Divieto di caccia in aree protette: la prova della consapevolezza

La necessità di segnalazione del divieto di caccia mediante regolare tabellazione, crea una presunzione di conoscenza a carico del trasgressore che solleva l’accusa dell’onere di dimostrare la conoscenza della proibizione.

Sul tema la sentenza n. 31380/18, depositata il 10 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Lecce confermava la condanna di prime cure di un imputato sotto accusa per aver esercitato attività venatoria all’interno di un’oasi naturale di protezione faunistica. Avverso la sentenza, ricorre per cassazione l’imputato deducendo l’insussistenza del reato posto che l’area in cui si era realizzata la condotta, era in quel momento priva della tabellazione, requisito richiesto dalla normativa regionale ai fini dell’individuazione delle aree protette in cui trova applicazione il divieto di caccia. Tabellazione. Richiamando una precedente pronuncia dei medesimi Giudici di legittimità, la Corte afferma che la necessità di segnalazione del divieto di caccia mediante regolare tabellazione, crea una presunzione di conoscenza a carico del trasgressore che solleva l’accusa dell’onere di dimostrare la conoscenza della proibizione. A contrario, in assenza della tabellazione, non può essere riconosciuta alcuna presunzione tale circostanza non comporta automaticamente l’esclusione del reato ma pone a carico dell’accusa l’onere di dimostrare che, nonostante la mancanza delle tabelle, il trasgressore era consapevole del divieto. Nel caso di specie, anche in mancanza della tabellazione, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che il ricorrente fosse a conoscenza del divieto posto che l’area interessata era ricompresa in un’oasi provinciale di protezione faunistica prevista dal piano faunistico venatorio regionale pubblicato sul Bollettino Regionale ed era comunque delimitata dalla strada statale e dal mare, essendo dunque ben riconoscibile, a maggior ragione con riferimento a chi, come l’imputato, risiede nella zona. In conclusione, la Corte, rilevando la prescrizione del reato maturata nelle more del giudizio, annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 marzo – 10 luglio 2018, n. 31380 Presidente Di Nicola – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18 novembre 2017, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce con la quale N.C. era stato condannato alla pena di mesi due di arresto e Euro 600,00 di ammenda, per il reato di cui 21 comma 1 lett. c e 30 comma 1 lett. d della legge n. 157 del 1992, per avere esercitato attività venatoria, mediante utilizzo di fucile sovrapposto cal. 12 marca Beretta, all’interno dell’oasi naturale di protezione faunistica denominata omissis . Accertato in omissis . 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo con un unico motivo la violazione di legge penale in relazione agli artt. 43 punto 3, e 48 lett. d della L.R. 27/98. Argomenta il ricorrente che l’affermazione di responsabilità penale dell’imputato sarebbe stata dichiarata nonostante dall’istruttoria svolta fosse pacificamente emerso che la zona protetta, nella quale il prevenuto è stato individuato dagli agenti della polizia provinciale di Lecce, zona istituita nel 2009 con Piano Faunistico regionale, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della regione Puglia, era all’epoca dei fatti priva della tabellazione. La legge regionale, e segnatamente l’art. 43 L.R. n. 27 del 1998, nel stabilire specifici divieti rispetto all’attività venatoria prevederebbe, appunto, il divieto di caccia nei parchi naturali regionali nelle riserve naturali conformemente alla legislazione nazionale in materia di parchi e riserve naturali, nonché sparare delle zone comprese nel raggio di 100 metri, purché opportunamente tabellate , sicché in assenza di tabellazione non potrebbe ravvisarsi il reato. Con riferimento a questo tema, la giurisprudenza di legittimità avrebbe in più occasioni ribadito che il divieto di esercizio dell’attività venatoria nelle aree naturali protette si presume conosciuto dal trasgressore se segnalato da regola regolare tabellazione e solleva l’accusa dall’onere di prova, viceversa in assenza di tabellazione il divieto di caccia si presume ignoto e l’accusa deve dimostrare che nonostante l’assenza di indicazioni, il trascrittore fosse comunque conoscenza della prevenzione. Nel caso in esame, la Corte d’appello di Lecce avrebbe stravolto la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, seguendo altra isolata pronuncia, ed avrebbe ritenuto al contrario che, ai fini della prova della componente soggettiva del reato, nonostante non fosse segnalata la zona, l’imputato era gravato da obblighi informativi, derivanti dallo svolgimento di attività venatoria che impone a coloro che la esercitano abitualmente oneri di informazione altrettanto rigorosi e facilmente rispettabili attraverso la consultazione dei Bollettini ufficiali. Al contrario, poiché nella zona manca la tabellazione, e non essendo previsto alcun obbligo di consultazione del predetto bollettino ufficiale, i giudici del merito avrebbero erroneamente interpretato la disposizione di legge ed erroneamente affermato sulla scorta di questa, la responsabilità penale dell’imputato. 3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso non è fondato, ma non manifestamente infondato, situazione che consente di rilevare la causa estintiva della prescrizione del reato maturata nelle more del giudizio. Dalle concordi sentenze di merito risulta accertato in fatto, e non contestato, che l’imputato venne sorpreso in atteggiamento di caccia all’interno dell’area di protezione faunistica oasi provinciale denominata omissis , prevista dal Piano faunistico venatorio regionale 2009/2014, pubblicato sul BUR della Regione Puglia, e che l’area era priva di indicazione del divieto c.d. tabellazione . Incontestata la materialità dei fatti, viene qui in rilievo la rilevanza della c.d. tabellazione dell’area ai fini della sussistenza del reato di esercizio di attività venatoria in violazione dei divieti ex art. 21 comma 1 lett. c e 30 comma 1 lett. d della legge n. 157 del 1992. Ciò premesso, questa Corte intende dare continuità al principio affermato dalla sentenza della Corte di cassazione n. 18493 del 2016, di cui la corte territoriale ha fatto applicazione nella conferma della pronuncia di condanna. 5. Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, la necessità della segnalazione, mediante regolare tabellazione, del divieto di esercizio della caccia in aree naturali protette, determina una presunzione di conoscenza a carico dell’autore della esistenza del divieto, sollevando l’accusa dall’onere di dimostrare la conoscenza della proibizione, che, invece, deve essere dimostrata in concreto in caso di mancanza di tabellazione Sez. 3, n. 39112 del 29/05/2013, Tarquinio, Rv. 257525 Sez. 3, Sentenza n. 9576 del 25/01/2012, Falco, Rv. 252249 . Ancora di recente questa Corte di legittimità si è espressa nei termini ed ha ribadito il principio secondo cui, in presenza di una tabellazione regolare, la conoscenza del divieto si presume ed il trasgressore, salvo casi eccezionali, non può invocare a propria discolpa l’ignoranza del divieto. La stessa mancanza di tabellazione o la sua inadeguatezza non determina, peraltro, automaticamente la non configurabilità del reato, ma pone a carico dell’accusa l’onere di dimostrare che, nonostante la mancanza di tabelle, il trasgressore aveva la consapevolezza del divieto Sez. 3, n. 35195 del 30/03/2017, Ciriello, Rv. 270681 Sez. 3, n. 17102 del 08/03/2016, Puglia, Rv. 266638 . 6. Nel caso in scrutinio la Corte d’appello, sulla scorta dell’accertamento in punto di fatto sopra ricordato, ha escluso la rilevanza della mancanza della tabellazione dell’area nella quale il ricorrente venne sorpreso ad esercitare la caccia, sulla base del rilievo che tale area era compresa in un’oasi provinciale di protezione faunistica prevista dal piano faunistico venatorio regionale, pubblicato sul Bollettino Regionale della Regione Puglia n. 119 del 3/8/2009 ed attuato con regolamento regionale n. 17 del 30/7/2009, evidenziando, altresì, che detta area era chiaramente indicata nella cartografia pubblicata nel suddetto bollettino regionale ed era anche fisicamente delimitata dalla strada statale e dal mare, in modo da essere agevolmente identificabile, sottolineando, altresì, che il ricorrente era residente nella zona. Sulla base di ciò, la Corte d’appello, ha conseguentemente ritenuto, a carico del ricorrente,un onere informativo in considerazione della consapevolezza da parte sua, quantomeno essendo della zona, di esercitare l’attività venatoria nel territorio di un’oasi naturale. Cossiché vige per chi intenda esercitare, in un’oasi naturale la caccia, che è notoriamente soggetta a divieti, un onere di informazione circa l’esistenza ed il contenuto dei piani regionali di pianificazione della attività faunistico venatoria, costituendo obbligo di colui che si accinge ad esercitarla, verificare preventivamente, attraverso la consultazione degli atti normativi pubblicati sul Bollettino della Regione, quale sia la pianificazione territoriale al riguardo, allo scopo di individuare le aree nelle quali la caccia sia consentita e possa quindi lecitamente essere esercitata, attraverso l’esame della cartografia allegata ai piani venatori regionali. Il reato contestato è una contravvenzione a struttura niente affatto necessariamente dolosa, potendo l’elemento soggettivo essere integrato anche dalla colpa ed essendo il fatto di reato tipicizzato attraverso una condotta consistente, tra l’altro, nel divieto di esercizio venatorio nelle oasi protette. Le tabelle apposte nella varie zone individuate nei piani venatori non soltanto hanno la diversa funzione di delimitare fisicamente i confini delle zone stesse, che, debbono essere, evidentemente, preventivamente individuate come quelle nelle quali sia consentita la caccia, ma il reato è configurabile anche nelle zone vietate ancorché prive di tabellazione, se si prova che l’agente conosceva il divieto o che, con l’uso della normale diligenza, avrebbe dovuto conoscerlo. 7. Peraltro, nelle more del giudizio, è maturata la prescrizione del reato che, in presenza di un ricorso non inammissibile, deve essere rilevata in questa sede con annullamento della sentenza senza rinvio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata essendo il reato estinto per prescrizione.