La Cassazione si esprime, estendendo un precedente filone interpretativo, sull’effetto polivalente di elementi che attenuino il trattamento sanzionatorio

La Suprema Corte, con la sentenza n. 28706/18, declina in senso favorevole al reo una regola di valutazione già utilizzata, di frequente, per acuire la severità della pena inflitta. Interviene, al contempo, sulla complessa disciplina dei rapporti tra la morte del soggetto passivo di gravi lesioni, qualora s’accampi il dubbio di un’efficacia determinante – o quanto meno, concausale – di prestazioni di c.d. malasanità.

Lo ha ribadito la Suprema Corte, con sentenza n. 28706/18 depositata il 21 giugno. Il caso. L’inchiesta s’avvia nel 2012, quando tra una coppia di giovani scoppia un diverbio per ragioni banali. Durante la lite, la ragazza pugnala al torace il compagno, usando un coltello a serramanico il giovane viene quindi ricoverato presso il locale nosocomio, che lo dimette dopo una decina di giorni. Tuttavia, trascorse poche ore, viene ritrovato morto, in casa, dai suoi genitori. Gli accertamenti medico-legali attribuiscono la causa del decesso ad un aneurisma dell’arteria discendente anteriore, la cui rottura aveva generato un emopericardio con tamponamento cardiaco secondario. La Corte di Assise d’Appello di Messina aveva riformato la prima condanna, riqualificando il fatto nel più lieve delitto di omicidio preteritenzionale – a fronte dell’originaria contestazione di omicidio volontario – e riducendo così la pena da diciotto a quattordici anni di reclusione. Contestualmente, aveva trasmesso gli atti al competente Pubblico Ministero, per un nuovo esame delle posizioni dei medici operanti presso l’Ospedale che aveva dimesso la vittima, archiviate ad esito delle indagini preliminari. Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputata, deducendo violazione di legge, mancata assunzione di una prova decisiva e carenze motivazionali, per non aver disposto una perizia in ordine alla dinamica dei fatti vizio di parte motiva ed error in procedendo, per non aver ritenuto inutilizzabili alcune dichiarazioni rese dalla ricorrente e, non di meno, aver trascurato il contributo conoscitivo portato da un testimone a discarico analoghi vizi affliggerebbero l’individuazione del nesso causale tra la condotta e l’evento, poiché non poteva escludersi, per un verso, che le conseguenze delle lesioni iniziali fossero state totalmente eliminate dalle terapie somministrate durante il ricovero e, per l’altro, che la morte fosse stata provocata dall’attività dei sanitari error in iudicando ed assenza di motivazione, per aver giustificato solo con un astratto excursus giurisprudenziale il discrimine tra dolo eventuale e colpa cosciente escludendo, poi, l’intervento dell’esimente della legittima difesa, anche putativa, ed il suo eventuale eccesso colposo illogicità dell’iter motivo, ove si concede il ristoro di un indimostrato danno non patrimoniale alle parti civili carente motivazione e violazione di legge, per la mancata concessione dell’attenuazione di pena ex art. 62 bis c.p., che avrebbe dovuto trovare spazio in ragione della incensuratezza e della giovane età dell’agente, senza che a ciò potesse ostare la mancata ammissione degli addebiti da parte sua. La sentenza. La V Sezione – su parere conforme del Procuratore generale – annulla la sentenza impugnata, limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche, con rinvio per un nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria. Il Collegio circoscrive l’ottica con la quale esamina le doglianze difensive, ignorando quelle che attingano profili di merito, invocando una rivalutazione del compendio probatorio estranea al sindacato di ultima istanza o che difettino della necessaria correlazione con i motivi che hanno fondato il provvedimento impugnato. L’Estensore entra quindi nel vivo dei temi di decisione, passando i rassegna i molti istituti oggetto delle argomentazioni difensive. Tra questi, due risultano meritevoli di specifico approfondimento, esprimendo principi di diritto suscettibili di produrre significative implicazioni operative. Il processo causale dalla condotta all’evento. Un primo profilo di assoluto interesse concerne la possibile interazione efficiente tra crimini violenti e potenziale negligenza dei sanitari che abbiano soccorso o curato la vittima. Sotto questo aspetto, cui il deducente s’appellava per escludere la connessione diretta tra azione ed effetto, la Corte di legittimità, richiamando precedenti citati anche dai Giudici distrettuali, precisa come le eventuali negligenze dei sanitari nelle terapie mediche non elidono il nesso di causalità tra la condotta di percosse o di lesioni personali posta in essere dall’agente e l’evento morte, non costituendo un fatto imprevedibile od uno sviluppo assolutamente atipico della serie causale” in proposito, si cita, tra le tante, Cass., Sez V Pen., 3.7.2012, n. 39389, Martena, RV. 254320 . L’assunto, che nell’ambito di aggressioni dirette a ledere parti vitali può considerarsi corretto, sembra partire da una massima d’esperienza non così scontata l’esito esiziale di un ricovero presso una struttura sanitaria, determinato dalla negligenza dei professionisti che li operino, non deve ritenersi fatto atipico ed imprevedibile. Il valore della giovane età. Un’altra tematica centrale riguarda l’effetto prodotto dal parametro della giovane età sul trattamento sanzionatorio, che costituisce il fondamento dell’accoglimento parziale dell’impugnazione. Più in specie, gli Ermellini, a partire dal filone giurisprudenziale che, in subiecta materia , aveva già acclarato la polivalente utilizzabilità di un elemento quando intervenga in malam partem, sottolineano che se la validità di tale principio è stata riconosciuta quando [] la sua applicazione si risolva contra reo” si citano, sul punto, Cass., Sez. II Pen., 14.5.2015, n. 24995, Rechici et al., RV 264378, conforme sul punto, a Cass., Sez. II Pen., 11.10.2013, n. 933, Debbiche Helmi et al., RV. 258011 esso deve essere a fortiori applicato quando abbia implicazioni favorevoli per l’imputato, consentendo plurime considerazioni del medesimo fattore positivo”. Esegesi pienamente condivisibile, cui dovrà uniformarsi la Corte di merito proseguendo il giudizio. Conclusioni. La pronuncia in commento fatica a trattare tutti i punti nodali in cui si articola il suo ragionamento, che deve fronteggiare le molteplici critiche con cui la difesa censura l’operato dei Giudici del gravame. Costituirà, però, un opportuno monito garantista, equiparando le potenzialità delle circostanze utili a moderare la sanzione con quelle degli elementi adoperati per irrigidirla e fornendo una base a richieste di merito che si pongano questo obiettivo.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 maggio – 21 giugno 2018, n. 28706 Presidente Zaza – Relatore Borrelli Ritenuto In Fatto 1. Con sentenza del 24 gennaio 2017, la Corte di assise di appello di Messina riformava, con riduzione della pena da diciotto a quattordici anni di reclusione, la sentenza di condanna emessa dalla Corte di assise della stessa città nei confronti di P.F. , condannata in primo grado per omicidio preterintenzionale dell’ex fidanzato, V.B. , previa riqualificazione del delitto di omicidio volontario originariamente contestato ed esclusione delle circostanze aggravanti indicate nell’editto accusatorio. Secondo la ricostruzione delle sentenze di merito, il fatto si era verificato il omissis quando, di ritorno da una serata in discoteca, i due giovani avevano avuto un diverbio durante il quale la P. aveva colpito il V. con un coltello a serramanico nella zona toracica il giovane, dopo un primo passaggio al pronto soccorso di altra struttura, era stato ricoverato presso l’ospedale omissis , da dove era stato dimesso il 12 marzo, ma il giorno 14 era stato trovato morto in casa dai familiari. Quanto alle cause del decesso, si era accertato che il colpo infertogli dalla P. aveva provocato al V. un aneurisma dell’arteria discendente anteriore che, una volta rotto, aveva comportato un emopericardio con tamponamento cardiaco secondario, che ne aveva cagionato il decesso. Era stata avviata un’indagine anche nei confronti dei sanitari dell’ospedale per accertare una loro responsabilità nella causazione dell’evento, che si era però conclusa con un’archiviazione questo profilo è stato rimesso in discussione nella sentenza impugnata, avendo i giudici della Corte di Assise di appello disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero competente in relazione alla posizione dei medici suddetti. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la P. a mezzo del proprio difensore Avv. Antonino Favazzo, articolando sette motivi. 2.1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione di legge, mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione con riferimento alle richieste istruttorie avanzate alla Corte di Assise di appello, parzialmente accolte, senza che tuttavia in sentenza si fosse dato conto della deposizione dei testi ammessi su richiesta della appellante, che avevano ridimensionato la versione resa dal V. nell’immediatezza non solo secondo la ricorrente, la Corte distrettuale aveva mancato di motivare in ordine alla reiezione della richiesta di disporre perizia circa la dinamica dei fatti, fornendo una giustificazione che si attagliava ad una diversa mozione, avente ad oggetto una perizia sugli indumenti della vittima. 2.2. Il secondo motivo verte su vizio di motivazione e su violazione di legge. A sostegno, l’impugnativa lamenta l’inutilizzabilità di alcune delle dichiarazioni rese dell’imputata e contesta la conclusione cui i giudici di merito erano giunti circa lo stato di scarsa lucidità dei due giovani, nonché l’aver ignorato la testimonianza di C.G. , ritenendo più attendibile la ricostruzione della dinamica del fatto data dalla vittima, per cui la Corte territoriale non aveva preteso riscontri individualizzanti. 2.3. Il terzo motivo - che postula l’esistenza di analoghi vizi - è incentrato sulla valutazione operata dalla Corte territoriale circa il nesso di causalità tra l’azione della P. e l’evento morte. Secondo la ricorrente, la Corte di Assise di appello aveva omesso di spiegare realmente - limitandosi a citazioni giurisprudenziali - perché la condotta dei medici dell’ospedale XCervello omissis che ebbero in cura la vittima non avesse interrotto il nesso causale, pur avendo il Giudice di appello disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero ritenendo essere emersi indizi di reità nei loro riguardi. La Corte di appello aveva altresì errato nell’applicazione dell’art. 41 cod. pen. perché le lesioni attribuite alla P. ed il conseguente il ricovero in ospedale erano state solo l’occasione e non una concausa dell’evento morte non era da escludere che, al momento del decesso della vittima, le conseguenze delle lesioni causate dalla ricorrente fossero state rimosse del tutto. 2.4. Il quarto motivo affronta il profilo dell’elemento soggettivo e si duole del vizio di motivazione e della violazione di legge che caratterizzerebbero la sentenza laddove la Corte non aveva adeguatamente affrontato il tema del discrimine tra dolo eventuale e colpa cosciente. La sentenza impugnata - dopo un excursus di giurisprudenza inidoneo a far ritenere assolto l’obbligo motivazionale - aveva erroneamente ritenuto che la P. fosse animata da dolo eventuale di lesione, trascurando che il fatto era maturato nell’ambito di un gioco macabro in cui la persona offesa, dopo aver ferito la P. , aveva attuato un proposito autolesionistico, che l’imputata aveva solo assecondato. A tutto voler concedere, la P. era stata animata da colpa generica. 2.5. Il quinto motivo lamenta vizio di motivazione e violazione di legge dal momento che la Corte distrettuale aveva escluso che ricorresse la scriminante della legittima difesa, reale o putativa, o dell’eccesso colposo in legittima difesa, che la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere accedendo alla ricostruzione dei fatti resa dalla P. . 2.6. Il sesto motivo verte sulla mancanza di motivazione che contraddistinguerebbe la condanna al risarcimento del danno, senza che le parti civili avessero dimostrato il danno subito ed offerto elementi per la sua quantificazione. 2.7. Il settimo ed ultimo motivo riguarda la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed il trattamento sanzionatorio, parimenti caratterizzati - a detta della ricorrente - da vizio di motivazione e violazione di legge. La sentenza impugnata non aveva spiegato le ragioni per cui aveva ritenuto di discostarsi dal minimo edittale, nonostante il contesto in cui il fatto era maturato. Quanto alla mancata applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., la parte si duole del fatto che la Corte distrettuale aveva negato le circostanze attenuanti generiche ritenendo insufficiente la mera incensuratezza, ma senza passare in rassegna la giovane età, il comportamento processuale dell’imputata e le modalità dell’azione e richiamando la mancata ammissione dei fatti, nonché ritenendo che la giovane età, già considerata per attenuare la pena rispetto a quella del primo grado, non potesse essere considerata sotto altro profilo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato solo per quanto concerne il diniego delle circostanze attenuanti generiche, mentre va rigettato nel resto. 1.1. Avuto riguardo al primo motivo, il ragionamento va diversificato in ragione del contenuto specifico delle doglianze. 1.1.1. Con riferimento alla mancata considerazione della deposizione dei testi ammessi dalla Corte distrettuale su richiesta dell’appellante ex art. 603 cod. proc. pen., il Collegio ritiene che il ricorso tradisca la volontà di introdurre una valutazione di merito estranea ai confini del giudizio di legittimità, proponendo una lettura alternativa e soggettivamente orientata del materiale probatorio, senza in realtà dolersi dell’unico profilo che consentirebbe un’incursione diretta di questa Corte nel materiale probatorio, vale a dire il vizio di travisamento della prova, quale lettura oggettivamente errata o addirittura omessa di un dato probatorio. È infatti la stessa impostazione del ricorso, caratterizzata sul punto da una certa vaghezza argomentativa e della mancata indicazione dei verbali cui la ricorrente si riferisce, a far escludere che la Corte territoriale abbia omesso di valutare un dato probatorio specifico e decisivo nella ricostruzione dei fatti. 1.1.2. Circa la denegata richiesta della perizia sulla dinamica dei fatti, la censura mossa alla sentenza non coglie nel segno per due ragioni. In primo luogo, essa trascura di considerare che l’ordinanza del 12 luglio 2016 reca una motivazione circa il rigetto della richiesta di perizia reputata non necessaria alla luce delle dichiarazioni rese dalla vittima e dall’imputata , che evidenzia come la Corte distrettuale abbia comunque operato la valutazione che le era stata rimessa tale considerazione è, peraltro, ripresa in sentenza pag. 5 quando i giudici di appello hanno rimarcato che la delibazione sul profilo ricostruttivo richiedeva una ragionamento sul dato probatorio, dichiarativo e non, acquisito, senza la necessità di ricorrere a supporti tecnici. Il secondo aspetto attiene alla stessa natura della richiesta istruttoria, che induce ad escludere la fondatezza della tesi circa la decisività della mancata assunzione della prova e, quindi, la riconducibilità al vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. d , cod. proc. pen. Oltre ad evidenziare che la giurisprudenza di questa Corte consente di invocare il suddetto vizio solo nel caso di prova scoperta dopo il giudizio di primo grado ex multis, Sez. 1, n. 3972 del 28/11/2013, dep. 2014, Inguì, Rv. 259136 , va anche ricordato che, come di recente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A. e altro, Rv. 270936 , la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d , cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova neutro , sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod.proc.pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. 1.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile sia perché connotato da genericità intrinseca ed estrinseca, sia perché diretto ad ottenere una riedizione della valutazione in fatto già operata dalle sentenze di merito esso enumera, infatti, una serie di doglianze in maniera piuttosto vaga nonché priva di confronto con la motivazione della pronunzia impugnata, nel contempo invocando, in termini sostanzialmente assertivi, una diversa ricostruzione del materiale probatorio. 1.2.1. Quanto al primo limite del ricorso, va ricordato come Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823, abbia di recente ribadito un concetto già accreditato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. 1.2.2. Il secondo dei limiti dell’impostazione della ricorrente sopra ricordati è che ella invoca una rinnovata valutazione delle risultanze processuali che è fuori dall’ambito decisionale di questa Corte, che non può rivalutare i fatti storici accertati nel corso dei gradi di merito e valutati con congrua motivazione. Come autorevolmente sancito da Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944, infatti, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri di questa Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali ex multis, anche Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 . 1.2.3. Qualche osservazione mirata meritano due censure, tra quelle elencate nel motivo in esame, che sembrano attenere a profili processuali, cioè quella di inutilizzabilità delle dichiarazioni della ricorrente e quella concernente la necessità di riscontri individualizzanti a tutti i passaggi della ricostruzione . Ebbene, la prima è in primo luogo generica, dal momento che omette di indicare quali siano le dichiarazioni della P. reputate inutilizzabili e di interrogarsi, come invece doveroso, sulla decisività della prova in tesi inutilizzabile e sulla resistenza del residuo materiale probatorio Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina e altro, Rv. 269218 Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011 . La seconda censura attiene alla pretesa indispensabilità dei riscontri, censura priva, tuttavia, dell’indicazione di quali siano le dichiarazioni da riscontrare. Ove mai tale riferimento fosse alle dichiarazioni della persona offesa, giova osservare che la giurisprudenza di questa Corte esclude tale necessità e la sentenza di primo grado, non specificamente avversata sul punto dall’appello se non con considerazioni di carattere generico, aveva fornito ampia ed adeguata motivazione circa le ragioni per cui le dichiarazioni rese dal V. dopo il ferimento dovessero ritenersi - siccome complete e prive di indici della volontà di infierire sulla posizione della P. - particolarmente attendibili e come esse fossero confortate da quelle della sorella, che aveva riferito del mea culpa della ricorrente. Nel contempo la Corte di Assise di appello ha chiarito i motivi per cui la tesi dell’imputata riferita in sede di interrogatorio ed il revirement che si era registrato - evidenziatosi nell’interrogatorio stesso, a prescindere dall’utilizzabilità delle dichiarazioni rese agli investigatori presso l’ospedale, nonché il confronto con le dichiarazioni di V.A. lasciassero concludere per la non genuinità della ricostruzione fornita dinanzi al Giudice per le indagini preliminari. 1.3. Il terzo motivo - incentrato sulla valutazione operata dalla Corte territoriale circa la connessione causale tra l’azione della P. e l’evento morte nonostante la condotta dei medici che ebbero in cura la persona offesa - è infondato. A dispetto della presunta mancanza di motivazione sul punto, la Corte di Assise di appello non ha trascurato di fornire ampio riscontro al gravame e di spiegare perché l’eventuale condotta colposa dei medici non fosse idonea ad interrompere il nesso di causalità tra l’azione della ricorrente e l’evento morte cfr. pagg. 7, 8, 9 e 10 della sentenza impugnata . Deve, infatti, osservarsi che la Corte territoriale, con motivazione completa e priva di profili di manifesta illogicità, nonché rispettosa dei principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimità sul punto, ha evidenziato che la condotta eventualmente colposa dei medici dell’ospedale non potesse né ritenersi un fattore indipendente dal fatto del reo ed operante in assoluta autonomia, né una circostanza che, ancorché non avulsa dall’antecedente, fosse caratterizzata da un percorso causale completamente atipico. Così argomentando, la sentenza impugnata ha sgomberato il campo da ogni dubbio circa la riconducibilità dell’evento all’azione dell’imputata, vagliando la doglianza sia nell’ottica della giurisprudenza più risalente e rigorosa Sez. 5, n. 13114 del 13/02/2002, PG in proc. Izzo A, Rv. 222055 che di quella più recente, aperta alla possibilità di un’interruzione del nesso causale ex multis Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, Zantonello, Rv. 271846 Sez. 2, n. 17804 del 18/03/2015, Vasile, Rv. 263581 Sez. 4, n. 43168 del 21/06/2013, Frediani, Rv. 258085 . Vi è, poi, nell’apprezzabile ragionamento della Corte territoriale, un profilo specifico con cui il ricorso non si confronta, vale a dire quello dell’incompatibilità astratta tra rottura della catena causale e condotta colposa omissiva in questi casi - ha sostenuto la Corte distrettuale l’antecedente fattuale che ha reso necessario l’accertamento diagnostico e l’intervento terapeutico mancanti e codeterminanti per l’exitus è essenziale, giacché alcuna condotta attiva i sanitari hanno posto in essere sulla cui incidenza causale ci si debba interrogare in tema, è particolarmente efficace la già citata Sez. 1, n. 36724 del 18/06/2015, Ferrito e altri, Rv. 264534, dove in motivazione si legge, mentre è astrattamente possibile escludere il nesso di causalità in ipotesi di colpa commissiva, in quanto il comportamento del medico può assumere i caratteri della atipicità, la catena causale resta invece integra allorquando vi siano state delle omissioni nelle terapie che dovevano essere praticate per prevenire complicanze, anche soltanto probabili, delle lesioni a seguito delle quali era sorta la necessità di cure mediche. L’errore per omissione non può mai prescindere dall’evento che ha fatto sorgere l’obbligo delle prestazioni sanitarie. L’omissione, da sola, non può mai essere sufficiente a determinare l’evento proprio perché presuppone una situazione di necessità terapeutica che dura finché durano gli effetti dannosi dell’evento che ha dato origine alla catena causale . Va, infine, sottolineato sul punto, che esistono condivisibili precedenti specifici pure citati dalla Corte messinese - proprio in tema di rapporti tra omicidio preterintenzionale e condotta colposa dei sanitari, secondo cui le eventuali negligenze dei sanitari nelle terapie mediche non elidono il nesso di causalità tra la condotta di percosse o di lesioni personali posta in essere dall’agente e l’evento morte, non costituendo un fatto imprevedibile od uno sviluppo assolutamente atipico della serie causale Sez. 5, n. 39389 del 03/07/2012, Martena, Rv. 254320 Sez. 5, n. 17394 del 22/03/2005, D’Iginio, Rv. 231634 . Di fronte a detta, robusta base teorica, su cui fonda il ragionamento della pronunzia impugnata, la tesi di parte ricorrente, secondo cui l’accoltellamento sarebbe stato la mera occasione su cui si era innestata la catena causale delle condotte omissive dei medici, mostra tutta la sua debolezza, non smentendo che la lesione abbia innescato la patologia che ha condotto la vittima alla morte e non lasciando intendere come si possa, nel ragionamento controfattuale circa la causalità azione/evento, prescindere dall’antecedente causale la lesione interna riportata che i medici avrebbero, in tesi, mancato di diagnosticare e che ha condotto alla morte la persona offesa. 1.4. Il quarto motivo - quello che affronta il tema dell’elemento soggettivo è infondato. 1.4.1. Prima di confrontarsi con gli aspetti teorici evocati dalla ricorrente, occorre chiarire che esso muove da un presupposto erroneo, su cui sviluppa gran parte del ragionamento critico rispetto alla pronunzia, vale a dire che la Corte messinese avesse ritenuto la P. animata da dolo eventuale di lesioni. Al contrario, i Giudici di appello non hanno accennato a tale opzione, affermando solo che l’atteggiamento psichico dell’imputata era caratterizzato dal dolo di lesioni ed aggiungendo che la prevedibilità dell’evento più grave che si era nel concreto verificato era assorbita nell’intenzione del risultato. La Corte di merito è giunta a questa conclusione sulla base di due presupposti, l’uno in fatto, l’altro in diritto, entrambi corretti. Quanto al primo, la Corte di Assise di appello ha mostrato di attribuire credito alla ricostruzione del fatto fornita dal V. e dettagliatamente riportata nella sentenza di primo grado , il quale, subito dopo il fatto, era stato escusso dalla polizia giudiziaria ed aveva spiegato l’accaduto come la degenerazione di uno scontro con la P. in cui quest’ultima, dopo che l’ex fidanzato l’aveva sfidata con un coltello tra il serio ed il faceto, aveva impugnato l’arma e lo aveva colpito. Sull’incensurabilità del giudizio di attendibilità della persona offesa svolto dal Tribunale e non specificamente contestato né in sede di appello né di ricorso per cassazione, si è già detto a proposito del secondo motivo di ricorso. È evidente che, di fronte a siffatta ricostruzione, non vi è margine per interrogarsi sul discrimine tra dolo eventuale e colpa cosciente, giacché colpire un soggetto con un coltello è un’azione che è logicamente ricollegabile alla precisa volontà di attentare alla sua incolumità personale. 1.4.2. Ciò basta - e veniamo, quindi, al secondo presupposto della condivisibile scelta della Corte di Assise di appello - a ritenere integrato il coefficiente soggettivo del reato di cui all’art. 584 cod. pen., dal momento che la più recente giurisprudenza di legittimità ritiene che l’elemento psicologico del delitto di omicidio preterintenzionale non sia costituito da dolo e responsabilità oggettiva né da dolo misto a colpa, ma unicamente da dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità dell’evento più grave nell’intenzione di risultato tre le più recenti, Sez. 5, n. 44986 del 21/09/2016, Mulè, Rv. 268299 Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, Palazzolo, Rv. 254386 Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, Perini, Rv. 253357 . 1.5. Il quinto motivo - quello che verte sulla scriminante della legittima difesa, reale o putativa, o sull’eccesso colposo in legittima difesa - va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza e, comunque, per mancanza di confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata. Quest’ultima, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, come già sopra osservato, ha attribuito fede alla versione della persona offesa, del tutto incompatibile con quella propugnata nel ricorso non mancando di rimarcare non solo le contraddizioni in cui la ragazza era incorsa anche rispetto a quanto riferito ad V.A. circa l’accaduto, ma come la stessa versione dei fatti della P. resa al Giudice della convalida - secondo cui il V. aveva diretto la mano della ragazza ed il coltello che ella impugnava, verso la zona colpita - non contemplasse la tesi della legittima difesa. Ne consegue che non vi è materia per ritenere la sussistenza di quest’ultima scriminante, né nella forma reale, né in quella putativa né dell’eccesso colposo pure invocato. 1.6. Il sesto motivo di ricorso, concernente la presunta mancanza di motivazione circa la condanna al risarcimento del danno nei confronti dei congiunti della persona offesa, è infondato. Nella sentenza impugnata, infatti, si legge che la Corte distrettuale, nel rispondere al motivo di appello, ha valorizzato, a sostegno della condanna al risarcimento in favore dei congiunti costituiti, l’incisione sulla sfera degli affetti e dei rapporti familiari dell’uccisione della vittima, fornendo una motivazione, che, data la natura del reato e le radicali conseguenze che vi sono collegate, può ritenersi effettiva. D’altra parte, la giurisprudenza civile di questa Corte ha sancito il principio secondo cui l’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur . Nei casi suddetti è pertanto onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 3767 del 15/02/2018 Rv. 648035 - 02 . 1.7. Come anticipato, il motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio è parzialmente fondato. 1.7.1. Non lo è quanto alla quantificazione della pena, dal momento che la sentenza impugnata, sul punto, non è affatto immotivata. Nell’ottica della scelta di ridimensionare il trattamento sanzionatorio, abbattendo la pena da diciotto a quattordici anni di reclusione, infatti, la Corte di Assise di appello ha evidenziato una serie di dati positivi, non smentendo, tuttavia, quelli negativi che i giudici di primo grado avevano valorizzato in malam partem. Ne risulta un ordito argomentativo composito - in cui le sentenze di merito si saldano tra loro -effettivo e non manifestamente illogico e, quindi, incensurabile in sede di legittimità, salvo pretendere una riedizione della valutazione in fatto, estranea ai limiti del giudizio di cassazione. Deve sottolinearsi, a quest’ultimo proposito, che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142 Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, dep. 2008, Cilia e altro, Rv. 238851 . 1.7.2. Il discorso è diverso quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, a proposito della quale è dato cogliere un vizio motivazionale che impone l’annullamento con rinvio. Se è corretta, infatti, l’affermazione che l’incensuratezza, da sola, non è idonea a fondare la concessione del beneficio sanzionatorio - giusto il disposto di cui all’art. 62-bis, ultimo comma, cod. pen. - non lo è altrettanto ritenere esaurita l’incidenza in bonam partem della giovane età perché già considerata tra gli indici positivi che avevano condotto a ridimensionare la pena irrogata in primo grado. La giurisprudenza di questa Corte, invero, si è espressa nel senso di ammettere l’utilizzo polivalente di un dato in malam partem, segnatamente proprio per la dosimetria della pena e per la negazione delle circostanze attenuanti generiche Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi e altri, Rv. 264378 Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Debbiche Helmi e altri, Rv. 258011 . Se la validità di tale principio è stata riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità quando la sua applicazione si risolva contra reo, esso deve essere a fortiori applicato quando abbia implicazioni favorevoli per l’imputato, consentendo plurime considerazioni del medesimo fattore positivo, sicché deve ritenersi errata in diritto nonché illogica la motivazione che abbia dato corso ad una regola di valutazione diversa. Non residua, pertanto, nella pronunzia sub iudice, una giustificazione specifica del diniego del beneficio se è vero, infatti, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice, quando rigetta la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non ha l’obbligo di prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, è altrettanto vero che deve, però, fare comunque riferimento a quelli ritenuti decisivi o rilevanti Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane e altri, Rv. 248244 , riferimento che nel caso di specie difetta. La sentenza va, pertanto, annullata con rinvio su questo specifico aspetto, affinché il Giudice di rinvio valuti nuovamente il tema della concessione delle circostanze attenuanti generiche sulla scorta delle indicazioni fornite da questa Corte. 2. La parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 2500,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata limitatamente al diniego della concessione della circostanze attenuanti generiche, con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di Assise di appello di Reggio Calabria. Rigetta il ricorso nel resto e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in Euro 2500,00, oltre accessori di legge.