Opposizione alla confisca di prevenzione: la buona fede della banca creditrice deve essere prontamente dimostrata

La confisca è opponibile all’istituto bancario creditore quando lo stesso non dimostri positivamente di aver fatto il necessario per impedire che, attraverso la concessione di un mutuo, di per sè lecita, il contratto bancario non divenisse strumento di reimpiego di illecita ricchezza, secondo uno standard - valutato ex ante ed in concreto – parametrato alle circostanze della contrattazione .

Lo ha ribadito la Cassazione con sentenza n. 24670/18, depositata il 31 maggio. Il caso. Il Tribunale di Milano rigettava la domanda proposta da un istituto bancario volta ad ottenere l’ammissione del credito vantano nei confronti del convenuto in seguito alla concessione allo stesso di un mutuo fondiario a garanzia del cui rimborso veniva iscritta ipoteca sul bene immobile acquistato del mutuatario, poi sottoposto a confisca di prevenzione. Il Tribunale aveva ritenuto giustificata la ritenuta non insinuablità del credito, sostenendo che il richiedente non aveva assolto l’onere probatorio in relazione alla buona fede del mutuante circa la strumentalità del credito all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego , rilevando sul punto che l’atto della concessione del finanziamento la banca aveva svolto una istruttoria solo formale e lacunosa, senza accertare nel concreto la situazione reddituale del mutuatario. Contro il citato provvedimento l’istituto bancario ha proposto ricorso per cassazione. La buona fede. La Suprema Corte ha premesso che il ricorso della banca si incentra sull’opponibilità della confisca al terzo di buona fede e, dunque, sull’ammissibilità del credito derivante da mutuo nella procedura di prevenzione patrimoniale di verifica ex art. 52 d.lgs. n. 159/2001 Codice antimafia . La buona fede del terzo creditore assistito da ipoteca, iscritta sul bene soggetto a confisca prima del sequestro, è condizione necessaria per opporre il diritto reale di garanzia al provvedimento nel caso in cui l’erogazione del credito sia stata – come nella specie – oggettivamente funzionale all’attività illecita del prevenuto . I Giudici di legittimità precisano che la buona fede è tradotta in una integrazione di adempimenti volti alla verifica del merito creditizio, estendendosi alla analisi prognostica, secondo gli indicatori del caso concreto, dell’esclusione di rischi di strumentalizzazione del sistema bancario ai fini illeciti, nei limiti della ragionevole esigibilità . Gli oneri dell’istituto bancario. Continua la Cassazione evidenziando che gli intermediari finanziari e gli operatori bancari devono svolgere accertamenti funzionali ad obblighi di segnalazione in quanto coinvolti – secondo un principio solidaristico – nella prevenzione del riciclaggio e dell’illecita accumulazione di ricchezza . Da ciò discende che la banca non è un semplice terzo in buona fede rispetto all’interesse statuale sulla prevenzione e repressione dell’illecito e, per questo motivo, ha l’onere di dimostrare l’assenza di elementi tali a far sorgere il convincimento che le operazione bancarie siano collegate alle attività illecite e in ipotesi di indici di criticità di averli superati mediante indagini adeguate, nei limiti di un apprezzabile sacrifico e della ragionevole esigibilità, parametrata alle circostanze del concreto contesto . In conclusione la confisca è opponibile all’istituto bancario creditore se quest’ultimo non offra la prova positiva di aver fatto tutto il necessario per impedire che il contratto bancario non divenisse strumento di reimpiego di illecita ricchezza, secondo uno standard - valutato ex ante ed in concreto - parametrato alle circostanze della contrattazione . In applicazione dei citati principi, secondo la Suprema Corte, la valutazione del Tribunale circa la mancata prova concreta di quanto richiesto da parte della banca per dimostrare la sua buona fede è incensurabile stante le comprovate negligenze istruttorie nella fase precontrattuale dell’erogazione del credito. Per questi motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 aprile – 31 maggio 2018, numero 24670 Presidente Sabeone – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda proposta da Veneto Banca s.p.a. ai sensi dell’art. 59, comma VI, d.lgs. 159/2011, volta all’ammissione del credito vantato nei confronti di T.L. e della moglie, S.F. , a seguito della concessione ai medesimi di un mutuo fondiario a garanzia del cui rimborso era stata iscritta ipoteca sul bene immobile acquistato del mutuatario, poi sottoposto a confisca di prevenzione. Il Tribunale ha respinto l’opposizione avverso il provvedimento di esclusione del giudice delegato ritenendo giustificata, in particolare, la ritenuta non insinuabilità del credito, non avendo l’istante assolto l’onere probatorio in merito alla buona fede del mutuante sulla strumentalità del credito all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, avendo svolto all’atto della concessione del finanziamento una istruttoria solo formale e comunque lacunosa, essendo stati omessi adeguati accertamenti sulla situazione reddituale del mutuatario, falsamente rappresentata all’istituto di credito, in presenza di anomalie nella fase successiva alla instaurazione del rapporto bancario. 2. Avverso il provvedimento ricorre a mezzo del proprio difensore e procuratore speciale Veneto Banca s.p.a. articolando tre motivi. 2.1 Con il primo, deduce violazione dell’art. 52 d.lgs. 159/2011 in ordine all’esclusione del requisito della buona fede dell’istante nella concessione del credito, rilevando in proposito come il Tribunale avrebbe ravvisato a carico della banca violazioni della normativa antiriciclaggio invece puntualmente osservata nella fase istruttoria in riferimento alla tipologia dell’operazione, essendo incontestata la falsità della documentazione prodotta dal mutuatario, non apprezzabile secondo i parametri dell’ordinaria diligenza dell’operatore finanziario, e non essendo, peraltro, imposta alla banca da qualche prescrizione normativa, né dalla prassi bancaria come invece sostenuto dal Tribunale - anche la verifica della effettiva percezione dei redditi dichiarati. 2.2 Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione per avere il Tribunale interpretato gli indici sintomatici di anomalia del rapporto bancario, inferendone il mancato assolvimento dell’onere di dimostrazione della buona fede, con valutazione ex post, valorizzando circostanze - quali il versamento di contanti sul conto corrente di appoggio, su cui non erano stati canalizzati gli stipendi di cui era stata documentata la percezione, ma sul quale sono state rilevate somme di lecita provenienza sopravvenute alla fase genetica di concessione del mutuo, travisando l’assetto delle prescrizioni che, su diversi livelli, regolano l’attività bancaria e declinano, in concreto, il canone di diligenza esigibile. 2.3. Con il terzo motivo, deduce violazione di norme di cui si debba tener conto dell’applicazione della legge penale in riferimento all’art. 15 d.lgs. 231/2007 ed all’art. 2 delle istruzioni operative per l’individuazione di operazioni sospette, emanate dal Governatore della Banca d’Italia con provvedimento del 12 gennaio 2001. Il tribunale ha erroneamente ritenuto insoddisfatti gli adempimenti strumentali di verifica della clientela, temporalmente collocati all’atto dell’erogazione del mutuo, invece compiutamente adempiuti dalla banca in osservanza della normativa antiriciclaggio richiamata e delle prassi bancarie, ingiustificatamente omettendo di riconoscere come la stessa banca sia stata vittima di raggiro in conseguenza della produzione di falsa documentazione reddituale, circostanza invece valutata in sede di prevenzione. Così come sono state considerate inadempiute prescrizioni introdotte dalla Banca d’Italia solo nel 2013, in epoca successiva all’instaurazione del rapporto di mutuo. 3. Con requisitoria scritta in data 29 marzo 2018, il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. 2. Ai fini della valutazione di ammissibilità del ricorso, va innanzitutto precisato come l’istanza di ammissione al pagamento del credito del terzo titolare di ipoteca giudiziale su bene oggetto di confisca di prevenzione divenuta definitiva, introduca un incidente di esecuzione che viene definito con provvedimento ricorribile per cassazione per l’intero spettro dei motivi deducibili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. penumero . Possono essere, pertanto, dedotti con il ricorso - come ha fatto l’odierna ricorrente - anche i vizi della motivazione del provvedimento impugnato. 3. Va, ulteriormente rilevato in premessa come non sia oggetto di contestazione la strumentalità del credito rispetto all’attività criminosa del mutuatario, risultando dal provvedimento impugnato che il mutuo è stato - parzialmente - rimborsato mediante risorse di origine illecita, in considerazione dell’assenza di qualsivoglia lecita fonte di reddito e della comprovata dedizione del T. , sin dal 2003 ed in coincidenza temporale con l’instaurazione del rapporto con Veneto Banca S.p.a., ad attività, tra l’altro, di narcotraffico, anche internazionale, come accertato nel procedimento di prevenzione, e non avendo svolto sul punto il ricorrente alcuna censura. Trattasi, dunque, di vincolo di strumentalità passivo, nel senso che il contratto di mutuo costituisce mezzo di auto riciclaggio, laddove, invece, il nesso di strumentalità attivo postula la destinazione del finanziamento alla consumazione di attività criminosa. Il ricorso si incentra, invece, sull’opponibilità della confisca al terzo di buona fede e, dunque, sull’ammissibilità del credito derivante da mutuo nella procedura di prevenzione patrimoniale di verifica ex art. 52 d.lgs. 159/2011. Ed in tal senso rileva la buona fede del terzo creditore assistito da ipoteca, iscritta sul bene assoggettato a confisca anteriormente al sequestro, in quanto questa costituisce condizione necessaria per l’opponibilità del diritto reale di garanzia al provvedimento ablatorio solo nell’ipotesi in cui l’erogazione del credito sia stata - come nella specie - oggettivamente funzionale all’attività illecita del prevenuto Sez. 5, Sentenza numero 46711 del 03/10/2016, Banca Del Lavoro Del Piccolo Risparmio S.p.a. Gruppo Popolare Pugliese, Rv. 268418 . 4. In riferimento alla questione proposta, va rilevato come, secondo il consolidato insegnamento di legittimità, ai fini dell’opponibilità del diritto di garanzia reale su bene oggetto del provvedimento di confisca di prevenzione, non è sufficiente che l’ipoteca sia stata costituita mediante iscrizione nei registri immobiliari in data antecedente al sequestro o al provvedimento ablativo, ma è richiesta l’inderogabile condizione della buona fede e dell’affidamento incolpevole del creditore ipotecario, da desumersi sulla base di elementi il cui onere di dimostrazione grava sul medesimo creditore ex multis Sez. 1, numero 8015 del 6 febbraio 2007, Servizi Immobiliari Banche S.i.b. S.p.a., Rv. 236364 Sez. 1, numero 30326 del 29 aprile 2011, Mps Gestione Crediti Banca S.p.a. e altri, Rv. 250910, Sez. 1, numero 44515 del 27 aprile 2012, Intesa San Paolo S.p.a. e altri, Rv. 253827 cfr. Corte Cost. sent. numero 1/1997 . 4.1. Ed invero, in materia di misure di prevenzione patrimoniale, ai fini dell’ammissione del credito garantito da ipoteca iscritta, anteriormente al sequestro, su un bene sottoposto a confisca, una volta dimostrato il nesso di strumentalità del credito rispetto all’attività illecita del prevenuto, è necessario che il creditore dia prova della propria buona fede, dimostrando, con riferimento al momento della stipula del contratto, l’estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all’attività criminosa e un errore scusabile sulla situazione apparente del debitore ex multis Sez. 6, Sentenza numero 25505 del 02/03/2017, Rv. 270028, N. 32524 del 2015 Rv. 264374, N. 41353 del 2015 Rv. 264655, N. 50018 del 2015 Rv. 265930 . In tal senso, si è altresì chiarito come l’onere probatorio a carico del terzo abbia ad oggetto la dimostrazione del suo affidamento incolpevole, ingenerato da una situazione di oggettiva apparenza, che rende scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza Sez. 5, numero 6449 del 16/01/2015, Banca Monte Paschi Siena S.p.a Rv. 262735, Sez. 5, Sentenza numero 15328 del 18/03/2009, Rv. 243610, Sez. 1, numero 2501 del 14 gennaio 2009, San Paolo Imi S.p.a, Rv. 242817 . Di guisa che l’onere della prova viene a declinarsi in triplice direzione, investendo la trasparenza delle operazioni, la loro rispondenza alla disciplina antiriciclaggio, l’assenza di elementi tali da far insorgere il ragionevole convincimento relativo all’inerenza delle stesse ad attività illecite. 4.2. Siffatto orientamento ha ricevuto l’autorevole avvallo delle Sezioni Unite Civili di questa Corte che, interpretando l’art. 52 del d.lgs. numero 159 del 2011, hanno sottolineato come, pur non contenendo la menzionata disposizione previsioni espresse in termini di prova - non precisando a chi spetti dimostrare la buona fede e l’affidamento incolpevole - debba comunque ritenersi che l’elaborazione giurisprudenziale negli anni maturata, soprattutto in ambito penale, e la veste sostanziale di attore che assume il creditore nel procedimento giurisdizionale di ammissione, convergano nel porre a carico di quest’ultimo la prova positiva delle condizioni per l’ammissione al passivo del credito, essendo tale conclusione conforme al canone ermeneutico dell’intenzione del legislatore, dovendosi supporre che il legislatore razionale - quando emana una legge - conosca il diritto vivente facendolo normativamente proprio qualora non provveda, come nel caso di specie, ad innovarlo Sez. Unumero Civili, Sentenza numero 10532 del 7 maggio 2013, Rv. 626570 . 5. Nella delineata prospettiva, all’onere della prova che grava sul creditore corrisponde un qualificato obbligo di motivazione del giudice, sicché una volta che l’istante abbia allegato elementi idonei a comprovare, in relazione alle condizioni del caso concreto, la buona fede nella concessione del credito, il giudice che intenda respingere l’istanza di ammissione è tenuto a fornire adeguata giustificazione riguardo le ragioni per cui tali elementi debbano ritenersi insufficienti. Il medesimo giudice, ai sensi dell’art. 52, comma 3, del D.Lgs. numero 159 del 2011, deve in particolare tenere conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi. I predetti parametri sono integrati dalle norme di cui alla legge 231/2007 e dalle disposizioni che, su diversificati piani normativi, dettano obblighi di adeguata verifica della clientela da parte degli intermediari finanziari e degli altri soggetti esercenti attività finanziaria con finalità di prevenzione del riciclaggio e del reimpiego della illecita accumulazione di ricchezza. Tali parametri normativi di giudizio non possono, peraltro, ritenersi né esclusivi, né vincolanti. Sicché il giudice deve obbligatoriamente tener conto degli stessi, ma può prenderne in considerazione altri non espressamente menzionati dal legislatore ed anche disattendere quelli normativamente previsti, purché, anche in tal caso, supporti con adeguata motivazione la decisione Sez. 5, numero 6449 del 16/01/2015, cit. . 6. In riferimento al requisito della buona fede, va poi rilevato come - nel sistema declinato dalla normativa vigente - la stessa non possa essere intesa nella limitata e soggettiva accezione di mancanza di consilium fraudis, ma debba essere, piuttosto, interpretata in senso oggettivo. Siffatta opzione ermeneutica discende dalla ratio delle disposizioni normative che, a vari livelli, prescrivono agli intermediari finanziari, agli operatori bancari e ai professionisti di svolgere gli accertamenti funzionali ad obblighi di segnalazione, in quanto coinvolti - secondo un principio solidaristico nella prevenzione del riciclaggio e dell’illecita accumulazione di ricchezza. In subjecta materia, difatti, il principio di correttezza e buona fede deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 della Costituzione, che esplica la sua rilevanza orizzontale nell’imporre ai soggetti istituzionalmente coinvolti nel circuito finanziario il dovere di agire in modo da preservare l’interesse statuale alla prevenzione ed al contrasto della dissimulazione e del reimpiego di capitali di origine illecita, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In tal senso, la buona fede riempie di contenuto positivo il generale dovere di solidarietà, e si traduce in una integrazione degli adempimenti finalizzati alla verifica del merito creditizio, estendendosi alla analisi prognostica, secondo gli indicatori del caso concreto, dell’esclusione di rischi di strumentalizzazione del sistema bancario a fini illeciti, nei limiti della ragionevole esigibilità. Di conseguenza, la misura della correlata diligenza non si limita - come anticipato - al formale rispetto di prescrizioni normative e regolamentari, ma si modella sulle specifiche circostanze, soggettive ed oggettive, che possano rivelare forme di abuso del diritto. Ciò in quanto la banca non è semplice terzo in buona fede rispetto all’interesse statuale alla prevenzione e repressione del riciclaggio, ma agisce attraverso un diretto coinvolgimento con le istituzioni, in un circuito allargato inteso ad assicurare la legalità delle operazioni di trasferimento e reimpiego di ricchezza. 7. Nel quadro così delineato, e sotto il versante dell’onere di positiva dimostrazione di buona fede, la banca non può limitarsi a rivendicare di aver assolto l’ordinaria diligenza attraverso il rispetto di prescrizioni generali, ma i suoi obblighi si integrano attraverso regole cautelari commisurate al caso concreto, secondo modelli di prevenzione del rischio delineati dalla legge e riempiti di volta in volta, secondo le circostanze in cui sorge il rapporto, di positivi doveri strumentali di verifica e controllo. In altri termini, deve offrire la positiva dimostrazione dell’assenza di elementi tali da far insorgere il ragionevole convincimento relativo all’inerenza delle operazioni bancarie ad attività illecite e, in ipotesi di indici di criticità, di averli superati mediante indagini adeguate, nei limiti di un apprezzabile sacrificio e della ragionevole esigibilità, parametrata alle circostanze del concreto contesto. Ne discende che la confisca è opponibile alla banca creditrice ove la medesima non offra la dimostrazione positiva di aver fatto quanto necessario ad impedire che, attraverso la stipula del mutuo, ex se lecita, il contratto bancario non divenisse strumento di reimpiego di illecita ricchezza, secondo uno standard valutato ex ante ed in concreto - parametrato alle circostanze della contrattazione. 8. Alla luce dei principi delineati, il provvedimento impugnato non è censurabile. 8.1 Il tribunale di Milano ha tratto la conclusione del fallimento della prova della buona fede del creditore da comprovate negligenze istruttorie nella fase precontrattuale dell’erogazione del credito. Risulta, difatti, dal testo del provvedimento impugnato che le buste paga e gli allegati modelli CUD presentassero evidenti irregolarità, in quanto - oltre ad apparire incompleti - si presentavano privi di sottoscrizione e di attestazione di trasmissione agli uffici competenti. Siffatte anomalie, rilevabili alla stregua della diligenza esigibile da parte dell’operatore bancario delegato all’istruttoria e calate nel contesto di un rapporto bancario esordiente, avrebbero dovuto imporre verifiche più pregnanti riguardo l’effettiva percezione di redditi da parte degli aspiranti mutuatari, non rivelandosi cautela adeguata e sufficiente la mera consultazione del registro delle imprese in cui figurava la ditta presso la quale, apparentemente, il T. aveva documentato di lavorare. Esistevano, dunque, elementi tali da indurre il mutuante ad assumere nella fase istruttoria maggiori informazioni, anche mediante accesso alle banche dati consultabili dagli operatori finanziari utili ad escludere il concreto rischio di pagamento del piano di ammortamento del mutuo con risorse illecite. Trattasi all’evidenza di obblighi integrativi non normativamente previsti siccome ancorati alla diligenza specifica del buon banchiere da declinarsi, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 231/2007, anche in relazione alla funzione sociale a questi assegnata dalle politiche di prevenzione delle attività di riciclaggio, che non possono risolversi nel mero controllo formale. Controllo nel caso di specie rivelatosi, peraltro, superficiale stante l’evidenza di specifici indicatori, quali - oltre quelli già segnalati - il fatto che i mutuanti non erano clienti con i quali la banca aveva avuto pregressi e consolidati rapporti fiduciari, e che gli stessi non avevano domiciliato presso il conto corrente acceso per l’ammortamento del mutuo l’accredito degli stipendi falsamente documentati. L’esistenza di pregressi rapporti contrattuali tra le parti è, difatti, elemento rilevante nella valutazione della buona fede V. Sez. 1, Sentenza numero 26356 del 08/06/2016, Rv. 270444 , mentre, nel caso di specie, la banca non disponeva di alcun elemento conoscitivo antecedente al richiesto finanziamento V. Sez. 1, Sentenza numero 26356 dell’08/06/2016, Rv. 270444 , tale da fondare il ragionevole affidamento sull’esclusione della inerenza dell’operazione bancaria ad attività illecite. 8.2. Di siffatti indici la banca avrebbe dovuto tener conto nello specificare, in concreto, l’adeguatezza dell’istruttoria non già - e non solo - rispetto all’erogazione del mutuo, bensì alla verifica dell’assenza di rischi di illecita strumentalizzazione del rapporto. Istruttoria integrativa ragionevolmente esigibile in quanto sarebbe bastato verificare l’effettiva percezione dei redditi, richiedendo agli - apparenti datori di lavoro riscontro, ovvero consultando l’anagrafe tributaria e previdenziale. Il ricorrente ha, invece, dimostrato di aver svolto solo gli ordinari accertamenti relativi alla verifica del merito creditizio accertamenti posti a tutela dell’interesse proprio della banca di contenere il rischio - contrattuale - di inadempimento. Non ha, invece, dimostrato di aver assolto agli ulteriori obblighi che le circostanze del caso concreto imponevano al fine di prevenire l’ulteriore rischio - di rilevanza pubblicistica - di bonifica di risorse illecite, provenienti da reato, mediante la strumentalizzazione del contratto di mutuo. 8.3. La valutazione del tribunale - che ha escluso l’affidamento incolpevole in presenza di specifici indicatori di anomalia nella fase genetica del rapporto - si è correttamente orientata non già a stabilire se la concessione del finanziamento sia stata o meno espressione di buona gestione bancaria, come rivendicato dalla ricorrente, ma se finanziare il T. , in presenza di obiettiva inattendibilità dell’istruttoria, sia stata scelta rimproverabile secondo il canone di buona fede. E le valutazioni del giudice di merito sull’inescusabilità dell’errore nella fase genetica del rapporto, essenziale ai fini dell’opponibilità della confisca, non appaiono sostanzialmente disarticolate dalla valorizzazione dei dati anomali del conto corrente, alimentato - successivamente all’erogazione del finanziamento - con rimesse in gran parte di natura illecita ed ex sibus indicative della strumentalità del mutuo all’attività criminosa del mutuatario, risultando comunque adeguatamente valutate, con giudizio ex ante ed in concreto, e sufficientemente argomentate le ragioni che consentono di escludere l’incolpevole affidamento dell’ente erogatore, sulla base di elementi obiettivi opportunamente apprezzati e logicamente valutati dai giudici del merito. 9. Sono, pertanto, infondati tutti i motivi di ricorso il primo ed il terzo in quanto - come premesso - la misura della diligenza non si risolve nel rispetto di specifiche prescrizioni e l’errore s’appalesa inescusabile, in presenza di positivi indicatori di anomalie nella fese precontrattuale, non concretamente verificati il secondo perché il percorso giustificativo del provvedimento impugnato resiste al presente scrutinio di legittimità in quanto razionalmente articolato in riferimento alla valutazione prognostica richiesta dall’art. 52 d.lgs. 159/2011. 10. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente società al pagamento delle spese processuali.