Eroina occultata in ovuli nelle cavità corporali: esclusa la tenuità del fatto

L’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 spaccio di lieve entità , il giudice deve complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma sia in riferimento a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, che in riferimento all’oggetto materiale del reato quantità e qualità della sostanza stupefacente .

Sul tema si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26854/18, depositata il 12 giugno. La vicenda. La Corte d’Appello di Cagliari confermava la condanna di primo grado per detenzione a fini di spaccio di eroina, suddivisa in oltre 40 ovuli ed occultata nella cavità corporali. La difesa dell’imputato ha proposto ricorso per la cassazione della pronuncia dolendosi per il mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 spaccio di lieve entità sottolineando che il prevenuto era una mera pedina nelle mani di spacciatori che sfruttavano la sua disagiato condizione di richiedente asilo. Tenuità dello spaccio. Il ricorso si rivela privo di fondamento. La Corte di Cassazione ricorsa che, ai fini dell’applicabilità della fattispecie invocata dal ricorrente, il giudice deve complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma sia in riferimento a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, che in riferimento all’oggetto materiale del reato quantità e qualità della sostanza stupefacente . L’attenuante del fatto di lieve entità deve dunque essere esclusa allorquando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto dalla norma sia di lieve entità”. Il giudice di merito ha correttamente applicato tali principi escludendo la sussumibilità del fatto all’ambito applicativo dell’attenuante in parola. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 maggio – 12 giugno 2018, n. 26854 Presidente Piccialli – Relatore Montagni Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza di condanna, resa all’esito di giudizio abbreviato, dal Tribunale di Sassari il 19.07.2016, nei confronti di A.G. , per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, relativo alla detenzione a fine di spaccio della sostanza stupefacente di tipo eroina, pari a gr.462,02, che era suddivisa in 42 ovuli, che il prevenuto occultava nelle cavità corporee. Il Collegio evidenziava che il principio attivo presente nella partita di droga era pari al 50,1%, dal quale erano ricavabili n. 8.383 dosi medie singole da mg. 25. Riteneva che il richiamato dato quantitativo e le modalità di occultamento della sostanza stupefacente impedivano di qualificare la condotta nell’ambito della fattispecie di lieve entità. La Corte osservava che il trattamento sanzionatorio, con l’avvenuto riconoscimento delle attenuanti generiche, non era ulteriormente mitigabile. 2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore. Con il primo motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990. Osserva che il prevenuto ha svolto il ruolo di mera pedina, per le proprie disagiate condizioni di vita quale richiedente asilo, nel traffico di stupefacenti. L’esponente rileva che la Corte territoriale, a fronte di specifico motivo di censura, ha erroneamente fatto riferimento alla natura della sostanza drogante, pretermettendo la considerazione delle specifiche modalità dell’azione, indicative del carattere episodico della condotta. Con il secondo motivo la parte contesta la dosimetria della pena, pure a fronte della manifestata resipiscenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è destituito di fondamento. 2. Soffermandosi sul primo motivo, occorre considerare che, in riferimento alle condizioni per l’applicabilità dell’ipotesi di cui al V comma dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, secondo il prevalente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, al quale il Collego si conforma per condivise ragioni, ai fini della concedibilità o del diniego della fattispecie di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione mezzi, modalità e circostanze della stessa , sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa , dovendo escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4948 del 22/01/2010, dep. 04/02/2010, Rv. 246649 . Nel caso di specie, la Corte di Appello, nel censire le doglianze che erano state dedotte del prevenuto, ha dato corso ad una complessiva valutazione dei termini di fatto della vicenda in esame, conducente ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto potesse considerarsi di lieve entità . Il Collegio ha rilevato che la quantità di principio attivo, il numero di dosi ricavabili oltre ottomila dalla droga detenuta e le modalità di occultamento all’interno del corpo umano, erano evenienze che non consentivano di ritenere integrata l’ipotesi attenuata. Al riguardo, il Collegio ha insindacabilmente osservato che le richiamate modalità dell’azione apparivano di particolare insidiosità, in quanto idonee a vanificare i controlli delle forze dell’ordine, se pure realizzati mediante l’impiego di cani appositamente addestrati. Orbene, le valutazioni espresse dal giudice del gravame, nell’apprezzare la non sussumibilità del fatto per il quale si procede nell’ambito applicativo dell’ipotesti di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, non presentano le dedotte aporie di ordine logico e risultano perciò immuni da censure rilevabili in sede di legittimità. La Corte territoriale, invero, nei termini sopra richiamati, ha soddisfatto l’obbligo motivazionale afferente alla qualificazione giuridica del fatto ed ha giustificato il mancato riconoscimento dell’autonoma fattispecie di lieve entità, sviluppando un percorso argomentativo saldamente ancorato agli acquisiti dati di fatto e non manifestamente illogico e, come noto, sfugge dall’orizzonte della cognizione di legittimità, la possibilità di procedere ad una considerazione alternativa degli elementi di fatto, scrutinati in sede di merito. 3. Il secondo motivo di ricorso è infondato. Come noto, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita Sez. VI 22 settembre 2003, n. 36382 Rv. 227142 o con formule sintetiche tipo si ritiene congrua , vedi Sez. VI 4 agosto 1998 n. 9120, Rv. 211583 , ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico Sez. III 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298 . Si tratta di evenienza che non sussiste nel caso di specie. La Corte di Appello, infatti, ha chiarito che il trattamento sanzionatorio inflitto dal primo giudice non poteva essere mitigato. Ciò in quanto la pena base era stata individuata nel minimo edittale, quanto alla reclusione in sentenza, si è poi sottolineato che la riduzione di pena, per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, in misura inferiore a quella massima, si giustificava in considerazione delle richiamate modalità della condotta. 4. Al rigetto del ricorso, che si impone, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.