Per integrare il reato di concussione basta l’abuso della qualità di pubblico ufficiale

Per la configurabilità del reato di concussione è sufficiente che l’accusa sia un abuso di qualità che sussiste quando la persona offesa percepisca una probabile estrinsecazione funzionale dei poteri del pubblico ufficiale non favorevole ai propri interessi e, per questo motivo, si senta costretto o indotto a dare o promettere l’utilità richiesta .

Così la Cassazione con sentenza n. 29661/18, depositata il 2 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Napoli, confermando la decisione di prime cure, aveva ritenuto l’imputato responsabile per il reato di concussione condannandolo alla pena di giustizia. Nel dettaglio il Giudice di merito accertava che l’imputato, maresciallo della polizia locale, era addetto agli accertamenti anagrafici ed alle verifiche di cambi di domicilio o residenza. Il fatto di reato veniva commesso durante l’esercizio della funzioni di pubblico ufficiale dell’imputato che aveva richiesto delle somme di denaro ad due soggetti, i quali si erano rivolti a lui per ottenere l’iscrizione all’anagrafe del comune, minacciandoli di procedere ad una denuncia nei loro confronti per falsa attestazione dell’indirizzo dichiarato, nonostante l’esito positivo della verifica. Avverso la decisione di merito l’imputato ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Abuso della qualità di pubblico ufficiale. In particolare, secondo il ricorrente, la Corte di merito erroneamente aveva ritenuto la sussistenza del reato di concussione in quanto l’intervento del pubblico ufficiale non era relativo a poteri istituzionali del proprio ufficio, ma solo incisivo della sfera di attribuzione di altri pubblici ufficiali senza alcun potere funzionale. Il ricorrente, infatti, era solo un incaricato alle verifiche senza alcuna competenza in merito alla definizione di un procedimento amministrativo o alla segnalazione di eventuali illeciti penali. Il Supreme Collegio ha ritenuto infondata la doglianza in quanto il ricorso si incentrata non sull’abuso dei poteri dell’imputato, ma sulla minaccia di denuncia prospettata alle persone offese, la quale anche se esulante dalle competenze del pubblico ufficiale può integrare il reato di concussione. Ciò in applicazione del consolidato orientamento della Cassazione il reato di concussione si realizza anche nell’ipotesi in cui l’accusa non sia l’abuso di potere, ma l’abuso della qualità rivestita dal soggetto . Infatti non è necessario per la configurabilità del reato che l’atto intimidatorio rifletta la specifica competenza del soggetto attivo, essendo sufficiente che la qualità soggettiva del pubblico ufficiale lo agevoli e lo renda credibile e idoneo a costringere o indurre il soggetto passivo all’indebita promessa od alla dazione di denaro o di altra utilità . Nella fattispecie in esame, conclude la Cassazione, l’imputato ha concretamente tenuto una condotta idonea a costringere la vittima ad accettare la pretesa illecita, abusando oggettivamente della qualità di agente di polizia municipale. In conclusione la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 maggio – 2 luglio 2018, n. 29661 Presidente Paoloni – Relatore Criscuolo Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa in data 1 marzo 2016 dal Tribunale di Napoli Nord, che aveva ritenuto C.L. responsabile del reato di concussione in relazione alle pratiche n. 3182 e 3161, presentate l’11 marzo 2015, e lo aveva condannato alla pena di anni 4 di reclusione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, con interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nei giudizi di merito si è accertato che il C. , maresciallo della Polizia Locale di , addetto agli accertamenti anagrafici ed alle verifiche dei cambi di domicilio e di residenza, aveva costretto W.S.F.S.R. , titolare dell’agenzia di servizi Fly service , che aveva presentato al comune due istanze di cittadini di nazionalità srilankese, dirette ad ottenere l’iscrizione nell’anagrafe dei residenti nel comune di Napoli, a promettergli e dargli indebitamente somme di denaro dietro minaccia di denunciarlo e di denunciare gli istanti per false attestazioni in merito all’indirizzo dichiarato. In particolare, era risultato che per la pratica n. il C. aveva accertato che il richiedente era sconosciuto all’indirizzo indicato nell’istanza, mentre per la seconda aveva verificato che i richiedenti effettivamente abitavano nell’appartamento, indicato nella richiesta contattato il titolare dell’agenzia e convocatolo nel suo ufficio, alla presenza del collaboratore, che aveva depositato le richieste, il C. gli aveva riferito di dover denunciare i richiedenti, non avendoli trovati in casa, replicando al titolare dell’agenzia, il quale sosteneva che si trattava di un’assenza temporanea per essere gli stessi al lavoro, di dover procedere con la denuncia a meno che non gli fossero stati corrisposti mille Euro, precisando, nell’occasione, che avrebbe dovuto denunciare anche il collaboratore del W.S. . Al fine di evitare l’ingiusta denuncia per i richiedenti e per il proprio collaboratore e sentendosi pressato, aveva accettato di versare una prima tranche di 500 Euro ed in seguito il resto essendo stato richiamato dal C. dopo il primo versamento, dopo aver inizialmente temporeggiato, lo aveva denunciato alla polizia municipale, concordando di avvertire la p.g. in occasione della consegna, come poi era avvenuto il giorno in cui aveva consegnato al C. una busta, contenente 250 Euro in banconote preventivamente fotocopiate dalla p.g., recandosi con un suo collaboratore all’interno dell’ufficio dell’imputato, tratto in arresto mentre tentava di nascondere la busta dietro un distributore peraltro, sulla sua scrivania la p.g. trovava le pratiche in oggetto. L’affermazione di responsabilità è stata, quindi, fondata sulla denuncia della persona offesa, sul sequestro delle pratiche amministrative, sull’acquisizione dei tabulati telefonici dell’utenza dell’imputato, attestanti le numerose chiamate dirette alla persona offesa, sulle dichiarazioni del collaboratore della persona offesa e degli agenti di p.g. e sul sequestro delle banconote, consegnate all’imputato. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore del C. , che ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi 2.1 inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in particolare degli artt. 317 e 640 cod. pen Deduce che il capo di imputazione espressamente precisa che il C. , abusando della qualità di pubblico ufficiale, benché come incaricato delle verifiche non avesse alcuna competenza in merito alla definizione del relativo procedimento amministrativo e alla segnalazione di eventuali illeciti penali emessi all’esito della conclusione dello stesso, mediante minacce costringeva la persona offesa a promettergli indebitamente la somma di Euro 1.500 e la stessa Corte di appello conferma le mansioni del C. , deputato unicamente ad effettuare gli accertamenti ed a riferirne l’esito all’ufficiale di stato civile, che, in caso di accertamento negativo, emetteva un provvedimento di diniego dell’istanza, opponibile dall’interessato con instaurazione di un procedimento, eventualmente destinato a sfociare in una denuncia pertanto, solo nel caso in cui la persona offesa fosse stata indotta a temere un danno ingiusto derivante da un uso illegittimo di un potere, effettivamente attribuito all’agente, sarebbe stato configurabile il reato di concussione, dovendo, invece, ravvisarsi il reato di truffa nel caso in cui l’agente si fosse vantato di un’attribuzione che non aveva, come nella fattispecie. Si ribadisce che tale impostazione trova conferma nelle sentenze di questa Corte, che escludono la configurabilità del reato proprio se l’intervento del pubblico ufficiale non è relativo a poteri istituzionali del proprio ufficio o non è a questi ricollegabile, poiché l’intervento incide nella sfera di attribuzione di altri pubblici ufficiali, rispetto ai quali l’agente è carente di potere funzionale, ma sul punto la Corte di appello si è limitata ad affermare che il giudice di primo grado aveva ampiamente argomentato, senza motivare adeguatamente 2.2 contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in quanto, da un lato, si afferma che la persona offesa poteva presentare memorie scritte avverso il diniego, instaurando un procedimento amministrativo, che poteva concludersi con l’accoglimento o il rigetto dell’istanza, dall’altro, si afferma che la certificazione rilasciata dall’imputato era essenziale ai fini della definizione negativa o positiva del procedimento. La previsione del contraddittorio esclude la predominanza delle deduzioni di una sola parte e la circostanza che la decisione finale sia demandata ad un soggetto terzo, estraneo alle parti, esclude l’esistenza di un potere in capo all’imputato, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza. Contrariamente all’assunto del ricorrente, i giudici di appello non si sono affatto limitati a rimandare alla motivazione della sentenza di primo grado senza motivare sulla richiesta riqualificazione del reato in quello di truffa aggravata, risultando la questione, nuovamente riproposta nel ricorso con le stesse argomentazioni ad eccezione dell’indicazione di un’ulteriore sentenza di questa Corte , illustrata, esaminata e motivatamente disattesa in sentenza. Invero, il rinvio alle ampie argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado si riferisce, oltre che alla esclusione della truffa aggravata, all’ulteriore richiesta di riqualificare il fatto in induzione indebita, anch’essa esclusa dal giudice di primo grado per la semplice ragione che la persona offesa sia era determinata a versare il denaro non per ottenere un indebito tornaconto, ma per evitare il danno ingiusto minacciato ovvero la denuncia del collaboratore e dei richiedenti, effettivamente residenti nel luogo indicato nell’istanza. I giudici di appello hanno ritenuto, in base alle dichiarazioni del Capitano della Polizia Municipale di Napoli sulle mansioni dell’imputato, che questi avesse un potere di accertamento endo-procedimentale, il cui esito era essenziale per la definizione del procedimento, essendo titolare di un potere di attestazione, strumentale ed influente sulla decisione dell’ufficiale dello stato civile, il quale non poteva sindacare l’accertamento compiuto dall’imputato. La valutazione risulta correttamente concentrata sui compiti di accertamento spettanti all’imputato, rientranti nella sua competenza territoriale e funzionale, essendo egli deputato ad istruire le pratiche di iscrizione anagrafica per la zona dell’Avvocata, cui si riferivano le istanze, e sull’obbligo di trasmetterli all’ufficiale di stato civile, che, in base all’esito degli stessi, accoglieva o negava la richiesta di iscrizione, senza avere alcun potere di controllo, cosicché l’attestazione dell’imputato aveva valenza decisiva per l’accoglimento o il rigetto delle richieste. La difesa sembra trascurare che nel caso di specie l’imputato aveva prospettato di riferire come negativo l’esito di un accertamento, invece, positivo circostanza concretamente dimostrativa dell’abuso della qualità e della capacità di condizionare negativamente e del tutto ingiustamente l’iter procedimentale successivo, destinato a sfociare in una denuncia per falso a carico dei richiedenti e del presentatore delle richieste, sebbene rientrante nella competenza dell’ufficiale di stato civile. Il ricorso si concentra su tale epilogo procedimentale, prospettato dall’imputato alla persona offesa, sebbene esulante dalle proprie competenze funzionali, e, pertanto, ritenuto inidoneo ad integrare la concussione, ma l’obiezione trascura che all’imputato si contesta l’abuso della qualità di pubblico ufficiale e non l’abuso dei relativi poteri. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte in tema di concussione, mentre la nozione di abuso dei poteri è riferita all’ipotesi in cui la condotta rientra nella competenza tipica dell’agente, quale manifestazione delle sue potestà funzionali per uno scopo diverso da quello per il quale sia stato investito delle stesse, quella di abuso delle qualità postula una condotta che, indipendentemente dalle competenze proprie del soggetto attivo, si manifesti quale strumentalizzazione della posizione di preminenza dallo stesso ricoperta nei confronti del privato Sez. 6, n. 45034 del 09/07/2010, Pentimalli, Rv. 249030 , strumentalizzazione che deve, comunque, attenere ad un possibile, e pure prospettato, esercizio abusivo, da parte dell’agente, dei suoi poteri di pubblico ufficiale. Si è infatti, affermato che l’abuso di qualità rileva anche quando sia esplicitato in rapporto ad atti non rientranti nella competenza funzionale dell’agente, laddove questi ne lasci presumere un esercizio informale o di fatto Sez. 6, n. 10604 del 12/02/2014, Ramello, Rv. 259896 Sez. 6, n. 24272 del 24/04/2009, Convertino e altro, Rv. 244364 . Qualora, infatti, come nel caso in esame, l’ipotesi d’accusa sia l’abuso della qualità rivestita dal soggetto non è necessario ai fini della configurabilità del reato che l’atto intimidatorio rifletta la specifica competenza del soggetto attivo, essendo sufficiente che la qualità soggettiva del pubblico ufficiale lo agevoli e lo renda credibile e idoneo a costringere o indurre il soggetto passivo all’indebita promessa od alla dazione di denaro o di altra utilità è quindi, sufficiente che la vittima percepisca come probabile o anche solo come possibile un’estrinsecazione funzionale dei poteri del pubblico ufficiale non favorevole ai propri interessi e, per tal motivo, si senta costretto o indotto a dare o promettere l’utilità richiesta. Nel caso di specie, l’imputato non si è limitato a far leva sulla statica posizione di supremazia sul privato, ma l’ha concretamente esteriorizzata in un atteggiamento idoneo a costringere la vittima ad accedere alla pretesa illecita ha oggettivamente abusato della sua qualità di agente di polizia municipale, addetto ad effettuare le verifiche, strumentalizzando il proprio ruolo ed esercitando una pressione sulla persona offesa con le stesse modalità della convocazione urgente in ufficio e la illegittima prospettazione di una denuncia all’autorità giudiziaria per i richiedenti ed il collaboratore, nonostante l’esito positivo della verifica ha costretto la persona offesa ad erogargli una prima tranche e l’ha ripetutamente contattata per ottenere il saldo. Argomento decisivo per escludere nel caso di specie la configurabilità della truffa aggravata è la circostanza che la persona offesa fosse pienamente consapevole della falsa attestazione dell’imputato, a fronte dell’effettiva residenza dei richiedenti all’indirizzo indicato, dell’ingiustizia della minacciata denuncia di falso e della natura illecita della dazione richiesta, come ampiamente argomentato dal giudice di primo grado pag. 25 e 26 della sentenza , mentre nella truffa la vittima viene indotta in errore sulla doverosità della dazione e non ha consapevolezza del carattere indebito della stessa Sez. 6, n. 53436 del 06/10/2016, Vecchio, Rv. 268792 . 2. Le considerazioni che precedono rendono, altresì, manifestamente infondata la dedotta contraddittorietà della motivazione nella parte in cui attribuisce decisività agli accertamenti compiuti dall’imputato, nonostante dia conto della possibile evoluzione del procedimento amministrativo e del potere di denuncia, spettante all’ufficiale dello stato civile solo al termine dello stesso. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in Euro duemila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.