È reato di abbandono lasciare la bimba in auto per andare a fare la spesa

Nel reato di abbandono di minori o incapaci, qualsiasi condotta, attiva o omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo per la vita o l’incolumità del soggetto passivo, rappresenta l’elemento materiale dell’illecito.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 27705/18 depositata il 15 giugno. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze confermava la condanna dell’imputata per il reato di abbandono di minori, dopo aver lasciato la figlia di 2 anni sola all’interno della propria autovettura,parcheggiata con i vetri alzati e gli sportelli chiusi, mentre lei si recava a fare la spesa. Avverso la sentenza di secondo grado, l’imputata ricorre in Cassazione denunciando la non rilevanza dell’elemento materiale del reato di cui sopra, non avendo esposto la minore ad alcuna situazione di pericolo potenziale, visto anche l’esiguo lasso temporale in cui ella ha lasciato la figlia da sola in auto. L’elemento materiale e il dolo nel reato di abbandono. La Corte di Cassazione, con orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza, evidenzia come nel reato di abbandono di persone minori o incapaci l’elemento materiale è rappresentato da qualsiasi condotta , attiva o omissiva, che contrasti con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo del reato mentre il dolo ha carattere generico e consiste nella coscienza di abbandonare il soggetto passivo, il quale non ha la capacità di provvedere a se stesso nella predetta situazione di pericolo. Ed inoltre, continua questa Corte che, ai fini della sussistenza dell’elemento materiale dell’illecito, non è necessario che l’abbandono del soggetto minore o incapace sia definitivo, cosicché il reato sussiste anche nel caso della sua temporaneità e in difetto di un effettivo animus derelinquendi . Per questi motivi, la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 maggio – 15 giugno 2018, n. 27705 Presidente Palla – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la condanna di P.Y. per il reato di abbandono di minori, per aver lasciato, mentre lei si recava a fare la spesa, la figlia di 23 mesi sola all’interno della propria vettura, parcheggiata con i vetri alzati e gli sportelli chiusi. 2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, per il tramite del suo difensore, articolando sei motivi di ricorso. 2.1 Con il primo motivo deduce errata applicazione della legge penale in relazione agli articoli 591 c.p., 187 e 192 c.p.p., nonché vizi di motivazione e travisamento del fatto. Lamenta in proposito il ricorrente che non potrebbe ritenersi configurato il reato contestato, poiché, da un lato, il tenore letterale della norma presupporrebbe il distacco di un bene o di un soggetto in modo tendenzialmente definitivo ovvero per un lasso temporale talmente lungo che ragionevolmente lo faccia presumere dall’altro, non sarebbe stato violato neppure il dovere di custodia e cura evocato dalla Corte territoriale, essendosi l’imputata assicurata di aver ben posizionato la figlia sul suo seggiolino, di avere riscontrato che dormisse e di aver chiuso le portiere per impedire eventuali intrusioni di terzi. 2.2 Analoghe doglianze vengono dedotte con il secondo motivo. Secondo la ricorrente non potrebbe neppure ravvisarsi nei fatti contestati l’esposizione della minore ad una situazione di pericolo potenziale, in quanto la stessa, essendo stata assicurata con le cinture, non avrebbe potuto né cadere dal seggiolino, né azionare qualche meccanismo della vettura e metterla in moto . Inoltre, essendo state chiuse le portiere, nessuno avrebbe potuto introdursi nella vettura. Infine, l’esiguo lasso temporale in cui l’imputata ha lasciato la figlia da sola, non sarebbe sufficiente a costituire fonte del pericolo ipotizzato dai giudici del merito. 2.3 Anche con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione degli articoli 591, 43 c.p. 187 e 192 c.p.p., nonché vizi di motivazione e travisamento del fatto. Per il ricorrente non sarebbe neppure integrato l’elemento soggettivo del reato nella specie del dolo generico, in quanto la cura con cui la minore è stata riposta nel seggiolino e all’interno dell’auto chiusa, dimostrerebbe come l’imputata non volesse esporla a situazioni di pericolo. 2.4 Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’art. 530 c.p.p. comma II c.p.p, poiché la Corte d’Appello, sulla base delle considerazioni suesposte, avrebbe dovuto comunque pervenire ad una sentenza assolutoria, mentre con il quinto lamenta errata applicazione dell’art. 133 c.p. in merito alla commisurazione della pena. Con il sesto ed ultimo motivo eccepisce infine l’intervenuta prescrizione del reato. 1. Il ricorso è inammissibile. Considerato in diritto 2.1 primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente. Deve peraltro preliminarmente evidenziarsi l’inammissibilità di tutte le doglianze avanzate ai sensi dell’art. 606 lett. b c.p.p. in merito alla presunta violazione dei canoni di valutazione della prova. Per consolidato insegnamento di questa Corte, infatti, non è deducibile in questa sede sotto il profilo del vizio di violazione di legge - ma soltanto come vizio di motivazione - l’eventuale malgoverno delle regole di valutazione della prova contenute nell’art. 192 c.p.p. ovvero della regola di giudizio di cui all’art. 533 dello stesso codice, atteso che l’osservanza di tale disposizione non è prevista a pena di nullità, inutilizzabilità o decadenza ex multis Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567 Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, Pecorelli e altro, Rv. 271294 . Né vale in senso contrario la qualificazione del vizio dedotto operata dal ricorrente come error in iudicando in iure ai sensi, per l’appunto, della lett. b dell’art. 606 c.p.p., posto che tale disposizione, per altrettanto consolidato insegnamento di questa Corte, riguarda solo l’errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l’aggiramento del limite posto dalla citata lett. c dello stesso articolo della denunciabilità della violazione di norme processuali solo nel caso in cui tale violazione sia sanzionata nei modi succitati ex multis Sez. 3, n. 8962 del 3 luglio 1997, Ruggeri, Rv. 208446 Sez. 5, n. 12603 del 2 febbraio 2017, Segagni e altro, in motivazione . Inammissibili sono altresì le eccezioni di travisamento del fatto sollevate dalla ricorrente, trattandosi di vizio parimenti non deducibile in questa sede. 2.1 Ciò premesso, va ricordato che, per il costante insegnamento di questa Corte, nel reato di abbandono di persone minori o incapaci l’elemento materiale è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo ex multis Sez. 1, n. 35814 del 30 aprile 2015, Andreini,Rv. 264566 , mentre il dolo è generico e consiste nella coscienza di abbandonare il soggetto passivo, che non ha la capacità di provvedere a sé stesso, in detta situazione di pericolo ex multis Sez. 2, n. 10994/13 del 6 dicembre 2012, T., Rv. 255173 ,In proposito si è precisato altresì che, ai fini della sussistenza dell’elemento materiale, non è necessario che l’abbandono del soggetto passivo sia definitivo, talché il reato sussiste anche nel caso della sua temporaneità e in difetto di un effettivo animus derelinquendi. 2.2 Alla luce di questi consolidati principi deve innanzi tutto rilevarsi, quindi, la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, con il quale sostanzialmente si propone una interpretazione restrittiva della norma incriminatrice che non trova riscontro nei presunti limiti esegetici ricavati dalla sua lettera, posto che il verbo abbandonare vanta un orizzonte semantico ben più ampio di quello che gli assegna la ricorrente, la cui esegesi non tiene conto della ratio dell’incriminazione e di come il fatto tipico presupponga la violazione degli obblighi di custodia e cura. 2.3 Sotto altro profilo va osservato che, in coerenza con le sopra richiamate indicazioni ermeneutiche, la Corte territoriale ha ben individuato la situazione manifestamente pericolosa cui la minore era stata esposta, evidenziando come la stessa, lasciata sola in un’auto ermeticamente chiusa, esposta al sole nelle ore centrali della giornata senza alcuna forma di riparo, fosse concretamente esposta agli effetti negativi del progressivo surriscaldamento dell’abitacolo, anche e soprattutto tenuto conto della sua tenera età e della durata dell’assenza della madre. Ed in tal senso risulta del tutto priva di pregio la tesi sostenuta dalla difesa, secondo cui non potrebbe ritenersi violato il disposto di cui all’art. 591 c.p., per avere scrupolosamente adempiuto l’imputata ai doveri di custodia e di cura. Infatti gli accorgimenti adottati dalla madre assicurazione della minore al seggiolino e chiusura ermetica dell’abitacolo della vettura - sono stati idonei a neutralizzare solo alcuni dei pericoli cui la minore veniva esposta rimanendo da sola a bordo della vettura - pericoli peraltro generati proprio dal fatto di essere stata abbandonata senza sorveglianza alcuna - ma non certo quello rilevato dai giudici del merito, che risulta essere stato anzi acuito proprio dalla mancanza d’aria all’interno del veicolo. Ed in tal senso generici risultano altresì i rilievi svolti con il terzo motivo con riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, in quanto per l’appunto non tengono conto di quale sia stato l’effettivo profilo di pericolosità della condotta contestata ritenuto in sentenza, finendo per presupporre il dolo tipico come intenzionale. 2.4 Inammissibili sono altresì le censure relative all’insussistenza del ritenuto pericolo per l’incolumità della minore, che risultano intrinsecamente generiche e soprattutto non si confrontano con la specifica motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale in maniera coerente a risultanze processuali univocamente indicative della situazione di disagio fisico in cui si era venuta a trovare la minore a seguito della protratta esposizione al calore tanto che i sanitari intervenuti hanno dovuto provvedere ad idratarla . Parimenti generiche sono poi le obiezioni relative alla durata dell’assenza dell’imputata, assertivamente fondate sulle dichiarazioni di quest’ultima e che non contengono alcuna seria contestazione delle emergenze processuali di segno contrario citate dalla sentenza, mentre, quanto alla rilevanza del tempo trascorso in abbandono, le argomentazioni difensive si rivelano prive di pregio alcuno, non tenendo conto della tenera età della minore, come invece in maniera del tutto logica ha fatto la Corte di merito. Del tutto inconferente, infine, è l’argomentazione tratta dalla difesa dalla comparazione fra il caso di specie e l’esposizione di un minore al sole cocente dei mesi estivi, all’interno di un’auto in coda al traffico. Si rileva, infatti, come in quest’ultimo caso non verrebbe meno la continua vigilanza e cura del medesimo da parte del genitore, che potrebbe, ad esempio, accendere l’aria condizionata o abbassare i finestrini o, ancora, idratarlo. 3. Assolutamente generiche sono, infine, le doglianze sollevate con riferimento alla commisurazione della pena con il quinto motivo, mentre destituita di fondamento è l’eccezione di prescrizione sollevata con il sesto. Infatti il relativo termine - tenuto altresì conto del periodo di sospensione conseguente all’astensione del difensore all’udienza del 18 settembre 2013 - è maturato solo in data successiva alla pronunzia della sentenza impugnata e dunque, stante l’inammissibilità degli altri motivi di ricorso, la causa estintiva non è rilevabile in questa sede. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro duemila alla cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del d. lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.