Rifiuto di sottoporsi ad alcoltest, opposto in ospedale: la mancanza del consenso informato non esime dal reato

In relazione al reato di rifiuto di sottoporsi ad alcoltest, l’utilizzabilità dell’accertamento del tasso alcolemico compiuto presso una struttura sanitaria esclusivamente su richiesta della polizia giudiziaria non richiede, in presenza dei presupposti di cui all’art. 186, comma 5, c.d.s., uno specifico consenso dell’interessato oltre a quello eventualmente richiesto dalla natura delle operazioni sanitarie strumentali a detto accertamento.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con sentenza n. 29508/18 del 28 giugno 2018. Sinistro e ricovero in ospedale richiesto l’alcoltest. Nel caso di un uomo è stato sottoposto a procedimento penale in relazione al reato di rifiuto di sottoporsi ad alcoltest art. 186, comma 7, c.d.s. . Nello specifico, l’imputato - dapprima rimasto coinvolto in un sinistro e successivamente recuperato tra la vegetazione di una scarpata - avrebbe reiteratamente rifiutato l’esame ematico direttamente in ospedale, adducendo di essere testimone di Geova. L’appartenenza religiosa si è in realtà rivelata infondata, così il Tribunale ha accertato la responsabilità penale dell’imputato, condannandolo alla pena di giustizia senza peraltro il riconoscimento delle attenuanti generiche, stante la malafede del dichiarante. Tanto ha confermato la Corte d’appello. La rilevanza del protocollo sanitario e del consenso informato. Alla difesa non è rimasto che rivolgersi, in ultima istanza, alla Suprema Corte, qui dolendosi dell’erroneità della decisione emessa dal giudice di prime cure, poi confermata dalla Corte territoriale, poiché - secondo la tesi dell’imputato - il rifiuto sarebbe stato opposto in un contesto ospedaliero e senza attivazione di un corrispondente protocollo sanitario i.e. consenso informato che imponesse di procedere al prelievo ematico. La rilevanza del rifiuto in ospedale. La Corte di Cassazione, nel respingere senza mezzi termini il ricorso, è tornata ad occuparsi della possibilità di contestare il reato di rifiuto di sottoporsi ad alcoltest laddove il rifiuto sia stato opposto non già sul luogo del sinistro o del fermo autostradale bensì presso il presidio di ricovero ed indipendentemente da parallele esigenze di cura della persona. In merito, i giudici romani hanno ricordato che in tema di guida in stato di ebbrezza, l’utilizzabilità dell’accertamento del tasso alcolemico compiuto presso una struttura sanitaria esclusivamente su richiesta della polizia giudiziaria i.e., come avvenuto nel caso di specie, non per motivi di carattere medico-terapeutico , non richiede, in presenza dei presupposti di cui all’art. 186, comma 5, del Codice, uno specifico consenso dell’interessato oltre a quello eventualmente richiesto dalla natura delle operazioni sanitarie strumentali a detto accertamento. In tal caso - si precisa - resta ferma la possibilità per l’interessato di rifiutare l’accertamento, ancorché tale rifiuto sia per l’appunto sanzionato agli effetti dell’art. 186, comma 7, cit Sotto il profilo delle esigenze difensive dell’imputato, si evidenzia che l’accertamento così operato si giustifica in ragione del fatto che le fonti di prova assicurate vengono acquisite al dibattimento attraverso i meccanismi propri del processo penale, e il personale sanitario richiesto agisce quale vera e propria longa manus della polizia giudiziaria art. 348, c.p.p. . Sul crinale delle considerazioni che precedono, la Corte ha dunque confermato il principio espresso dai giudici di merito e, dunque, la pena comminata, peraltro condannando l’imputato al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 6 giugno 28 giugno 2018, n. 29508 Presidente Fumu Relatore Cappello Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale cittadino, appellata dall'imputato SA. Gi. Lu., con la quale costui era stato condannato per il reato di cui all'art. 186 co. 7 C.d.S. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo di difensore, formulando quattro motivi. Con il primo, ha dedotto violazione di legge, con riferimento alla sussistenza degli elementi costituivi del reato contestato, atteso che il rifiuto di sottoporsi al prelievo ematico si sarebbe inserito in un contesto di tipo ospedaliero, rispetto al quale non era stata dimostrata l'attivazione di un protocollo sanitario che imponesse di procedere al prelievo ematico, prova richiesta invece dalla P.G. ai soli fini investigativi. Con il secondo, ha dedotto vizio della motivazione, avendo la Corte d'appello omesso di pronunciarsi sulla denunciata violazione dell'art. 350 cod. proc.pen. Con il terzo, ha dedotto erronea applicazione della legge penale, con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, motivato dalla Corte d'appello sull'assunto che il SA. avrebbe tenuto nell'occorso un comportamento improntato a malafede dichiarando una circostanza non vera, quella di essere, cioè, testimone di Geova , elemento tuttavia tratto dal riferito del teste verbalizzante, come tale, quindi, non utilizzabile. Con il quarto, infine, ha dedotto violazione di legge, in relazione al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, avendo la Corte territoriale ritenuto ostativi i precedenti penali dell'imputato, sebbene costui annoveri un unico precedente, risalente al 2012, per il quale ha riportato condanna a pena sostituita e regolarmente eseguita, con conseguente estinzione del reato. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato. 2. La Corte bolognese ha ritenuto pacifico e incontestato che l'imputato - coinvolto in un incidente stradale, a seguito del quale era stato recuperato dal personale sanitario tra la vegetazione di una scarpata - avesse opposto un reiterato rifiuto all'esecuzione del prelievo ematico, finalizzato all'accertamento dello stato di ebbrezza. Il rifiuto era stato giustificato, secondo quanto riferito dal teste escusso, da motivi religiosi - presunta appartenenza ai Testimoni di Geova - poi rivelatisi infondati. Ha dato atto, quindi, che il rifiuto fu opposto in un contesto di ricovero ospedaliero dovuto al fatto che il SA. aveva nell'occorso riportato plurime fratture. Dall'insieme di tali elementi ha dunque tratto la prova della consapevolezza - da parte dell'agente - del rifiuto e delle sue conseguenze penali. Quanto, poi, al trattamento sanzionatorio, a fronte delle relative doglianze difensive, ha ritenuto l'imputato non meritevole delle generiche, sia per la evidente malafede dimostrata, che in considerazione del precedente specifico. Alla luce del complessivo comportamento tenuto reiterato rifiuto di sottoscrivere il verbale di contestazione e dei precedenti penali, infine, ha formulato una prognosi negativa ai fini del riconoscimento del beneficio di cui all'art. 163 cod. pen. 3. Il primo motivo è infondato. In linea generale, in tema di guida in stato di ebbrezza, questa Corte ha già chiarito che l'utilizzabilità dell'accertamento del tasso alcolemico compiuto presso una struttura sanitaria esclusivamente su richiesta della polizia giudiziaria, e non per motivi di carattere medico-terapeutico, non richiede - in presenza dei presupposti di cui all'art. 186, comma 5, cod. strada - uno specifico consenso dell'interessato oltre a quello eventualmente richiesto dalla natura delle operazioni sanitarie strumentali a detto accertamento e affermato in motivazione che, in tal caso, resta ferma la possibilità del rifiuto dell'accertamento, che però è penalmente sanzionata cfr. sez. 4 n. 54977 del 17/10/2017 , Zago, Rv. 171665 . Una ricostruzione sistematica del tema che ci occupa è peraltro rinvenibile nella sentenza n. 51284 del 10/10/2017, Lirussi, con la quale questa sezione è intervenuta sul tema delle prerogative difensive rispetto agli accertamenti di P.G. espletati a riorma dell'art. 186 comma 5, C.d.S., con specifico riferimento al profilo della necessità dell'avviso di cui all'art. 114 disp. att. cod. proc. pen., allorché il conducente sia già indiziato di reato al momento in cui la PG. ha inviato al sanitario la richiesta di procedere agli esami clinici per la verifica del tasso alcolemico. In quella sede, ritenuto detto avviso necessario ove l'accertamento non venga espletato ai fini di cura della persona, ma sia eccentrico rispetto alle finalità terapeutiche del caso concreto ed unicamente finalizzato alla ricerca della prova della colpevolezza del soggetto indiziato, si è pure precisato che tale apparato di facoltà e garanzie è direttamente collegato alla natura dell'atto equiparabile a quelli previsti negli artt. 352 e 354 del codice di rito, trattandosi di accertamento, cioè, che si inserisce nel corso di un'attività endoprocessuale , alla qualità dei soggetti che lo pongono in essere e alla posizione dialettica che costoro assumono rispetto all'indiziato di reato e si giustifica in ragione del fatto che le fonti di prova così assicurate verranno acquisite al dibattimento attraverso i meccanismi propri del processo penale. L'orientamento richiamato, peraltro, è coerente con il disposto dell'art. 220 disp. att. cod. proc. pen., secondo cui, quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice . Ed invero, in tal caso, il personale richiesto finisce per agire come vera e propria longa manus della polizia giudiziaria che si avvale di una facoltà espressamente attribuita dall'art. 348, comma 4, cod. proc. pen. Successivamente si è poi precisato [cfr., in motivazione, sez. 4, n. 2343 del 29/11/2017 Ud. dep. 19/01/2018 , Morrone, Rv. 272334] che, & lt 4. Alla luce di tali principi, pertanto, va esaminato il caso all'esame. Nessuna violazione di legge è rinvenibile nella decisione impugnata. Gli organi accertatori hanno dato corretta attuazione al disposto di cui all'art. 186 comma 5, C.d.S., del quale sono apprezzabili, nella trama delle due sentenze conformi di merito, i presupposti fattuali descritti dalla norma stessa. Pertanto, poiché l'accertamento richiesto rientrava a pieno titolo tra quelli descritti nel comma 5 citato, il rifiuto consapevole dell'imputato di sottoporsi ad esami ematici intesi all'accertamento del tasso di alcolemia configura il reato di cui successivo comma 7 contestato all'imputato. 5. Il secondo e il terzo motivo sono infondati. Le doglianze, tra di loro intimamente connesse, non superano la prova di resistenza, dal momento che la Corte di merito ha rigettato la richiesta di riconoscimento delle generiche anche a causa della esistenza di una precedente condanna per analogo reato. 6. E', infine, infondato anche il quarto motivo. Sul punto, questa Corte ha già precisato, sia pure ai diversi fini del giudizio circa la recidiva nel biennio , prevista dall'art. 186 comma 2, lett. e , C.d.S., che l'estinzione del reato a seguito del positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità, presupponendo l'avvenuto accertamento del fatto, non impedisce al giudice di valutarlo in un successivo processo quale precedente specifico cfr. sez. 4 n. 1864 del 07/01/2016, Oberoffer, Rv. 265583 . Il principio è pertinente al caso all'esame, avendo la Corte tratto elementi di valutazione, circa la personalità dell'imputato, dal fatto che costui aveva già riportato una condanna per guida in stato di ebbrezza, conseguita all'accertamento del reato, dichiarato estinto solo per esecuzione della pena sostituita. Né la circostanza che la Corte abbia fatto riferimento a generici precedenti penali appare determinante ai fini della dedotta violazione di legge infatti, allorché si è trattato di valutare la meritevolezza del riconoscimento delle generiche, la Corte ha fatto espresso riferimento al precedente per guida in stato di ebbrezza. 7. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.