Danno effettivo, danno virtuale o non patrimoniale, quando è configurabile il delitto di truffa ai danni dello Stato?

Il danno cagionato all’amministrazione statale a causa dell’assunzione ad un pubblico impiego di persona sprovvista dei necessari requisiti professionali, grazie alla rivelazione del contenuto della prova d’esame del concorso pubblico, non ha natura immediatamente patrimoniale. In ragione di ciò non è configurabile il reato di truffa ai danni dello Stato.

Lo ha ribadito la Cassazione con sentenza numero 22973/18, depositata il 22 maggio. La vicenda. Il Tribunale di Genova, sezione riesame delle misure coercitive, confermava la misura cautelare degli arresti domiciliari disposta a carico dell’indagato con ordinanza del GIP in relazione al concorso nel reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, ai sensi dell’art. 326 c.p. e al reato di cui all’art. 640, comma 2, numero 1, c.p. Truffa . In particolare l’interessato della misura coercitiva era accusato di aver rivelato il contenuto di una prova di esame in qualità di presidente della commissione di concorso pubblico per agevolare l’assunzione di un candidato ed, in questo modo, commettendo anche una truffa ai danni dello Stato. Contro la decisione di merito l’interessato ha proposto ricorso per cassazione. L’assenza dell’ingiustizia del profitto. Secondo la Cassazione i primi due motivi di ricorso, attinenti alla qualificazione giuridica della condotta contestata, sono infondati. Al contrario la Suprema Corte ha ritenuto fondata la terza doglianza con la quale il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 640 c.p. rilevando che il rapporto di lavoro istauratosi, anche se in violazione di legge, aveva determinato comunque il dritto al trattamento retributivo e previdenziale, così da escludere la sussistenza di un requisito essenziale per la configurabilità della truffa, ovvero l’ingiustizia del profitto. Gli Ermellini hanno ricordato che secondo giurisprudenza consolidata dei Giudici di legittimità ai fini della configurabilità del reato di truffa con lo scopo di assunzione ad un pubblico impiego serve la prova di un danno immediato ed effettivo, di contenuto economico-patrimoniale, subito dall’amministrazione al momento e in conseguenza della costituzione del rapporto impiegatizio . Non è, invece, rilevante per la consumazione del reato l’aver recato all’amministrazione un danno meramente virtuale ovvero di natura non immediatamente patrimoniale , qual è l’assunzione sprovvista dei necessari requisiti professionali e all’alterazione della graduatoria del concorso. Nella fattispecie in esame, precisa la Corte, la rivelazione e l’utilizzo di segreti d’ufficio hanno sì consentito al candidato di ottenere il lavoro, non hanno, però, arrecato nessun danno patrimoniale immediato ed effettivo allo Stato a fronte di esborsi retribuzioni, contributi previdenziale ecc. conseguenti ad una prestazione lavorativa comunque erogata . In conclusione la Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di truffa con rinvio al Tribunale di Genova per nuova valutazione dell’istanza cautelare.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 gennaio – 22 maggio 2018, n. 22973 Presidente Cervadoro – Relatore Agostinacchio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 15/09/2017 il Tribunale di Genova sezione del riesame delle misure coercitive, decidendo sull’istanza di riesame proposta nell’interesse di F.F. , confermava la misura cautelare degli arresti domiciliari disposta a carico di costui con ordinanza del Gip presso il Tribunale di Imperia in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 326, comma 1 e comma 3 cod. pen. rivelazione del contenuto di una prova d’esame, in qualità di presidente della commissione di concorso pubblico al fine di consentire l’assunzione del candidato C.F. nonché 640, comma 2 n. 1 cod. pen. truffa ai danni dello Stato effettuata alterando la procedura selettiva, traendo in inganno la commissione aggiudicatrice, facendo conseguire l’ingiusto profitto dell’assunzione a tempo indeterminato del candidato C. con pari danno per l’ente pubblico . 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il F. tramite il difensore di fiducia sulla base di tre motivi con i quali ha eccepito - il vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica delle condotte contestate nei termini della fattispecie di cui all’art. 326 comma 3 cod. pen - la violazione di legge art. 326 comma 1 e 2 cod. pen. atteso che secondo la prospettiva accusatoria gli imputati il ricorrente ed il direttore generale della società, S.G. non usarono i risultati delle prove sfruttandone il valore economico ma li rivelarono affinché altri utilizzassero tali informazioni nell’ambito del concorso pubblico la rivelazione del segreto non avrebbe implicato cioè lo sfruttamento dello stesso - la violazione di legge art. 640 cod. pen. atteso che il rapporto di lavoro di fatto instauratosi, pur in violazione di regole e divieti imperativi, aveva determinato comunque il diritto al trattamento retributivo e previdenziale così escludendosi l’ingiustizia del profitto, requisito essenziale della truffa. 3. Con motivi aggiunti depositati il 04/01/2018 il difensore del F. ha dichiarato di avere interesse alla definizione del ricorso nonostante la revoca della misura cautelare medio tempore intervenuta. Considerato in diritto 1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono infondati. 2. Essi attengono esclusivamente alla qualificazione giuridica della condotta contestata al capo 1 della rubrica provvisoria non censurandosi la valutazione del tribunale in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, così come riportati nel § 2 -pagg. l’e segg. Ritiene in particolare il ricorrente che la mera rivelazione della notizia i contenuti riservati della prova concorsuale non implica sfruttamento patrimoniale, vantaggio conseguito da altri pag. 7 del ricorso . A parte la chiara dizione della norma art. 326, comma 3 cod. pen. - che sanziona penalmente la condotta del pubblico ufficiale che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete - dall’attività investigativa sintetizzata nell’ordinanza impugnata emerge la complicità del F. presidente della commissione del concorso pubblico con S.G. direttore generale della società pubblica che aveva bandito il concorso per consentire ad un candidato individuato in C.F. - di conoscere preventivamente i contenuti della prova concorsuale e di ottenere l’assunzione a tempo indeterminato presso la suddetta società a seguito della collocazione al primo posto della graduatoria. 3. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che a la disposizione dell’art. 326 c.p., quale risulta a seguito della modificazione operata con L. n. 86 del 1990, pone ad oggetto, nel primo comma, la rivelazione della notizia e, nel comma 3, l’avvalersi della notizia stessa b il coordinamento delle due previsioni porta a concludere, e per motivi letterali rivela - si avvale e per motivi sistematici concorso con la corruzione e per motivi teleologici superfluità altrimenti della previsione del terzo comma , nel senso che la condotta del pubblico ufficiale che riveli un segreto di ufficio è esaustivamente prevista nel primo comma, applicabile anche se tale rivelazione è fatta per fini di utilità patrimoniale in adempimento di una promessa corruttiva, concorrendo in questo caso la corruzione con il delitto di cui alla disposizione in esame c la fattispecie contemplata dal terzo comma riguarda invece l’illegittimo avvalersi da parte del pubblico ufficiale, che lo sfrutti per profitto patrimoniale o non patrimoniale, non del valore economico eventualmente derivante dalla rivelazione del segreto, ma proprio del contenuto economico o morale in sé delle informazioni che devono rimanere segrete di recente, Cass. sez. 6, sent. n. 9409 del 09/12/2015 - dep. 07/03/2016 - Rv. 267273 Sez. 6, n. 37559 del 27/09/2007, Rv. 237447 Sez. 1, n. 39514 del 03/10/2007, Rv. 237747 . In coerenza con tali assunti il tribunale genovese non ha considerato l’eventuale fine di utilità patrimoniale perseguito dal F. - estraneo infatti dalla condotta contestata - ma ha sottolineato come la notizia riservata avesse in sì una connotazione economica per la sua diretta incidenza sull’esito della prova concorsuale e sull’assunzione a tempo indeterminato, con conseguente riconducibilità della fattispecie alla previsione normativa di cui al terzo comma dell’art. 368 cod. pen. 4. Sono fondati invece i rilievi sulla configurabilità della truffa. È opportuno anche in questo caso richiamare i principi di diritto elaborati dal giudice di legittimità. Con giurisprudenza consolidatasi a partire dalla fine degli anni 90 si è stabilito che ai fini della configurabilità del delitto di truffa finalizzata all’assunzione ad un pubblico impiego è necessaria la prova di un danno immediato ed effettivo, di contenuto economico-patrimoniale, subito dall’amministrazione al momento e in conseguenza della costituzione del rapporto impiegatizio, non essendo, invece, rilevanti, ai fini della consumazione del reato, l’aver arrecato all’amministrazione un danno meramente virtuale - come quello relativo alle spese da sostenere per riparare l’errore e rettificare la graduatoria o per indire le nuove procedure di assunzione - ovvero di natura non immediatamente patrimoniale - come l’assunzione di persona sprovvista dei necessari requisiti professionali e all’alterazione della graduatoria del concorso - ovvero delle conseguenze estranee all’ambito di tutela proprio della norma incriminatrice, quale il pregiudizio per gli altri concorrenti Cass. sez. un. sent. n. 1 del 1999 Cass. sez. 2 sent. n. 49382 del 04/11/2016 - dep. 21/11/2016 - Rv. 268558 . Nel caso in esame la rivelazione e la utilizzazione di segreto di ufficio ha sì consentito indebitamente al C. di ottenere il posto di lavoro messo a concorso ma non ha arrecato all’amministrazione un danno patrimoniale immediato ed effettivo a fronte di esborsi retribuzioni, contributi previdenziali ecc. conseguenti ad una prestazione lavorativa comunque erogata. L’alterazione della graduatoria concorsuale - in conformità con i principi richiamati - è quindi in sé inidonea a configurare gli estremi della truffa contestata a prescindere dall’astratta configurabilità di altre ipotesi delittuose. 5. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata limitatamente al capo 2 delle imputazioni con rinvio al tribunale di Genova per una nuova valutazione dell’istanza cautelare. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di truffa di cui al capo 2 delle imputazioni con rinvio al Tribunale di Genova per nuovo esame.