Confermata la condanna per concussione per il dipendente dell’Ispettorato del lavoro

In occasione dell’impugnazione della condanna subita da un dipendente dell’Ispettorato del lavoro che si era fatto consegnare dai titolari di una pasticceria delle somme di denaro al fine di evitare o mitigare l’imminente controllo sui dipendenti, la Suprema Corte ribadisce alcuni tratti essenziali ai fini della sussistenza del reato di concussione.

Sul tema è intervenuta la sentenza n. 30740/18, depositata il 6 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Napoli confermava la condanna di prime cure di un imputato accusato di concorso nel reato di concussione per aver convinto, in qualità di assistente amministrativo presso l’Ispettorato del Lavoro, le persone offese del reato a farsi consegnare alcune somme di denaro per evitare o comunque attenuare il controllo sulla regolarità dei lavoratori dipendenti della pasticceria da loro gestita. La sentenza viene impugnata con ricorso per cassazione dolendosi per l’insussistenza del reato. La posizione del soggetto attivo. In relazione alla semplice qualifica di dipendente dell’Ispettorato e non ispettore in senso stretto, la Corte di Cassazione conferma la motivazione addotta dai Giudici territoriali in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato. A tal fine non è infatti necessario che la condotta rifletta una specifica competenza dell’agente, essendo al contrario sufficiente che la qualità soggettiva di pubblico ufficiale l’abbia agevolato e reso credibile agli occhi della persona offesa, sempre che vi sia una connessione tra l’offerta o dazione di denaro e la funzione pubblica esercitata dall’agente. La giurisprudenza richiede infatti semplicemente che il comportamento oggetto del mercimonio rientri nelle competenze del settore in cui il soggetto attivo svolge la sua funzione, ma non è al contempo necessario che rientri anche nello specifico ambito delle sue mansioni. Qualificazione del fatto. Il ricorrente deduce inoltre l’erronea qualificazione del reato, ma anche su questo punto la Cassazione concorda con i giudici di merito. Sottolineando come la concussione sia costituita da un abuso costrittivo dell’agente pubblico con grave limitazione della libertà di autodeterminazione della persona offesa che si trova a dover scegliere se subire un danno o evitarlo consegnando o promettendo un’indebita utilità, la Corte ribadisce la distinzione dalla fattispecie di induzione indebita art. 319- quater c.p. che si configura come persuasione, suggestione, inganno o induzione in errore, pressione morale con una più live limitazione della libertà del soggetto passivo che mantiene dunque più ampi margini decisionali e finisce con il cedimento di fronte alla richiesta della prestazione non dovuta perché motivato dalla prospettiva di un vantaggio personale. Sulla base delle risultanze probatorie, correttamente dunque la Corte territoriale ha qualificato la condotta come concussione. In conclusione la Corte, rigettando anche la censura sul mancato riconoscimento dell’attenuante per avvenuto risarcimento del danno, perché avvenuto in modo non integrale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 aprile – 6 luglio 2018, n. 30740 Presidente Petruzzellis – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 761/2016, la Corte di appello di Napoli ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Napoli, con sentenza del 10/03/2011, a C.A. per reati ex artt. 81 e 317 cod. pen. per essersi fatto dare da L.P. e L.V. le somme indicate in atti per evitare o rendere più blando il controllo relativo alla regolarità dei dipendenti che, quale assistente amministrativo presso l’Ispettorato del Lavoro, prospettava di effettuare presso le loro pasticcerie. 2. Nel ricorso di C. si chiede l’annullamento della sentenza deducendo erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione a per non avere assolto il ricorrente dal reato ex art. 317 cod. pen. trascurando che egli, semplice dipendente amministrativo e non ispettore del lavoro, non costrinse i L. a versargli somme di denaro ma ne ricevette offerte per sostenere una squadra di calcio amatoriale e soltanto diede loro consigli relativi a probabili controlli ammnistrativi b comunque, per non avere riqualificato la condotta ex art. 319 quater cod. pen., trascurando che C. prospettò vantaggi e non danni ai L. c per avere disconosciuto la circostanza attenuante del risarcimento del danno nonostante che C. abbia versato una somma ai L. da considerarsi persone offese, stante la natura plurioffensiva del reato. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Le deduzioni sviluppate nel ricorso contrastano con la puntuale ricostruzione dei fatti sulla quale convergono entrambe le sentenze di merito senza addurre specifici argomenti atti a confutarne la validità e senza evidenziarne manifeste illogicità. In particolare, quanto alla circostanza che C. non fosse un ispettore del lavoro ma un semplice dipendente dell’Ispettorato del Lavoro, la Corte ha considerato che non è necessario che la condotta rifletta la specifica competenza del soggetto, essendo sufficiente che la qualità soggettiva del pubblico ufficiale lo agevoli e lo renda credibile e idoneo a costringere o indurre il soggetto passivo all’indebita promessa o dazione di denaro o altra utilità, sempre che vi sia una connessione tra l’offerta o dazione e la funzione pubblica esercitata dal soggetto agente Sez. 6, n. 24272 del 24/04/2009 Sez. 6, n. 23801 del 02/02/2004, Rv. 229641 . Quel che si richiede è che il comportamento oggetto del mercimonio rientri nelle competenze del settore all’interno del quale l’agente svolge la sua funzione e in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, di fatto una qualche forma di ingerenza o di influenza, mentre non è necessario che rientri pure nell’ambito delle sue specifiche mansioni Sez. 6, n. 23355 del 26/02/2016, Rv. 267060 Sez. 6, n. 20502 del 02/03/2010, Rv. 247373 . Né la nozione di atto d’ufficio deve intendersi in senso strettamente formale perché comprende anche comportamenti materiali che comunque esplichino poteri-doveri inerenti alla funzione concretamente esercitata Sez. 6, n. 17586 del 28/02/2017, Rv. 269831 Sez. 6, n. 13854 del 24/01/2018, non mass. . 1.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. perché pone una questione non rientrante fra i motivi di appello con i quali fu chiesta la riqualificazione del fatto come tentativo e neanche viene dedotto che il ricorrente abbia nel giudizio di appello chiesto una riqualificazione del fatto al momento delle conclusioni quando già da tempo era stata introdotta la fattispecie normativa delineata dall’art. 319 quater cod. proc. pen. . La Corte di Cassazione, a seguito della presentazione di motivo nuovo dell’imputato non enunciato in appello, può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto, ma solo entro i limiti in cui esso sia stato storicamente ricostruito dai giudici di merito, non su aspetti del fatto che non sia dato desumere dalle sentenze di merito Sez. 2, n. 7462 del 30/01/2018, Rv. 27209101 Sez. 5, n. 23391 del 17/03/2017, Rv. 270144 . La concussione art. 317 cod. pen. è costituita da un abuso costrittivo del pubblico agente - attuato mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius - con una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario, che - senza vantaggio indebito per sé - deve scegliere se subire un danno o evitarlo dando o promettendo un’utilità indebita e si distingue dalla induzione indebita, art. 319-quater cod. pen. , configurantesi come persuasione, suggestione, inganno o induzione in errore, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Rv. 258470 Sez. 6, n. 9429 del 02/03/2016, Rv. 267277 . Nel caso in esame il Tribunale, sulla scorta delle dichiarazioni accusatorie delle persone danneggiate e dei contenuti delle conversazioni intercettate, ha evidenziato che l’imputato si presentò come ispettore del lavoro annunciando una ispezione riguardante la regolarità della posizione lavorativa dei dipendenti dei L. e, sulla stessa linea, la sentenza della Corte di appello ha individuato la prospettazione di un danno per i L. negli esiti con implicito negativo effetto per i due imprenditori del controllo sulla regolarità della posizione dei loro dipendenti pagg. 3-4 , mentre rimane irrelato dai dati processuali l’assunto, sostenuto in ricorso, che C. avrebbe prospettato il vantaggio, anche solo teorico, di evitare una serie di controlli amministrativi, un effetto comunque favorevole al soggetto indotto e per nulla equiparabile al danno sic et simpliciter contra sui della concussione . 1.3. Il terzo motivo di ricorso è infondato. L’attenuante ex art. 62 n. 6, prima parte, cod. pen. va intesa in funzione dell’art. 185 cod. pen., pertanto è applicabile a qualsiasi reato e, quindi, anche a quello di concussione se ne è derivato un danno patrimoniale o non patrimoniale suscettibile di riparazione a norma delle leggi civili nelle forme delle restituzioni o del risarcimento Sez. U, n. 1048 del 06/12/1991, dep. 1992, Rv. 189183 . Tuttavia, il risarcimento del danno deve essere integrale e la valutazione sulla sua congruità è rimessa al giudice, che può anche disattendere un eventuale accordo transattivo intervenuto tra le parti Sez. 2, n. 53023 del 23/11/2016, Rv. 268714 . Nella fattispecie, con adeguata motivazione la Corte di appello ha escluso la circostanza attenuante alla stregua di una valutazione complessiva della lesione della condotta al bene giuridico tutelato ritenendo, come il primo giudice, insufficiente la somma offerta per il risarcimento del danno derivante dalla condotta, che ha leso il buon andamento della pubblica amministrazione e la fiducia dei consociati circa la correttezza dei soggetti pubblici pag. 7 . 2. Dal rigetto del ricorso deriva, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.