«Tanto ti ammazzo...»: una telefonata vale una condanna

Scontro telefonico tra due uomini. Il culmine si raggiunge con la frase Tanto ti ammazzo . Il destinatario sporge denuncia e spiega di avere paura. La persona che ha pronunciato quelle parole si ritrova con una condanna.

Parola d’ordine mantenere la calma, anche durante una chiacchierata telefonica. Altrimenti si corre il rischio di perdere lucidità, pronunciare qualche frase troppo dura – ad esempio, Tanto ti ammazzo – e ritrovarsi con una condanna per il reato di minaccia” Cassazione, sentenza numero 32026, sezione quinta penale, depositata oggi . La conversazione telefonica. La vicenda, svoltasi nella zona di Perugia, vede coinvolti due uomini, impegnati in una conversazione telefonica parecchio accesa. Uno dei due contendenti perde però la testa e rivolge alla persona all’altro capo del telefono la seguente frase Tanto ti ammazzo . Il destinatario di queste parole non la prende affatto bene, e sporge denuncia, spiegando di avere paura. A fronte di questo quadro, i giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, ritengono legittima la condanna per il reato di minaccia . E questa decisione viene confermata dalla Cassazione, che respinge le obiezioni difensive proposte dall’avvocato dell’uomo sotto accusa. In particolare, il legale ha sostenuto che la frase incriminata va valutata all’interno del contesto di una conversazione litigiosa e va catalogata come mera reazione istintiva, inidonea ad incutere timore . I giudici del ‘Palazzaccio’ sono però di parere diverso, e spiegano che, come già sancito in Appello, la frase Tanto ti ammazzo ” ha un’intrinseca valenza intimidatoria, che non può ritenersi superata dalla concitazione della situazione . A confermarlo anche il fatto che il destinatario di quelle parole si è mostrato spaventato al punto di piangere .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 marzo– 12 luglio 2018, n. 32026 Presidente Bruno – Relatore Zaza Ritenuto in fatto 1. Fa. Fe. ricorre avverso la sentenza dell'I marzo 2016 con la quale la Corte di appello di Perugia, confermando la sentenza del Tribunale di Perugia dell'1 aprile 2015, riteneva il Fe. responsabile del reato di minaccia commesso con il mezzo del telefono il 27 ottobre 2014 in danno di Um. Di Sa 2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio motivazionale sull'affermazione di responsabilità, lamentando l'omessa valutazione dell'effettiva portata lesiva della frase contestata, isolata dal contesto di una conversazione litigiosa nel quale essa assumeva la dimensione di una reazione istintiva inidonea ad incutere timore. Aggiunge che tanto avrebbe dovuto portare quanto meno ad escludere la contestata circostanza della minaccia grave, e che successivamente alla sentenza impugnata è sopraggiunta la prescrizione del reato. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. La censura di omessa valutazione dell'effettiva portata offensiva della frase contestata, nel contesto in cui la stessa veniva pronunciata, è manifestamente infondata. Questo aspetto era infatti oggetto di specifico esame nella sentenza impugnata, ove si osservava come la contestata frase tanto ti ammazzo avesse un'intrinseca valenza intimidatoria che non poteva ritenersi superata dalla concitazione della situazione, e che era d'altra parte evidenziata dalle dichiarazioni del verbalizzante Noce, il quale riferiva che la persona offesa si mostrava spaventata al punto di piangere. L'ulteriore questione della sussistenza della circostanza della gravità della minaccia non risulta proposta con i motivi di appello, il che ne preclude l'esame in questa sede mentre la richiesta di declaratoria di estinzione del reato per sopraggiunta prescrizione, oltre a non essere valutabile per l'inammissibilità delle altre doglianze, è comunque manifestamente infondata, decorrendo il termine prescrizionale del reato fino al 27 aprile 2022. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, valutata l'entità della vicenda processuale, appare equo determinare in Euro 2000. P. Q. M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.