L’anonimizzazione delle parti della sentenza è legittima solo per determinati e “opportuni” motivi

La Suprema Corte esprimendosi in merito ad una controversia penale, avente ad oggetto l’opposizione ad un sequestro preventivo, viene investita anche della richiesta di anonimizzazione delle parti della sentenza. Decidendo sul punto gli Ermellini precisano quali siano i motivi opportuni” per accogliere l’istanza cercando un bilanciamento tra esigenze di riservatezza e necessità di pubblicità del procedimento.

Sulla questione la Cassazione con sentenza n. 29248/18, depositata il 25 giugno. Il fatto. La Suprema Corte nella sentenza in commento è chiamata a risolvere una controversia avete ad oggetto due ricorsi contro la decisione di merito relativa alle modalità di esecuzione di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca, nonché al rigetto della richiesta di restituzione del bene sequestrato. I Giudici di legittimità valutando i fatti di causa ed gli orientamenti giurisprudenziali sulla questione ha qualificato come appelli i ricorsi per cassazione ed ha disposto il trasmettersi degli atti al Tribunale del riesame. Prima di concludere la vicenda il Supremo Collegio però si è soffermato sulle richieste dei ricorrenti di anonimizzazione, ai sensi dell’art. 52 d.l. 196/2003 Codice in materia di protezione dei dati personali . I motivi che legittimano l’anonimizzazione. La Cassazione evidenzia che l’art. 52 citato autorizza l’interessato a chiedere per motivi legittimi e prima della definizione del relativo grado di giudizio l’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e di altri dati indentificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento . Ciò premesso viene richiesto alla Suprema Corte di dare una concreta interpretazione ai motivi legittimi indicati dal legislatore. Gli Ermellini hanno ritenuto che l’espressione va intesa non in relazione a motivi normativi, ma in termini analoghi a motivi opportuni, con un ampiezza di significato non predeterminata dal legislatore in merito alle ragioni che possono giustificare la richiesta che finisce con il rimettere al giudice la ricerca di un equilibrio tra esigenze di riservatezza del singolo e la pubblicità della sentenza, che, come tale, rappresenta un corollario del principio costituzionale dell’amministrazione delle giustizia in nome del popolo . Dati sensibili e riservatezza processuale. Continua la Cassazione sostenendo che per dati sensibili devono intendersi i dati personali idonei a rilevare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni nonché i dati personali idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale . La Suprema Corte ha evidenziato che, invece, per affermare la delicatezza della vicenda processuale bisogna valutare il caso concreto e le possibili conseguenze negative derivanti dalla diffusione dei dati del processo per la tutela al diritto di riservatezza del singolo. Per tutte questi motivi, nel caso di specie il Supreme Collegio ha ritenuto che le istanze promosse dagli odierni ricorrenti non siano giustificate da nessuno dei motivi legittimi per l’anonimizzazione non essendo idonei a ledere la reputazione degli indagati, in quanto diversamente opinando, ogni processo penale dovrebbe comportare l’oscuramento dei dati personali .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, ordinanza 23 maggio – 25 giugno 2018, n. 29248 Presidente Diotallevi – Relatore Cianfrocca Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 25.9.2017 il GIP di Milano decideva, respingendola, sulla opposizione proposta dai difensori di Ariele srl in liquidazione, Bramantina srl asu, Fed spa, Sillmetal spa asu, Verpan spa, avente ad oggetto l’incidente relativo alle modalità di esecuzione del sequestro preventivo emesso dal medesimo ufficio nell’ambito del procedimento in corso di trattazione in fase dibattimentale ed indirizzata al GIP a seguito della declaratoria di inammissibilità pronunciata in data 23.1.2017 dal Tribunale di Milano come giudice di appello ai sensi dell’articolo 322bis cod. proc. pen. dichiarava inoltre non luogo a provvedere sulla istanza di correzione pure in quella sede proposta e respingeva invece ogni altra istanza 2. propongono ricorso per Cassazione sia gli imputati che le società terze interessate, ovvero Ariele srl in liquidazione, Bramantina srl asu, Fed spa, Sillmetal spa asu, Verpan spa che, dopo aver ripercorso l’iter procedimentale in cui si è sin’ora sviluppata la vicenda, lamentano 2.1 Ariele.srl in liquidazione, Bramantina srl asu, Fed spa, Sillmetal spa asu, Verpan spa, violazione di legge articolo 606 comma 1, lett. b cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 7 CEDU, 25 Cost., 321 cod. proc. pen., 240 e 646 cod. pen. rilevano, in particolare, che il GIP, con decreto del 13.9.2016, aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del -eato di appropriazione indebita ascritto a B.F. e ad F.A. vincolando denaro e beni, mobili ed immobili, non soltanto di proprietà dei predetti ma anche delle società odierne ricorrenti in quanto ritenute schermo dietro il quale costoro operavano osserva che, in sede esecutiva, trattandosi di sequestro finalizzato a garantire la confisca diretta , avrebbe dovuto essere accertato di volta in volta se ed in che misura il denaro potesse essere considerato profitto del reato e se i singoli beni mobili o immobili fossero il frutto del reimpiego delle somme da qualificarsi profitto del reato segnala che, al contrario, in sede esecutiva si era proceduto ad una confisca di fatto per equivaler te per complessivi Euro 9.774.429,44 senza alcuna indagine, pure rimessa dal GIP alla fase della esecuzione del provvedimento, sul nesso di pertinenzialità con la condotta ipotizzata a carico degli indagati rilevano, ancora, che, a seguito della declaratoria di inammissibilità pronunciata dal Tribunale di Milano, adito con l’appello ex articolo 322bis cod. proc. pen., era stato proposto incidente di esecuzione di fronte al GIP dove era stata allegata tutta la documentazione relativa agli immobili in sequestro e da cui emergeva come essi fossero stati acquisiti dagli imputati ovvero delle società anche decenni prima di fatti di appropriazione indebita loro ascritti, con conseguente esclusione di ogni connessione pertinenziale con l’ipotizzato reato segnala che il GIP, nell’impugnato provvedimento, ha da un lato richiamato l’ordinanza di rigetto del 10.4.2017 e, dall’altro, evocato la competenza del Tribunale di fronte al quale il procedimento si trovava ormai in fase dibattimentale nonostante proprio il Tribunale, con ordinanza del 16 2.2017, avesse ritenuto che la questione sollevata attenesse non già ad un vizio genetico del provvedimento ma alla sua fase esecutiva segnala che, nel provvedimento del 10.4.2017, il GIP aveva sostenuto che il nesso di pertinenzialità tra il reato ipotizzato ed i beni delle società fosse ravvisabile nel coinvolgimento diretto di queste in quanto utilizzate dagli imputati come veicolo dei trasferimenti dei flussi finanziari, con la conseguenza per cui il nesso era stato ravvisato tra il reato e le società e non già tra il reato ed il bene come richiesto dall’articolo 240 cod. pen. ribadiscono che tale nesso è invece escluso per tabulas dal fatto che i beni risultano acquisiti in data antecedente il 2012, anno in cui si ipotizza abbia avuto inizio la condotta distrattiva ascritta agli imputati richiamano, d’altro canto, il medesimo provvedimento del 10.4.2017 con cui il GIP aveva restituito ad F.A. alcuni beni immobili in quanto entrati nella disponibilità di costei prima del tempus commissi delicti e quello con cui, per la stessa ragione, il PM aveva disposto la restituzione di azioni delle società FED spa e Stilmetal spa oltre ad alcuni immobili di Bramantina srl e della stessa Stilmetal spa rilevano, quindi, che il provvedimento del 10.4.2017 finisce per validare una confisca per equivalente non consentita in relazione al reato per cui si procede in quanto prevista dall’ordinamento, stante la sua natura latu sensu sanzionatoria, soltanto per specifiche ipotesi tassativamente disciplina e dalla legge osservano, ancora, che, nell’impugnato provvedimento, il GIF aveva richiamato l’arresto delle SS.UU. nella sentenza Lucci realizzando anche in tal caso, a loro avviso, una violazione di legge nella misura in cui i saldi attivi sui conti correnti delle società si erano generati anni dopo i fatti di appropriazione indebita ascritti agli imputati non potendosi evidentemente ritenere, pena il superamento di ogni distinzione tra confisca diretta e confisca per equivalente, che la confisca di somme di denaro realizzi sempre e comunque una ipotesi di confisca diretta sottolineano, a tal proposito, che nel caso di specie, diversamente dalla fattispecie analizzata nella sentenza Lucci , non si è in presenza di un profitto accrescitivo del patrimonio del reo che aveva già nella sua materiale disponibilità quelle somme di cui, secondo l’ipotesi accusatoria, si sarebbe successivamente appropriato uti dominus ribadiscono, infine, per ciascuna di esse società ricorrenti, i beni e le utilità di cui era stato sollecitato il dissequestro in quanto, per l’appunto, assente e comunque non motivata l’esistenza del nesso di pertinenzialità con le condotte di reato ipotizzate 2.2 con. ricorso sottoscritto dall’Avv. Stefano Putinati nell’interesse di B.F. e con ricorso sottoscritto dall’Avv. Alessio Lanzi nell’interesse di F.A. , dal contenuto tra loro identico e, in realtà, identico a quello proposto nell’interesse delle società terze, gli imputati hanno svolto analoghe censure puntualizzando, per ciascuno, i beni e le utilità patrimoniali di cui era stato sollecitato il. dissequestro proprio in considerazione della mancanza ovvero della assenza di motivazione in merito del nesso di pertinenzialità con le condotte di reato ipotizzate dall’accusa 3. in data 12.4.2018 la Procura Generale ha depositato la sua requisitoria scritta concludendo nel senso della necessità di qualificare le proposte opposizioni come appelli rimettendo gli atti al Tribunale del Riesame di Milano. Considerato in diritto 1. La vicenda oggetto del presente procedimento è stata già sottoposta all’esame della Corte che, con sentenze n. 16577 e 16678 del 2017, emesse in data 9.2.2016 sui ricorsi proposti dal B. e dalla F. contro i provvedimenti del Tribunale del Riesame che aveva respinto i ricorsi proposti contro il sequestro preventivo adottato dal GIP, ha stabilito a che la questione devoluta alla Cassazione era proprio quella della adozione di un provvedimento che aveva disposto il sequestro preventivo in quanto solo apparentemente finalizzato alla confisca diretta laddove, invece, finiva per imporre un vincolo finalizzato ad una confisca per equivalente b che, richiamando su questo aspetto la sentenza Lucci , le somme di denaro attinte anche sui conti correnti non possono che qualificarsi in termini di sequestro finalizzato alla confisca diretta c che, pertanto, l’unica questione realmente deducibile era quella relativa al sequestro preventivo degli immobili di proprietà degli indagati che, tuttavia, era stata introdotta soltanto con il ricorso per Cassazione e non devoluta al riesame risultando, quindi, preclusa. Dalla portata delle due decisioni, dunque, si dovrebbe concludere nel senso che i ricorsi del B. e della F. , proprio in quanto relativi esclusivamente alle somme di danaro ed i saldi dei conti correnti, finiscono per riproporre nuovamente la medesima questione già esaminata dalla Corte in termini assolutamente analoghi. Per altro verso, quanto al ricorso proposto nell’interesse delle società terze interessate dovrebbe prendersi atto della circostanza secondo cui esso risulta sottoscritto dall’Avv. Giovanni Dallera in forza cfr., la intestazione del ricorso della nomina conferita per l’incidente di esecuzione introdotto di fronte al GIP quale Giudice dell’Esecuzione laddove, invece, il ricorso in Cassazione proposto nell’interesse del terzo interessato deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, dal difensore all’uopo munito di procura speciale cfr., da ultimo, Cass. Pen., 2, 7.12.2017 n. 310, G.t. Auto srl, che ha ribadito come debba ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di riesame relativa a decreto di sequestro preventivo proposto dal difensore del terzo interessato privo di procura speciale ritenendo peraltro non sufficiente la procura speciale rilasciata esplicitamente per il solo riesame . 2. Detto questo, però, ed in via ancor più pregiudiziale, va detto che il tenore dei due ricorsi per Cassazione è indubbiamente nel senso che il vizio lamentato dagli odierni ricorrenti non attiene ad un profilo esecutivo ma attiene, invece, alla denunzia di un vizio genetico del provvedimento di sequestro preventivo che, secondo i ricorrenti, aveva autorizzato l’apposizione del vincolo reale sull’importo complessivo di Euro 10.163.841,84, indicato quale profitto della appropriazione indebita, e che era stato poi eseguito oltre che su denaro contante e su saldi attivi di conti correnti su una serie di immobili di proprietà delle società odierne ricorrenti in difetto di una preventiva verifica della pertinenzialità dei beni rispetto al reato contestato. È nota, infatti, la diversità di natura e la diversa funzione della confisca diretta rispetto alla confisca per equivalente sulla questione, peraltro, che non è necessario ripercorrere, si sono soffermate le SS.UU. nella già richiamata sentenza Lucci è possibile limitarsi allora a ricordare che alla confisca diretta del profitto o del prezzo del reato si attribuisce, infatti, una funzione reintegratoria o ripristinatoria dell’equilibrio patrimoniale intaccato dalla condotta delittuosa laddove, invece, alla confisca per equivalente si attribuisce una funzione sostanzialmente sanzionatoria tanto che, come pure è noto, proprio la considerazione di siffatta funzione ne determina - contrariamente a quanto può accadere per la confisca diretta - la caducazione in caso di sopravvenuta estinzione del reato. Si è chiarito, quindi, che qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata in ogni caso come confisca diretta che, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la.& gt .omma materialmente oggetto della ablazione e il reato cfr., per l’appunto, Cass. SS.UU. Lucci . Laddove, invece, la confisca diretta finisca per attingere beni di natura diversa, occorre che sussista e che sia accertata l’esistenza di un nesso di pertinenzialità tra il bene ed il profitto del reato, ovvero che sia possibile ritenere che il bene sia stato acquistato o sia pervenuto nella disponibilità del reo attraverso il reimpiego del profitto del reato così, ad esempio, si è affermato che il bene immobile realizzato con l’immediato reimpiego del provento del delitto di malversazione ai danni dello Stato costituisce il profitto del reato e, pertanto, è suscettibile di confisca diretta e non per equivalente cfr., Cass. Pen., 6, 15.12.2017 n. 7.896, Zullo, che ha precisato che, qualora l’immobile sia stato realizzato solo in parte con il reimpiego delle somme provento del reato dí cui all’articolo 316 bis, cod.pen., la confisca deve essere limitata all’importo delle somme illecitamente conseguite . Per altro verso, in una fattispecie in cui era stata disposta la confisca di beni pertinenti al reato in sede di applicazione concordata della pena, si è chiarito che il provvedimento adottato nei confronti di coimputati diversi da quelli che sono anche i titolari dei beni in sequestro, è legittimo solo in ipotesi di confisca di tipo pertinenziale, disposta cioè in ragione dell’asservimento dei beni al reato o dell’identificazione diretta del profitto nei beni medesimi, ma non anche quando l’ablazione sia stabilita per equivalente ed abbia quindi natura sanzionatoria cfr., Cass. Pen., 1, 28.5.2014 n. 44.238, San Marino Asset Management . Come detto, il decreto del GIP aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, per l’importo di Euro 10.163.841,84, indicato come profitto della condotta di appropriazione indebita in particolare era stato emesso sino alla concorrenza di detta somma nella disponibilità degli indagati comunque giacente in conti correnti bancari o postali, investita in titoli di stato o azionari, in buoni postali o in quote di fondi di investimento o in altro tipo o genere di investimento o in altro tipo o genere di strumenti finanziari nonché di ogni altro bene, mobile o immobile, di i soggetti fisici o giuridici sopra citati abbiano la disponibilità anche in via mediata o indiretta, per un valore estimativo corrispondente a tale somma di denaro da individuarsi in fase esecutiva cfr., dal provvedimento del GIP . Il rilievo formulato dai ricorrenti, come già rilevato nelle due sentenze della Corte, soprarichiamate, è che il sequestro, pur apparentemente finalizzato ad una confisca diretta l’unica, come è pacifico, consentita per il reato per il quale si procede , è stato disposto, in realtà, come funzionale ad una confisca per equivalente . Il rilievo non appare manifestamente infondato laddove si consideri la laconicità del riferimento operato dal GIP alla fase esecutiva che, per un verso sembra evocare il valore corrispondente dei beni attinti e, dall’altro, i beni stessi in tale ultimo caso, tuttavia, va detto che la individuazione del bene mobile o immobile, diverso dal danaro come oggetto di sequestro finalizzato alla confisca diretta è operazione che non può essere rimessa alla fase meramente esecutiva supponendo, invece, valutazioni che attengono, per l’appunto, la ricostruzione della sua provenienza come derivante dal reimpiego del profitto del reato. In altri termini, è il provvedimento impositivo della misura che deve individuare il bene da sottoporre a sequestro in quanto, almeno a livello di fumus , preventivamente qualificato come profitto del reato in quanto acquisito al patrimonio del reo direttamente o indirettamente per interposta persona fisica o giuridica mediante il reimpiego di quanto ritratto dalla condotta delittuosa. Altro è, invece, il profilo meramente esecutivo del sequestro che è suscettibile di controllo e di verifica di fronte al giudice dell’esecuzione a tal proposito, si è chiarito che i provvedimenti riguardanti le modalità di esecuzione del sequestro preventivo non sono né appellabili né ricorribili per cassazione e le eventuali questioni ad essi attinenti vanno proposte in sede di incidente di esecuzione cfr., Cass. Pen., 2, 3.7.2015 n. 44.504, Steccato Vattumè, impropriamente richiamata dal GIP nel provvedimento del 24.3.2017 e che è stata resa, infatti, in un caso in cui il Tribunale del riesame aveva disposto il sequestro preventivo fino alla concorrenza di una somma di poco superiore a tremila Euro ed erano stati sottoposti a vincolo beni per un valore complessivo di circa trenta volte, superiore e nel quale la Corte ha rigettato il ricorso proposto avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame, in cui era stata dedotta l’erronea estensione del vincolo reale . La censura secondo cui, nonostante il GIP avesse disposto un sequestro finalizzato alla confisca diretta del profillo del reato, il provvedimento era caduto su beni di cui si assume la assenza del vincolo di pertinenzialità trasformando in tal modo la misura in un non consentito sequestro finalizzato alla confisca per equivalente , concerne dunque un profilo che non può essere ricondotto alla fase meramente esecutiva della misura ma che, invece, attiene ad un profilo genetico del provvedimento del GIP che aveva OMESSO di individuare quali beni attingere in quanto, per l’appunto, acquisiti mediante il reimpiego del profitto del reato. Di qui, pertanto, la necessità di qualificare le opposizioni al provvedimento del 10.4.2017 come appelli e di disporre la trasmissione degli atti al Tribunale del Riesame di Milano. 3. Le richieste di anonimizzazione proposte dai ricorrenti ai sensi dell’articolo 52 del D.L.vo 196 del 2003 vanno respinte. La norma, come è noto, attribuisce all’interessato la facoltà di chiedere all’AG, per motivi legittimi e prima della definizione del relativo grado di giudizio, che sia apposta sulla sentenza o sul provvedimento, a cura della cancelleria, l’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indica2ione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento . La questione che la Corte ha già avuto modo di affrontare è, per l’appunto, quella di attribuire un contenuto concreto alla espressione utilizzata dal legislatore con il generico riferimento ai motivi legittimi che possono o meno giustificare la richiesta ed il suo eventuale accoglimento. Si è chiarito, allora, che l’espressione non può essere intesa nell’accezione di motivi normativi , ovvero quale generico ed indifferenziato riferimento ai divieti già previsti da specifiche disposizioni di legge ostandovi, se non altro, la clausola ivi prevista Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado . Per attribuire allora un qualche significato a detta espressione si è detto che essa va intesa in termini analoghi a motivi opportuni , con un una ampiezza di significato non predeterminata dal legislatore in merito alle ragioni che possono giustificare la richiesta che finisce con il rimettere al giudice la ricerca di un equilibrio tra esigenze di riservatezza del singolo e pubblicità della sentenza che, come tale, rappresenta un corollario del principio costituzionale dell’amministrazione della giustizia in nome del popolo, massimamente in ambito penale in cui, in ragione degli interessi in gioco, l’intera celebrazione del processo - ivi compresa, dunque, la fase dell’istruttoria dibattimentale - si svolge in forma pubblica salvo motivato provvedimento in deroga da parte del giudice procedente cfr., Cass. Pen., 6, 15.2.2017 n. 11.959, Agostini, che ha inoltre richiamato le linee guida dettate dal Garante della Privacy con atto del 2 dicembre 2010, in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica , pubblicate sulla G.U. n. 2 del 4 gennaio 2011, in cui al punto 3., con specifico riferimento alla c.d. procedura di anonimizzazione dei provvedimenti giurisdizionali” di cui all’articolo 52, commi da 1 a 4, del d.lgs. n. 196/2003, si indicano possibili motivi legittimi , in grado di fondare la relativa richiesta, nella particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento , ovvero nella delicatezza della vicenda oggetto del giudizio . Mentre i dati sensibili sono individuati dalla legge cfr., articolo 4 co. 1 lett. d del D. Lg.vo n. 196 del 2003, che li definisce come i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale , lo stesso non può dirsi quanto alla delicatezza della vicenda processuale, nozione che necessita di essere riempita di contenuti concreti, sintomatici della peculiarità del caso e della capacità, insita nella diffusione dei dati relativi, di riverberare - come osserva lo stesso Garante - negative conseguenze sui vari aspetti della vita sociale e di relazione dell’interessato ad esempio, in ambito familiare o lavorativo , così andando ad incidere pesantemente sul diritto alla riservatezza del singolo. Alla luce di queste considerazioni, è evidente che le istanze proposte nell’interesse degli odierni ricorrenti non possono essere giustificate da nessuno dei motivi legittimi che possono consentire l’accoglimento delle richieste, non essendo certamente idonei i riferimenti al danno alla reputazione suscettibile di essere arrecato alle società terze interessate ovvero a quella degli odierni indagati dalla pendenza del processo. Diversamente opinando, infatti, ogni processo penale dovrebbe comportare l’oscuramento dei dati personali, laddove, per un verso, si è in presenza di addebiti che hanno determinato l’attivazione della risposta dell’ordinamento a sèguito della ritenuta violazione della legge penale, evenienza di per sé fisiologica salvo che l’iniziativa non sottenda condotte di simulazione di reato o di autocalunnia ovvero ancora di calunnia per altro verso, come ancora correttamente sottolineato nella sentenza Agostini , va sottolineato che l’esercizio di funzioni giurisdizionali non può in alcun modo risolversi nella gratuita attribuzione di una sorta di status superiore, tale cioè da comportare una più intensa ed ampia tutela dell’imputato rispetto a quella riconosciuta agli altri cittadini. Le istanze vanno dunque respinte. P.Q.M. la Corte, qualificati come appelli i ricorsi per Cassazione avverso l’ordinanza su apposizione a rigetto di restituzione di bene sottoposto a sequestro preventivo, emessa dal gip di Milano in data 25 settembre 2017, in funzione di giudice dell’esecuzione, dispone la trasmissione degli atti al Tribunale del Riesame di Milano, quale giudice di appello. Rigetta le istanze di anonimizzazione.