Avvocato in gravidanza: il riconoscimento del legittimo impedimento non ha efficacia retroattiva

Nel vigore delle disciplina antecedente alla l. n. 205/2017 c.d. Legge di Bilancio 2018 , lo stato di gravidanza del difensore di fiducia dell’imputato, invocato nell’istanza di rinvio dell’udienza, deve essere valutato dal giudice secondo il suo libero convincimento quale prova dell’assoluto impedimento a comparire secondo le risultanze del certificato medico.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26614/18, depositata l’11 giugno. Avvocato di fiducia alla 31° settimana di gravidanza. La Corte d’Appello di Milano confermava la condanna di prime cure di un imputato accusato di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato. Avverso tale pronuncia, propone ricorso il difensore di fiducia dell’imputato deducendo violazione del diritto di difesa dell’imputato nonché del diritto alla tutela della propria salute. Deduce infatti l’avvocato di aver inviato alla cancelleria della Corte d’Appello istanza di rinvio per legittimo impedimento con certificazione medica ospedaliera attestante lo stato di gravidanza 31° settimana . La Corte aveva però rigettato l’istanza sostenendo la mancanza di specifiche attestazioni sanitarie indicative del pericolo derivante dall’espletamento dell’attività professionale. In relazione a tale profilo, l’avvocato sottolinea la questione di legittimità costituzionale dell’art. 420-ter c.p.p. nella parte in cui non prevede il rinvio dell’udienza su istanza del difensore in virtù del proprio stato di gravidanza. Legittimo impedimento? Il Collegio ritiene infondata la censura avendo la Corte territoriale correttamente applicato la regula iuris di cui all’art. 420- ter , comma 5, c.p.p. secondo cui nel giudizio abbreviato d’appello, soggetto al rito camerale, ove il difensore non comparso non abbia correttamente dedotto legittimo impedimento il procedimento può proseguire senza necessità di provvedere alla sua sostituzione. In relazione allo stato di gravidanza del difensore, il legislatore ha recentemente introdotto l’art. 420- ter c.p.p., il cui comma 5- bis dispone che agli effetti di cui al comma 5 il difensore che abbia comunicato prontamente lo stato di gravidanza si ritiene legittimamente impedito a comparire nei due mesi precedenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi ad esso . La norma, precisa però la S.C., non ha carattere retroattivo e non può dunque trovare applicazione nel caso di specie. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 marzo – 11 giugno 2018, n. 26614 Presidente Paoloni – Relatore Vigna Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Tribunale di Monza in data 7 ottobre 2015 che condannava T.S. alla pena di mesi sei di reclusione in relazione alla commissione del reato di resistenza a pubblico ufficiale e di danneggiamento aggravato dell’automezzo di servizio degli operanti. Il compendio probatorio è costituito dalla comunicazione di notizia di reato, nonché dai certificati medici redatti nei confronti dei Carabinieri attestanti lesioni guaribili in 10 giorni. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di fiducia dell’imputato deducendo i seguenti motivi 2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 599, 127, 420 ter cod. proc. pen È stato violato il diritto di difesa dell’imputato nonché il diritto del difensore alla tutela della propria salute. Il difensore aveva inviato presso la cancelleria della Corte d’appello istanza di rinvio per legittimo impedimento, attestando, con certificazione medica ospedaliera, di trovarsi in stato avanzato di gravidanza trentunesima settimana . La Corte rigettava l’istanza ritenendo che una tale motivazione non costituisse impedimento del difensore alla partecipazione dell’udienza mancando specifiche attestazioni sanitarie indicative del pericolo derivante dall’espletamento dell’attività professionale. Disponeva procedersi oltre e nominava un difensore di ufficio ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc. pen 2.2. Deve essere sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 599, 127 e 420 ter cod. proc. pen. in relazione agli artt. 24, 31 e 3 della Costituzione nella parte in cui non prevedono espressamente che il giudice debba disporre il rinvio dell’udienza se richiesto dal difensore legittimamente impedito per motivi di salute e, in particolare, per maternità clinicamente documentata secondo le leggi speciali in materia. Deve essere sollevata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 420-ter cod. proc. pen. per violazione degli articoli 24, 31 e 3 della Costituzione nella parte in cui non prevede espressamente che le udienze devono essere sempre rinviate laddove il difensore ne faccia istanza in virtù del proprio stato di gravidanza. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli articoli 62-bis e 133 cod. pen., in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di appello ha semplicemente richiamato la presenza di numerosi precedenti a carico di T. e la commissione del fatto in sé. I precedenti di T. sono di non particolare gravità e risalenti nel tempo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve, conseguentemente, essere dichiarato inammissibile. 2. Quanto al primo motivo, deve evidenziarsi che, secondo il prevalente orientamento di questa Corte di legittimità, nel giudizio abbreviato di appello, soggetto al rito camerale, si applica l’art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen., che impone il rinvio del procedimento in caso di dedotto legittimo impedimento del difensore, fermo restando che, ove il difensore non comparso non abbia dedotto legittimo impedimento, il procedimento può proseguire senza necessità di provvedere alla sua sostituzione ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen. vedi Sez. 2, n. 8 del 16/11/2016, dep. 02/01/2017, Rv. 268765 vedi anche Sez. 3, n. 35576 del 05/04/2016, Rv. 267632 . La Corte distrettuale ha fatto buon uso di tale regula iuris perché ha dapprima ritenuto non legittimo l’impedimento fornendo adeguata motivazione sul punto e ha successivamente ha disposto procedersi oltre, provvedendo anche alla non dovuta nomina di un difensore di ufficio ex art. 97 comma 4 cod. proc. pen Mette conto rilevare che, con specifico riferimento allo stato di gravidanza, il nuovo testo dell’art. 420-ter cod. proc. pen., in vigore dal 1.01.2018, prevede al comma 5-bis che Agli effetti di cui al comma 5 il difensore che abbia comunicato prontamente lo stato di gravidanza si ritiene legittimamente impedito a comparire nei due mesi precedenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi ad esso . Trattasi di una norma non avente valore retroattivo, stante la sua natura processuale e che, in ogni caso, non poteva trovare applicazione nel caso de quo, posto che mancavano più di due mesi alla data del parto del difensore. 3. Non sfugge al giudizio di manifesta infondatezza anche il secondo motivo di ricorso. La Corte di appello si è correttamente attenuta all’insegnamento per il quale il solo stato di avanzata gravidanza non può di per sé costituire, anche per nozione di comune esperienza, causa di legittimo impedimento in mancanza di specifiche attestazioni sanitarie indicative del pericolo derivante dall’espletamento delle attività ordinarie e/o professionali Sez. 5, n. 8129 del 14/02/2007 Rv. 236526 in fattispecie relativa alla 34 settimana Sez. 4, n. 46564 del 2004, in fattispecie relativa a gravidanza alla 37 settimana Sez. 5, 14 dicembre 2005, Santelli, in fattispecie relativa a gravidanza alla 39 settimana . Il giudice, nel valutare, secondo il proprio libero convincimento, la prova dell’assoluto impedimento a comparire, ben può disattendere la prognosi contenuta in un certificato medico senza ricorrere a nuovi accertamenti ed avvalendosi di comuni regole di esperienza o di conoscenze mediche di base, specie se si considera, tra l’altro, che la legge richiede l’assoluta impossibilità di comparire e che la prognosi di una malattia è pur sempre un giudizio fondato sulla probabilità e non sulla certezza Sez. 1, n. 405 del 1998 . Tale principio, a maggior ragione, deve essere applicato nella fattispecie in esame, nella quale il difensore dell’imputato non risultava affetta da alcuna malattia e, se è vero che dalla certificazione medica risultava il suo stato di gravidanza alla trentunesima settimana, nondimeno, come ha correttamente rilevato la Corte, mancava qualsiasi attestazione del sanitario circa la presenza di uno stato di malattia ovvero di minaccia di parto prematuro e, dunque, dell’assoluta impossibilità per il professionista di presenziare al dibattimento. 3.2. Né ha rilievo, in proposito, sotto il profilo della illegittimità costituzionale della norma, l’aspetto sottolineato dal ricorrente relativo alla tutela della maternità della professionista, perché, secondo l’orientamento ormai consolidato delle sezioni civili di questa Corte, l’indennità di maternità prevista dalla L. 11 dicembre 1990 n. 379, art. 1 in favore della libera professionista iscritta ad una cassa di previdenza e assistenza di cui alla tabella A allegata alla stessa legge, spetta per i periodi di gravidanza e di puerperio considerati dalla norma, anche se in detti periodi la professionista non si sia astenuta dall’attività lavorativa, considerata in particolare la finalità di speciale tutela perseguita dalla legge medesima che ha voluto che la professionista, per assolvere in modo adeguato alla funzione materna, non sia turbata da alcun pregiudizio alla sua attività professionale v., per tutte, Cass., Sez. Lav., Sentenza n. 7447 del 1999 Sez. Lav., sent. n. 7857 del 2003 . Alla luce di quanto sopra esposto, le questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 420-ter cod. proc. pen. appaiono manifestamente infondate. 4. È inammissibile il terzo motivo di ricorso, posto che la Corte territoriale motiva puntualmente in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche facendo riferimento all’assenza di elementi che possano essere positivamente valutati, ai numerosi precedenti penali di T. , alla gravità del fatto commesso senza apparente motivo e mettendo in serio pericolo l’incolumità dei militari. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è, quindi, giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419 , anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163 Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244 . Nel caso in esame, peraltro, la Corte territoriale, a fronte della mancata indicazione di elementi positivi, risulta avere individuato la valenza ostativa alla invocata concessione anche in forza di altri elementi rispetto a quelli censurati nel ricorso, ossia l’evidente gravità dei fatti e i precedenti penali dell’imputato. Trattasi, all’evenienza, di circostanze attinenti sia alla gravità del reato che alla personalità del colpevole che rendono congruo il giudizio negativo espresso dal giudice del merito che risulta, dunque, incensurabile in sede di legittimità. 5. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.