Provano a sottrarre le monete dalla cassetta delle offerte ma interviene un poliziotto fuori servizio: desistenza volontaria o reato tentato?

Nei reati di danno a forma libera, è configurabile la desistenza volontaria solo nella fase del tentativo incompiuto, ossia fino a quando non siano stati posti in essere gli atti da cui origina il processo causale idoneo a produrre l’evento.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32352/18, depositata il 13 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Firenze confermava la condanna di due imputati per il reato di tentato furto aggravato in concorso. Dalla ricostruzione dei fatti era emerso che i due avevano apposto del nostro biadesivo all’interno di una cassetta per le offerte votive di una Chiesta di Viareggio al fine di apprendere le monete ivi contenute. Avverso la sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati dolendosi, per quanto d’interesse, per l’insussistenza di atti idonei alla qualificazione della condotta come tentativo di furto. Dalla ricostruzione della vicenda era infatti emerso che un poliziotto non in servizio aveva assistito al tentativo dei due di impossessarsi delle monete ed era dunque intervenuto per fermarli. Tentativo. Sul punto, il Collegio sottolinea che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto sussistente il compimento di atti idonei in modo non equivoco all’impossessamento delle monete, impedito dall’intervento di terzi, escludendo l’ipotesi della desistenza volontaria. È infatti principio consolidato quello secondo cui nei reati di danno a forma libera, è configurabile la desistenza volontaria solo nella fase del tentativo incompiuto, ossia fino a quando non siano stati posti in essere gli atti da cui origina il processo causale idoneo a produrre l’evento . L’istituto di cui all’art. 56, comma 3, c.p. non può dunque trovare applicazione nelle ipotesi di tentativo compiuto una volta che l’agente ha posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere il delitto, la pena prevista è quella stabilita per il delitto tentato eventualmente diminuita di un terzo alla metà ove l’agente stesso si sia adoperato al fine di impedire l’evento reato art. 56, comma 4, c.p. . In conclusione, si configura il tentativo e non la desistenza volontaria laddove la condotta delittuosa si sia arrestata prima del verificarsi dell’evento non per la volontaria iniziativa dell’agente ma per l’intervento di fattori esterni. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 marzo – 13 luglio 2018, numero 32352 Presidente Pezzullo – Relatore Tudino Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1.Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la decisione del Tribunale di Lucca, sezione distaccata di Viareggio, con la quale F.P. e C.G. sono stati condannati alla pena di giustizia per il reato di tentato furto aggravato in concorso. La corte territoriale ha ritenuto, pur all’esito delle deduzioni defensionali, che gli imputati avessero posto in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco, alla apprensione - mediante l’utilizzazione di un nastro biadesivo delle monete contenute nelle cassette per le offerte votive della Chiesa omissis . 2. Avverso la sentenza, hanno proposto unico ricorso entrambi gli imputati, per mezzo del difensore, articolando diversi ordini di censure. 2.1 Deducono, con il primo motivo, inosservanza e falsa applicazione della legge processuale e correlati vizi della motivazione in riferimento alla valutazione degli indizi ex art. 192 cod. proc. penumero . La corte territoriale non avrebbe valutato la censura mossa a riguardo, e relativa al difetto di dimostrazione di atti idonei alla qualificazione della condotta ex art. 56 cod. penumero , per essersi il solo F. limitato ad avvicinare alla cassetta votiva ed avendo entrambi desistito volontariamente dall’azione antigiuridica, non potendosi conferire rilievo decisivo al mero possesso del nastro biadesivo e delle torce. Con conseguente apoditticità della motivazione, in difetto dei necessari requisiti della gravità, precisione e concordanza degli indizi. 2.3 Con il secondo motivo, censurano il trattamento sanzionatorio e la mancata concessione delle attenuanti generiche. 3. Il ricorso è manifestamente infondato. 3.1. Il primo motivo è connotato da specificità, in quanto si risolve in una mera critica rivolta alla sentenza impugnata, con il cui tessuto motivazionale i ricorrenti omettono di confrontarsi, peraltro sovrapponendo il thema della qualificazione giuridica del fatto e della valutazione della prova indiziaria. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, autorevolmente espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite numero 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823, i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato Sez. 5, numero 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568 , in quanto le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato Sez. 2, numero 11951 del 29/01/2014, Rv. 259425 . 3.2 Nel caso in esame, inconferente appare il richiamo agli indizi, avendo la Corte territoriale correttamente valutato la testimonianza di T.M. attraverso la ricostruzione, esaustivamente rappresentata in motivazione, della condotta degli imputati, già avvistati dal teste - che ne aveva riconosciuto l’identità nella registrazione dell’impianto di sicurezza della Chiesa omissis , mostratogli dal parroco, dove gli agenti il precedente omissis erano stati ripresi mentre prelevavano, con identiche modalità, monete contenute in cassette votive - il omissis all’interno della stessa chiesa, mentre verificavano, mediante una torcia, i medesimi contenitori. Nell’occasione gli imputati, avvedutisi del T., avevano effettivamente desistito da ulteriori condotte, allontanandosi dal luogo di culto e recandosi presso la Chiesa omissis dove - ignari di essere stati seguiti - mentre il C. si tratteneva all’interno nei pressi dell’ingresso, il F. si avvicinava ad una cassetta delle offerte e, dopo averne esplorato l’interno con la stessa torcia, vi inseriva un metro a nastro dotato di nastro biadesivo, venendo a quel punto fermato dal T., assistente capo della polizia di Stato libero dal servizio. 3.3. È in riferimento al secondo segmento della complessiva vicenda che i giudici di merito hanno, correttamente, ravvisato il compimento di atti idonei, diretti in modo non equivoco all’impossessamento delle monete, impedito dall’intervento di terzi, escludendo potersi configurare desistenza secondo il principio per cui Nei reati di danno a forma libera, è configurabile la desistenza volontaria solo nella fase del tentativo incompiuto, ossia fino a quando non siano stati posti in essere gli atti da cui origina il processo causale idoneo a produrre l’evento Sez. 5, Sentenza numero 50079 del 15/05/2017 Ud. dep. 02/11/2017 Rv. 271435, Sez. 2, numero 24551 del 08/05/2015, Supino e altro, Rv. 264226 Sez. 1, numero 11746 del 28/02/2012, Price, Rv. 252259 N. 42749 del 2007 Rv. 238112, N. 39293 del 2008 Rv. 241340, N. 11746 del 2012 Rv. 252259, N. 18322 del 2017 Rv. 269797 . Il Collegio ritiene, al riguardo, del tutto condivisibile il consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude l’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 56, comma 3, cod. penumero nelle ipotesi di tentativo compiuto posti in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, l’agente soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, eventualmente diminuita da un terzo alla metà ove si sia adoperato per impedire l’evento di reato, ai sensi dell’art. 56, comma 4, cod.penumero . È, difatti, configurabile il tentativo e non la desistenza volontaria nei casi - come quello in esame - in cui la condotta delittuosa si sia arrestata prima del verificarsi dell’evento non già per volontaria iniziativa dell’agente, bensì per l’intervento di fattori esterni che impediscano comunque la prosecuzione dell’azione o la rendano vana Sez. 2, Sentenza numero 51514 del 05/12/2013 Ud. dep. 20/12/2013 Rv. 258076, Sez. 5, Sentenza numero 36919 del 11/07/2008 Ud. dep. 26/09/2008 Rv. 241595 . Di guisa che manifestamente infondata si appalesa la censura relativa alla configurabilità - ed alla dimostrazione probatoria - della desistenza volontaria, in presenza dall’avvenuto accertamento di un tentativo di furto compiuto , rispetto al quale non può operare l’esimente in parola, quanto, in ipotesi, il recesso attivo, comunque non evocato dalla difesa. 4. Parimenti inammissibile il secondo motivo di ricorso in ordine al trattamento sanzionatorio ed alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. 4.1 Va, sul punto, rilevato come agli imputati siano state concesse le circostanze attenuanti in misura equivalente alla contestata aggravante del mezzo fraudolento, con conseguente genericità ed aspecificità della relativa censura, avendo con l’atto d’appello - peraltro - i ricorrenti invocato l’attenuante di cui all’art. 62 numero 4 cod. penumero non evocata nel ricorso di legittimità. 4.2. La Corte territoriale ha confermato la valutazione di equivalenza già operata dal giudice di primo grado attraverso una motivazione che ha dedicato ai criteri adottati una trattazione specifica ed espressa, statuendo formalmente la reiezione della richiesta di concessione di ulteriori circostanze attenuatrici valorizzando la odiosità della condotta e la spiccata intensità del dolo, in tal modo esplicitamente dando conto della ragione per la quale è stata disattesa la richiesta dell’appellante di un più favorevole trattamento sanzionatorio. Sicché la analitica argomentazione rassegnata appare plausibilmente idonea a sorreggere il giudizio, rendendolo incensurabile nella sede del presente scrutino di legittimità. 5. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. penumero , la condanna dei ricorrenti al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 2000. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.