Appropriazione indebita e falso in atto pubblico: la rilevanza dell’interesse del querelante e del fatto

Chi è il conducente? Una questione che ha portato diverso scompiglio nella controversia oggetto di ricorso. Nella specie il presunto conducente, dopo aver ricevuto l’avviso di pagamento di una sanzione amministrativa, aveva sporto querela nei confronti del nipote, proprietario del veicolo incriminato, accusandolo di essersi appropriato della sua patente e aver attestato il falso inquadrandolo come conducente al momento dell’infrazione. Vari i reati oggetto di querela. Gli Ermellini però contestano il fatto e l’interesse del querelante ad incolpare l’imputato.

Sul tema la Cassazione con sentenza n. 28158/18, depositata il 19 giugno. Il caso. La Corte d’Appello di Cagliari, riformando parzialmente la decisione di prime cure, condannava l’imputato alla pena di giustizia, ritenendo assorbito il delitto di cui all’art. 494 c.p. Sostituzione di persona in quello di cui all’art. 483 c.p. Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico e confermando la condanna per il reato di cui all’art. 646 c.p. Appropriazione indebita . In particolare i fatti oggetto del processo riguardavano la dichiarazione falsa rivolta al Comando di polizia municipale con la quale l’imputato, in qualità di proprietario di un veicolo, indicava come conducente al momento dell’infrazione un altro soggetto, trascrivendo gli estremi della patente di guida del presunto conducente con l’apposizione della sottoscrizione di quest’ultimo. In seguito al suddetto fatto il presunto conducente aveva sporto querela, dopo aver ricevuto notifica dell’avviso di mancato pagamento della sanzione amministrativa, sostenendo di non aver mai guidato l’autovettura incriminata e ritenendo che il proprietario del veicolo, suo nipote, si fosse illecitamente impossessato della sua patente di guida per trascriverla nella dichiarazione. Interesse del querelante. La vicenda di merito è oggetto di ricorso per cassazione su proposta della difesa dell’imputato. La Cassazione ha ritenuto fondati il primo e il quinto motivo di ricorso, entrambi concernenti la valutazione della rilevanza probatoria delle dichiarazioni della persona offesa. Infatti, osserva la Suprema Corte, nella sentenza impugnata non viene considerato l’interesse concreto del querelante posto che la querela era stata sporta solo dopo la notifica dell’avviso di pagamento ed ad distanza di due anni dall’accertamento dell’infrazione. Detti elementi, secondo gli Ermellini, hanno evidente rilevanza nel giudizio di attendibilità delle persona offesa e, al contrario la Corte territoriale ha affermato l’inesistenza di moventi di calunnia che invece sono ravvisabili nell’interesse a sottrarsi al pagamento della sanzione amministrativa . Appropriazione indebita. Inoltre la Suprema Corte ha ritenuto fondato anche il secondo motivo di ricorso con il quale il ricorrente lamenta l’improcedibilità per il reato di appropriazione indebita per tardività della querela. Dall’esame degli atti la Cassazione ha rilevato l’insussistenza del fatto contestato come delitto di appropriazione indebita in quanto la condotta che si ipotizza come posta in essere sarebbe quella dell’uso non autorizzato del documento di identità, circostanza che non corrisponde al fatto tipico per il quale è stata pronunciata la sentenza di condanna . In conclusione il Collegio ha annullato la sentenza perché il fatto non sussiste in relazione al reato di appropriazione indebita e dispone il trasmettersi degli atti per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello per il residuo reato.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 marzo – 16 giugno 2018, n. 28158 Presidente Gallo – Relatore Di Paola Ritenuto in fatto 1. La Corte d’Appello di Cagliari, con sentenza in data 6/12/2016, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal Tribunale di Cagliari, in data 9/10/2014, nei confronti di M.G. , per i reati di cui agli artt. 483, 494 e 646 cod. pen., condannava alla pena ritenuta di giustizia l’imputato, ritenendo assorbito il delitto di cui all’art. 494 cod. pen. in quello di cui all’art. 483 cod. pen. I fatti oggetto del processo riguardavano la compilazione di una dichiarazione rivolta ad un Comando di polizia municipale, con cui il proprietario del veicolo contravvenzionato, M.G. , aveva indicato quale conducente del mezzo, nella circostanza dell’accertata violazione commessa il omissis , D.P. trascrivendo gli estremi della patente di guida del D. nella stessa dichiarazione risultava apposta la sottoscrizione del D. . Il D. aveva sporto querela nei confronti del M. , precisando di aver appreso della violazione a lui contestata il 20/6/2012, quando aveva ricevuto la notifica dell’avviso di mancata riscossione delle somme dovute per la sanzione ammnistrativa ricordava di aver effettuato con il nipote M.G. un viaggio a bordo della vettura del nipote, peraltro senza mai mettersi alla guida, nella giornata del omissis riteneva che il nipote avesse reso la falsa dichiarazione, e che si fosse illecitamente impossessato dei documenti di identità e di guida per trascriverli nella dichiarazione, non avendo egli mai smarrito i documenti e non avendoli mai consegnati ad alcuno. 2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato. 2.2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e il vizio di motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, riguardo all’affermazione di responsabilità dell’imputato rileva il ricorrente che la sentenza impugnata in primo luogo aveva affermato apoditticamente l’inesistenza di ragioni che potessero aver indotto la persona offesa a calunniare l’imputato, tralasciando di considerare l’evidente interesse del querelante a non vedersi attribuita la responsabilità per la violazione amministrativa contestata inoltre, la sentenza non aveva valutato l’esistenza negli atti processuali di elementi che denunciavano l’inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, come risultava dal silenzio tenuto dal querelante sulla circostanza della ricezione del verbale di contravvenzione, in epoca sicuramente anteriore rispetto al momento in cui aveva presentato la querela. 2.3. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione della legge penale e il vizio di motivazione, in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di appropriazione indebita, avendo omesso di pronunciare declaratoria di non doversi procedere per difetto della condizione di procedibilità. Sulla scorta delle indicazioni documentali fornite, doveva ritenersi che il D. avesse di certo avuto conoscenza del fatto di reato ipotizzato quantomeno nel corso dell’anno 2011 la querela risultava presentata il 22 luglio 2012 e, dunque, era di certo tardiva. 2.4. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione della legge penale e il vizio di motivazione, in relazione all’utilizzazione, quale mezzo di prova attestante il carattere apocrifo della sottoscrizione apposta sul modulo di assunzione di responsabilità, dell’accertamento grafologico effettuato dai Carabinieri il ricorrente censura la motivazione della sentenza che ha attribuito ai Carabinieri la qualifica di esperti nel procedere a tale accertamento. 2.5. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione della legge penale e il vizio di motivazione, in relazione alla statuizione della sentenza relativa all’impossibilità per il ricorrente di censurare il contenuto dell’accertamento operato dai Carabinieri, derivante dalla scelta processuale del rito abbreviato. 2.6. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione della legge penale e il vizio di motivazione, in relazione all’affermazione di responsabilità fondata esclusivamente sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, senza effettuare il necessario vaglio critico in ordine all’attendibilità di quelle dichiarazioni. Ritiene il ricorrente che, a fronte di versioni contrastanti tra loro e nessuna delle quali maggiormente attendibile, era obbligatorio l’esito assolutorio risultando contraddittoria o insufficiente la prova, tenendo conto anche dello stato d’incensuratezza dell’imputato in ogni caso, la versione fornita dall’imputato era maggiormente verosimile rispetto alla ricostruzione della vicenda fornita dal D. . Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto è fondato. 2.1. Il primo ed il quinto motivo di ricorso, che concernono entrambi la valutazione della rilevanza probatoria delle dichiarazioni della persona offesa, sono fondati. Le censure, sostenute dal richiamo degli atti processuali allegati al ricorso, risultano fondate in fatto, sia per l’argomento logico dell’interesse del D. a non vedersi contestata una violazione che lo obbligava al pagamento della relativa sanzione, sia per la contraddizione con la proposizione della querela solo nel momento della notifica dell’ultimo avviso di pagamento a distanza di due anni dall’accertamento dell’infrazione . Questi elementi, di evidente rilevanza nel giudizio di attendibilità della persona offesa, non sono stati considerati dalla sentenza impugnata che, al contrario, ha apoditticamente affermato l’inesistenza di moventi di calunnia fondati su dati oggettivi, movente che invece è ravvisabile nell’interesse a sottrarsi al pagamento della sanzione amministrativa. 2.2. Ad essi, vanno poi aggiunti gli evidenti errori di valutazione oggetto del terzo e del quarto motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in cui è incorsa la sentenza impugnata, in relazione al valore probatorio da assegnare ai giudizi espressi dal Comando dei Carabinieri sul carattere apocrifo della sottoscrizione apposta con il nome del D. sulla comunicazione inviata dall’imputato al comando di polizia municipale. La valutazione espressa dalla Corte d’appello è certamente erronea quanto alla statuizione relativa all’ostacolo per l’imputato, nel censurare la valenza degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini, per la sola circostanza della scelta del giudizio abbreviato tale opzione processuale non pregiudica evidentemente i poteri della difesa nella proposizione di argomenti logici, o di altra natura, per svalutare la portata probatoria degli elementi raccolti nelle indagini. Allo stesso modo, non è congruente con le censure sollevate il richiamo al costante orientamento di legittimità secondo il quale l’accertamento della falsità di un documento non impone necessariamente il ricorso ad accertamenti peritali, ove dagli atti processuali emergano ulteriori dati e circostanze, idonei a fondare il giudizio sulla falsità del documento. Nella fattispecie in esame, infatti, pur avendo a disposizione i documenti utili per la comparazione delle sottoscrizioni, raccolti appunto dalla polizia giudiziaria che aveva di fatto escluso la propria capacità di esprimere giudizi al riguardo, come invece affermato dalla sentenza impugnata, tanto da procedere all’acquisizione di saggi grafici che aveva poi trasmesso all’ufficio della Procura della Repubblica, per i successivi accertamenti , né il Tribunale né la Corte hanno considerato la necessità, in difetto di elementi di adeguata certezza quanto al carattere apocrifo della sottoscrizione apposta e contestata, di procedere ad accertamenti peritali. 3. La sentenza va, pertanto, annullata in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato, relativamente al delitto di cui all’art. 483 cod. pen., con rinvio al giudice d’appello per nuovo giudizio sul punto che tenga conto della necessità di rivalutare sia l’attendibilità della persona offesa, sia il materiale probatorio a disposizione per accertare il carattere apocrifo della sottoscrizione della persona offesa. 4. In relazione al secondo motivo di ricorso, va osservato che dall’esame degli atti emerge con evidenza l’insussistenza del fatto contestato e qualificato come delitto di appropriazione indebita la patente di guida, che nella contestazione si assume oggetto della condotta di appropriazione, non ha mai formato oggetto di affidamento da parte della persona offesa in favore dell’imputato, come risulta dalle stesse dichiarazioni sul punto del D. pertanto, la condotta che si ipotizza come posta in essere sarebbe quella dell’uso non autorizzato del documento di identità, circostanza che non corrisponde al fatto tipico per il quale è stata pronunciata la sentenza di condanna. Pur in assenza di un espresso motivo di ricorso sul punto, ricorrendo le condizioni previste dall’art. 129 cod. proc. pen., la sentenza va pertanto annullata senza rinvio, in relazione all’affermata responsabilità per il delitto di cui all’art. 646 cod. pen. perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 646 cod. pen. perché il fatto non sussiste dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte d’appello di Cagliari per nuovo giudizio sul residuo reato.