sia rivelata insufficiente allo scopo, per la trasgressione al suo contenuto essenziale. Lungo tale linea si è mossa la giurisprudenza di questa Corte, a partire da una risalente pronuncia del Giudice delle leggi Corte Cost. n. 40 del 2002 cfr. ex multis Sez. 6, n. 942 del 13/11/2003 dep. 2004, Bonsignore, Rv. 228051 Sez. 6, n. 12313 del 27/11/2007 dep. 2008, Cucinella, Rv. 239327 Sez. 5, n. 42017 del 22/9/2009, Della Rocca Rv. 245381 Sez. 5, n. 15053 del 22/2/2012, Nesta, Rv. 252478 Sez. 5, n. 1821 del 29/09/2011 dep. 2012, Algieri, Rv. 251715 Sez. 6, n. 3744 del 09/01/2013, Sina, Rv. 254290 . Solo con la legge n. 47 del 2015, peraltro, il rigore di tale automatismo è stato temperato con la previsione secondo la quale il giudice deve valutare se non si sia in presenza di fatto di lieve entità. 4. Il primo comma dell’art. 276 cod. proc. pen., invece, consente il giudice può disporre , la sostituzione della misura in atto con altra più grave, quale che sia la prescrizione violata, tenuto conto dell’entità, dei motivi e delle circostanze della violazione . Presupposto della sostituzione ovvero dell’aggravamento è la verifica, da parte del giudice, di una condotta di trasgressione e, cioè, di una condotta che, in tutte le sue connotazioni strutturali e finalistiche, presenti caratteri che rivelano la sopravvenuta inadeguatezza della misura in corso. Non vi è ragione per non ritenere che possano fondare l’aggravamento ovvero la sostituzione della misura con altra più afflittiva, in presenza della constatata trasgressione, anche le violazioni di prescrizioni inerenti alla misura degli arresti domiciliari, diverse dall’allontanamento dal luogo di esecuzione della misura, che, come accennato, costituisce una violazione tipizzata dal legislatore con la previsione di cui all’art. 276, comma 1-ter cod. proc. pen 5. Anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 47 del 2015 questa Corte ha ribadito l’esattezza della impostazione ermeneutica innanzi delineata affermando che la sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella della custodia cautelare in carcere per la violazione delle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, disposta ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., è automatica, salvo che vi sia la prova della lieve entità del fatto, senza che al giudice sia riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari Sez. 5, n. 15301 del 23/01/2017, Garofalo, Rv. 270075 . A tal riguardo nella sentenza ora richiamata si afferma che, in relazione ad entrambe le ipotesi di cui all’art. 276 cod. proc. pen. l’apprezzamento del giudice attiene in primo luogo alla prova dell’avvenuta trasgressione e, con riferimento all’ipotesi della violazione concernente il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione, anche alla prova - negativa - dell’eventuale lieve entità del fatto. E, nel caso in cui tale ultima evenienza sia esclusa, la revoca degli arresti domiciliari è automatica, senza che al giudice sia riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari, tantomeno sotto il profilo della loro attualità, e neppure il potere di aggravare la precedente misura soltanto con ulteriori obblighi aggiuntivi. Il giudizio positivo o negativo sull’entità, sui motivi o sulle circostanze della violazione e, in definitiva, sulla gravità della condotta trasgressiva, è riservato al giudice del merito - giudice che procede e, in caso di impugnazione, tribunale dell’appello - il quale ha obbligo di fornire adeguata, corretta e logica motivazione apprezzando tutte quelle circostanze di fatto che, pur esulando dalle giustificazioni che scriminano la condotta elidendone l’antigiuridicità, consentono di connotare il fatto, in termini di minore, perché attenuata, gravità. 6. Venendo alla fattispecie in esame, rileva il Collegio che i motivi di ricorso, articolati sotto l’aspetto di vizi della motivazione, si risolvono nella riproposizione delle argomentazioni difensive che i giudici dell’appello cautelare hanno adeguatamente vagliato al fine di pervenire alla conclusione che T.L. aveva volontariamente violato la prescrizione di non allontanarsi dal domicilio nel quale era ristretto e che la violazione, non essendo accertate la durata e la ragione dell’allontanamento, non costituiva ipotesi lieve, anche tenuto conto che il T. era già autorizzato, in un giorno della settimana, a lasciare l’abitazione per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita. 7. Il Tribunale, sulla base di pacifiche regole di esperienza e con argomenti privi di vizi logici ictu oculi riconoscibili, ha ritenuto provato l’allontanamento del T. dal domicilio valorizzando le concrete modalità del controllo di polizia e sottolineando, a tal riguardo, che gli agenti avevano a lungo, per oltre cinque minuti, fatto squillare il campanello dell’abitazione, che essi stessi potevano udire dall’esterno, e chiamato il T. sul cellulare a lui in uso, senza ottenere risposta, circostanze più che adeguate per ritener che se l’imputato fosse stato in casa, anche addormentato vista l’ora, avrebbe certamente udito squilli tanto protratti. Tanto più, rileva il Collegio, che la posizione di chi beneficia degli arresti domiciliari è equiparata a quella di chi si trova in carcere, con la conseguenza che il detenuto agli arresti domiciliari non può certo disinteressarsi della sua situazione, ed anzi deve sapere che i controlli da parte della Polizia giudiziaria sono sempre possibili e non solo non deve ostacolarli, ma deve porre in essere tutte le cautele necessarie affinché gli strumenti che consentono di effettuare le verifiche citofono, campanello della porta di casa e quant’altro siano sempre udibili ed in piena efficienza Sez. 6, n. 19046 del 19/04/07, n.m. e rendersi egli stesso agevolmente reperibile, anche in ora notturna predisponendo, ove occorra per la conformazione dell’immobile o per altre ragioni, anche personali, strumenti che lo mettano in condizione di rispondere prontamente ai controlli. Ne discende che ragionevolmente il Tribunale ha ritenuto irrilevante, ai fini della prova della violazione, la mancanza di ulteriori accertamenti per verificare dove effettivamente il ricorrente si trovasse o il momento di rientro nell’abitazione, onde coglierlo in flagranza. 8. Né è inficiato da manifesta illogicità il giudizio di inverosimiglianza della tesi difensiva, che, cioè, il ricorrente dormiva un sonno profondo tanto da non udire il suono del campanello e lo squillo del cellulare. In proposito il Tribunale ha ritenuto che i comuni effetti collaterali provocati dai farmaci inducenti il sonno cioè la sonnolenza non sono tali da impedire di udire lo squillo del campanello protratto per oltre cinque minuti e quello del cellulare. A fronte di tale apprezzamento si rivelano generiche le argomentazioni difensive sulla pretesa ascientificità della giustificazione che si fondano sulla produzione di una certificazione - rilasciata in data 26 marzo 2018 - che pur indicando i farmaci utilizzati dal T. , tuttavia nulla dice né a proposito della sottoposizione del T. alla terapia farmacologica indicata proprio al momento dell’accertamento della violazione che, come accennato, risale al 5 marzo né su un effetto collaterale o indesiderato dell’assunzione dei predetti farmaci, come quello di sonno profondo o letargia, e, infine, che un tale effetto, anche solo sulla base dell’anamnesi del paziente, fosse mi stato riferito dal T. al proprio medico curante. 9. Anche la conclusione del Tribunale sull’entità, non lieve, della violazione, non appare censurabile in questa sede perché espressa sulla scorta di una corretta e logica motivazione rispetto alla quale il motivo di ricorso formulato per sostenere, in una diversa ottica, la diversità del fatto, risulta inammissibile perché volti ad un diverso ed alternativo apprezzamento di merito. Il giudizio sulla lieve entità della violazione va necessariamente raccordato alla natura ed alla funzione della misura degli arresti domiciliari, che riposano eminentemente sulla collaborazione della persona sottoposta a misura ai fini del rispetto delle prescrizioni che le sono imposte, e, quindi, sulla capacità di autocustodia che essa dimostra. Nel caso in esame, il sintetico riferimento del Tribunale alla circostanza che l’imputato era autorizzato a uscire dal domicilio in un giorno della settimana per accudire alle proprie esigenze di vita, dà conto della natura pretestuosa della riscontrata violazione insieme all’orario dell’allontanamento ed alle sue modalità, non essendone stata accertata la durata, e si risolve in un giudizio negativo sulla gravità della condotta trasgressiva, riservato, come si è detto, al giudice del merito e incensurabile in questa sede, se, come nel caso in esame, adeguatamente motivato. 10. Il ricorso, per quanto detto, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter-, disp. att. cod. proc. pen