Trasferimento fraudolento di valori: configurabilità del reato in caso di interposizione fittizia nella gestione dell’azienda

La Cassazione è interrogata sulla configurabilità del reato di trasferimento fraudolento di valori nel caso in cui l’indagato, sottoposto a procedimento di prevenzione, non interrompa la gestione dell’azienda tratta in sequestro e agisca in sintonia con il soggetto fittiziamente interposto.

Sul punto la Cassazione con sentenza n. 24214/18, depositata il 29 maggio. La vicenda. Il Tribunale del riesame di Palermo confermava la decisione del GIP, il quale aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti dell’indagato. Quest’ultimo era indagato per il reato di trasferimento fraudolento di valori di cui all’art. 12- quinques d.l. n. 306/1992 Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa . Contro la decisione di merito l’indagato ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione del citato articolo in difetto di gravi indizi di colpevolezza in merito all’ipotizzato reato. Nella specie l’indagato era accusato di essere il socio occulto dell’altro indagato e si è difenso in Cassazione deducendo che in realtà avrebbe unicamente fornito una collaborazione tecnico-commerciale a titolo gratuito ed, inoltre, non vi è la titolarità di quote societarie necessaria per integrare il reato. Interposizione fittizia e configurabilità del reato. Per risolvere la questione oggetto di ricorso la Suprema Corte ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui commette il reato di trasferimento fraudolento di valori il soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione, titolare di un’azienda tratta in sequestro, che si adoperi per continuare a gestire la predetta azienda attraverso l’interposizione fittizia di un soggetto fittiziamente interposto, il quale stipuli un contratto di affitto di ramo di azienda con l’amministrazione giudiziaria preposta alla gestione del bene . Per analogia, secondo la Cassazione, può raggiungersi la stessa conclusione in caso in cui il soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione non interrompa la gestione dell’azienda agendo in sintonia con il soggetto interposto , e fornendo una opera di sostegno nell’attività di impresa, solo apparentemente ceduta, continuativa ed assidua da comportare una situazione di co-gestione di fatto . Infatti, continuano i Giudici di legittimità, anche in questo caso il soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione, come nella fattispecie in esame, agendo in sintonia con un soggetto interposto conserva la gestione dell’azienda tratta in sequestro ammendo così la sussistenza dei fatti previsti e puniti dall’art. 12- quinques d.l. n. 306/1992. Per queste ragioni la Suprema Corte ha rigetto il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 febbraio – 29 maggio 2018, n. 24214 Presidente Diotallevi – Relatore Beltrani Ritenuto in fatto Il Tribunale del riesame di Palermo, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha confermato l’ordinanza con la quale, in data 28.9.2017, il GIP dello stesso Tribunale aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di F.G. , in atti generalizzato, indagato in ordine al reato di cui all’art. 12-quinquies d.l. n. 306 del 1992 capi A e B delle imputazioni provvisorie F. , sottoposto a procedimento di prevenzione nell’ambito del quale aveva subito il sequestro della propria impresa, avrebbe eluso le disposizioni in materia di prevenzione, continuando a gestire, attraverso lo schermo costituito attraverso l’interposizione del coindagato M.F. , in atti generalizzato, il Centro commerciale che aveva fondato . Contro tale provvedimento, l’indagato, con l’ausilio di un difensore abilitato al patrocinio innanzi a questa Corte, ha proposto ricorso per cassazione, denunciando I - violazione dell’art. 12-quinquies cit., in difetto dei necessari gravi indizi di colpevolezza quanto all’ipotizzato trasferimento fraudolento di valori l’indagato non sarebbe socio occulto del M. , al quale avrebbe unicamente fornito una collaborazione tecnico-commerciale a titolo gratuito difetterebbe la titolarità di quote societarie in capo al F. , necessaria per integrare il reato la famiglia M. conduceva in forma societaria il ramo d’azienda de quo da tempo ben antecedente rispetto alla predetta collaborazione tecnico-commerciale del F. II - vizi di motivazione, con travisamento della prova, quanto all’attribuzione al ricorrente del ruolo di co-gestore delle società ARIAPERTA s.r.l. e FENICESTORE s.r.l., che non costituirebbe elemento costitutivo del reato in oggetto, e sarebbe comunque escluso dal coinvolgimento nella direzione delle predetta attività di ME.SA. , in atti generalizzato. Il configurato rapporto societario sarebbe espressamente escluso da una conversazione intercettata in data 16.4.2016 f. 10 del ricorso e da comportamenti riepilogati a f. 11 del ricorso che evidenzierebbero come il F. agisse come mero dipendente . All’odierna udienza camerale, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Ad integrazione del necessario quadro indiziario, il Tribunale del riesame cfr. f. 6 ss. dell’ordinanza impugnata ha valorizzato una serie di elementi univoci ed inequivocabili, dettagliatamente riepilogati - dichiarazioni di ME.SA. in denunzia del marzo 2016, quanto ai ripetuti comportamenti uti dominus del F. , confermate dal contenuto dell’intercettazione del 16 maggio 2016, incensurabilmente interpretata dal Tribunale del riesame - conversazione intercettata il 16 aprile 2016 tra F. e M. , ancora una volta incensurabilmente interpretata dal Tribunale del riesame, che dimostra la posizione paritaria dei due nella gestione dell’azienda de qua - esiti dei servizi di PG apprestati tra l’aprile e l’agosto 2016, ed intercettazioni nel medesimo periodo operate, sempre nel medesimo senso, ovvero a conferma quanto meno di una co-gestione aziendale da parte dei predetti indagati, pur sempre indebita. Tali elementi hanno legittimato l’incensurabile conclusione che il F. , nonostante l’intervenuta misura reale di prevenzione, aveva continuato a gestire o comunque cogestire il complesso aziendale che gli era stato sequestrato, non senza avere espressamente esaminato, e dettagliatamente confutato, le contrarie doglianze difensive f. 14 dell’ordinanza impugnata osserva, in proposito, il Tribunale che la contestazione, nella sostanza ha ad oggetto il fatto che il F. , con la complicità di M.F. , tramite lo schermo costituito da due contratti di locazione di ramo azienda , si sia re-ingerito nella gestione del supermercato e della galleria siti all’interno del centro commerciale omissis , al fine di eludere - ed anche eludendo in concreto posto che la condotta progettata ha avuto successo per un significativo periodo di tempo - le disposizioni relative all’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale . Non vi è dubbio, quindi, che la prospettazione accolta in questa sede sia coerente con i fatti contestati dall’accusa nell’ambito del presente procedimento . Secondo un orientamento di questa Corte Sez. 2, n. 19123 del 11/01/2013, Rv. 256033 Sez. 6, n. 32732 del 28/06/2016, Rv. 267707 , che il collegio condivide e ribadisce, commette il reato di cui all’art. 12-quinquies D.L. n. 306 del 1992 conv. in legge 356 del 1992 il soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione, titolare di un’azienda tratta in sequestro, che si adoperi per continuare a gestire la predetta azienda attraverso l’interposizione fittizia di un soggetto fittiziamente interposto, il quale stipuli un contratto di affitto di ramo di azienda con l’amministrazione giudiziaria preposta alla gestione del bene. A conclusioni non dissimili può legittimamente giungersi nel caso in cui il soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione nel caso di specie, il F. continui a gestire la predetta azienda agendo in sintonia con il soggetto interposto nel caso di specie il M. , cui fornisca una continuativa ed assidua opera di sostegno nell’attività d’impresa apparentemente ceduta e rispetto alla quale sarebbe apparentemente estraneo , finalizzata al raggiungimento di scopi necessariamente comuni, tanto da consentire l’enucleazione di una situazione di co-gestione di fatto. Anche in questo caso, infatti, il soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione conserva - sia pure non uti singulus, ma agendo in sintonia con un terzo interposto - la gestione del compendio tratto in sequestro, e dal quale dovrebbe essere avulso, nel che si concretizza il disvalore posto a fondamento dell’incriminazione dei fatti di interposizione previsti e puniti dal citato art. 12-quinquies. Il Tribunale del riesame risulta essersi correttamente conformato al predetto principio. Il rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod.proc. pen P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen