Abusiva attività finanziaria: è sufficiente che l’agente operi verso un numero illimitato di soggetti

Commette il reato di esercizio abusivo di attività finanziaria di cui all'art. 132 d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, chi pone in essere le condotte di finanziamento previste dall'art. 106 del medesimo d.lgs. inserendosi nel libero mercato e sottraendosi ai controlli di legge, purché l'attività, anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di destinatari, sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di soggetti e sia svolta professionalmente, ovvero in modo continuativo e non occasionale, non essendo invece necessario il perseguimento di uno scopo di lucro o, comunque, di un obiettivo di economicità.

Questo il principio di diritto ribadito dalla Quinta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21927/18, depositata il 17 maggio. I reati di pericolo In dottrina si è spesso affrontato il tema della compatibilità del principio di offensività con i reati di pericolo. Si distinguono, in particolare, i reati di pericolo presunto o astratto in essi come in quello di abusiva attività finanziaria , il giudice è tenuto soltanto a verificare che il fatto storico sia conforme alla fattispecie astratta. Tali fattispecie sono modellate dal legislatore sulla base di indagini scientifiche e statistiche anche solo probabilistiche su regole d’esperienza sulla possibilità non remota del verificarsi di un pericolo. In questi casi, c’è contraddizione fra il carattere presuntivo del pericolo e il potere-dovere del giudice di verificare che il fatto storico sia conforme alla fattispecie astratta. Secondo una parte della dottrina, sarebbe bene configurare non l’obbligo, per il pubblico ministero, di provare il pericolo, bensì il diritto dell’imputato di dimostrare l’assenza del pericolo attraverso una prova liberatoria. Potrebbe infatti aversi il rischio che il giudice punisca condotte prive, in concreto, della pericolosità configurata in astratto dal legislatore, in contrasto con artt. 24, 27, commi 1 e 2, 111 della Costituzione. I reati di pericolo concreto sono invece ritenuti compatibili con il principio di offensività, in quanto, in essi, il giudice è tenuto a valutare, in concreto, se il pericolo si è verificato ad esempio, ciò è stato deciso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 13/2000, in tema di art. 600- ter , comma 1, c.p. e reato di pornografia minorile e realizzazione o produzione di materiale pedopornografico in tale ipotesi, il pericolo concreto consiste nella possibile diffusione di detto materiale . Ai fini dell’offensività in concreto, occorrono però una serie di requisiti, quali una organizzazione rivolta al mercato dei pedofili, un collegamento dell’agente con pedofili potenziali destinatari del materiale, l’uso di strumenti tecnici di riproduzione, nonché l’utilizzo di più minori, tenuto conto anche dei precedenti penali e qualità soggettive del reo art. 133, comma 2, c.p. . Ed ancora, sempre in tema di principio di offensività e reati di pericolo, la Suprema Corte ha stabilito, ancora con riguardo al reato di pornografia minorile e divulgazione di materiale pedopornografico, che per avere divulgazione o distribuzione di materiale pornografico minorile attraverso un canale di discussione c.d. chat line” , è necessario verificare se il programma consenta la condivisione di cartelle a chiunque si colleghi. Laddove, invece, il prelievo avvenga solo a seguito della manifestazione di volontà dichiarata nel corso di una conversazione privata, si versa nell’ipotesi, più lieve, di cessione di materiale pedopornografico art. 600- ter , comma 4., c.p. cfr. Cass. Pen., n. 4900/2002 . ed il delitto di abusiva attività finanziaria. Per la sentenza in commento, commette il reato in parola chi pone in essere le condotte previste dall'art. 106 d.lgs. n. 385/1993 inserendosi nel libero mercato e sottraendosi ai controlli di legge, purché l'attività, anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di soggetti, sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato. Parimenti, per la configurabilità del reato di abusivo esercizio di attività finanziaria di cui all’art. 132 d.lgs. n. 385/1993 e ss. mm e ii., la sussistenza del dolo non è esclusa dalla finalità benefica della attività finanziaria e dal ragionevole affidamento nella sua liceità, in quanto esso non realizza un errore sul fatto ma un errore sul divieto, irrilevante, salva l'ignoranza inevitabile, ai sensi dell'art. 5 c.p Inoltre, è qualificabile come abusivo esercizio di un'attività finanziaria anche la condotta posta in essere da un soggetto il quale abitualmente eroghi, ad un numero indeterminato di persone, somme di danaro a fronte della cessione di assegni e cambiali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 aprile – 17 maggio 2018, n. 21927 Presidente Miccoli – Relatore Borrelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 20 gennaio 2017, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, assolveva G.G. dai reati di usura e tentata estorsione e confermava la condanna per il reato di cui all’art. 132 d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, rideterminando la pena in anni uno di reclusione ed Euro 4.000 di multa e revocando le pene accessorie inflitte in primo grado. 2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione G.G. a mezzo del difensore Avv. Francesco Caretta, sviluppando tre motivi. 2.1. Con il primo, egli deduce l’erronea applicazione della norma punitiva perché l’attività dell’imputato non poteva rientrare nel concetto di abusiva attività finanziaria, in quanto era priva di finalità di lucro e non era svolta in forma imprenditoriale, oltre a non essere attuata nei confronti del pubblico ed in via continuativa ed abituale. L’imputato, infatti, aveva prestato denaro ad amici, non pattuendo interessi e talvolta non pretendendo neanche la restituzione integrale del capitale . Mancherebbero - sostiene il ricorrente - i caratteri della professionalità e della direzione verso una platea indeterminata di destinatari di cui al d.m. 19 febbraio 2009 n. 29. Secondo la dottrina, l’attività penalmente rilevante è solo quella caratterizzata dall’imprenditorialità, come tale foriera di un profitto personale. La giurisprudenza citata dalla Corte distrettuale - laddove non era richiesta né l’abitualità né la direzione al pubblico - era relativa a finanziamenti ricollegati ad usura da parte di affiliati ad associazione per delinquere, anche di stampo mafioso, strutture dotate di un’organizzazione imprenditoriale ed esercenti l’attività in maniera sistematica, oltre a valorizzare la direzione verso un numero potenzialmente illimitato di finanziati. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l’intervenuta prescrizione del reato, facendo riferimento alle deposizioni di S.P. , B.E. e P.P. , che avrebbero collocato i prestiti al massimo al 2005. 2.3. Il terzo motivo verte sulla violazione di legge quanto agli artt. 62-bis e 132 cod. pen. per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e per la quantificazione della pena, ritenuta eccessivamente severa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato. 2. A proposito del primo motivo di ricorso, prima di affrontare le doglianze del ricorrente, occorre ricordare quale sia l’impianto normativo in cui la presente decisione si inserisce. 2.1. Il reato di abusiva attività finanziaria punisce chiunque svolge, nei confronti del pubblico una o più attività finanziarie previste dall’articolo 106, comma 1, in assenza dell’autorizzazione di cui all’articolo 107 o dell’iscrizione di cui all’articolo 111 ovvero dell’articolo 112 . I due requisiti richiesti dalla fattispecie incriminatrice, pertanto, concernono lo svolgimento dell’attività nei confronti del pubblico e l’esercizio delle attività finanziarie previste dall’art. 106 d.lgs. 385/1993, che, a sua volta, subordina all’iscrizione nell’albo degli intermediari finanziari l’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma . Il successivo comma 3 dell’art. 106 è una norma penale in bianco Sez. 5, n. 18317 del 16/12/2016, dep. 2017, Kienesberger e altri, Rv. 269617 , che rinvia a un decreto ministeriale l’individuazione del contenuto delle attività di concessione di finanziamenti riservate agli iscritti all’albo e dei requisiti di pubblicità dell’attività. Nel periodo lungo il quale è articolata la contestazione fino al maggio 2011 si sono succeduti due decreti ministeriali. Il d.m. 6 luglio 1994 che, all’art. 2, prevedeva, per quanto di interesse, che Per attività di finanziamento sotto qualsiasi forma si intende la concessione di crediti e che, all’art. 5, che Le attività indicate negli articoli 2, 3 e 4 sono esercitate nei confronti del pubblico qualora siano svolte nei confronti di terzi con carattere di professionalità . Il d.m. 17 febbraio 2009, n. 29 - che ha abrogato il d.m. del 1994 rispettivamente all’art. 3 ed all’art. 9, ricomprende la concessione di crediti nelle attività riservate, esattamente come già previsto nell’art. 2 citato, e definisce le attività esercitate nei confronti del pubblico in termini identici all’art. 5 sopra riportato. 2.2. Venendo all’impostazione del ricorrente, in ordine al concetto di destinazione al pubblico e a quello - come si è appena visto, connesso – di professionalità ed alla ritenuta - nell’ottica dell’imputato necessaria economicità dell’attività finanziaria esercitata, va poi osservato quanto segue. 2.2.1. In ordine alle prime due caratteristiche, la giurisprudenza più recente ha ritenuto che la fattispecie in discorso debba considerarsi reato di pericolo presunto Sez. 5, n. 18317 del 16/12/2016, cit. e, di conseguenza, in ordine alla diffusività dell’attività, è sì necessario che l’attività sia professionalmente organizzata con modalità e strumenti tali da prevedere e consentire la concessione sistematica di un numero indeterminato di mutui, ma è ben possibile, nel concreto, che essa sia destinata ad una cerchia ristretta di persone Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, dep. 2016, Di Silvio, Rv. 266164 Sez. 2, n. 41142 del 19/09/2013, Rea, Rv. 257337 Sez. 2, n. 47559 del 27/11/2012, Cardo, Rv. 253941 . Addirittura, si è ritenuto che l’erogazione anche di un solo finanziamento in violazione dell’obbligo di iscrizione negli elenchi di cui agli artt. 106 e 113 dello stesso d.lgs. - non essendo richiesta una stabile organizzazione né una specifica professionalità - sia idonea ad integrare il reato Sez. 2, n. 51744 del 13/12/2013, Torti e altri, Rv. 258119 Sez. 5, n. 2404 del 16/09/2009, dep. 2010, Sganga, Rv. 245832 Sez. 2, n. 29500 del 10/06/2009, Rv. 244436, Russo e altra . Venendo al caso concreto, a dispetto di quanto sostenuto nel ricorso, l’attività non era affatto rivolta solo a qualche amico e non era stata svolta in maniera occasionale, essendo plurimi i contributi dichiarativi dei soggetti finanziati, richiamati e logicamente interpretati dalla Corte distrettuale, che denotano l’esercizio sistematico di un’attività dotata di un sufficiente livello di organizzazione e diffusività sì da rientrare nel novero delle attività riservate a soggetti autorizzati. 2.2.2. Con riferimento al requisito dell’economicità, deve escludersi che la mancata pattuizione di interessi - sottolineata dal ricorrente in relazione alla posizione di alcuni dei soggetti finanziati - sia evenienza che avrebbe dovuto indurre ad escludere la ricorrenza della fattispecie contestata. A tal proposito, questa Corte, nella sentenza n. 18319 già più volte citata, che a sua volta fonda su un’analisi ragionata dalla giurisprudenza di legittimità anche relativa a reati diversi da quello oggi sub iudice, ha già avuto modo di escludere, in termini ampiamente argomentati, che alla nozione di professionalità sia connaturata la natura lucrativa dell’attività il carattere di professionalità non implica il perseguimento di uno scopo di lucro, o, quantomeno, di un obiettivo di economicità pareggio tra costi e ricavi Il carattere della professionalità, al contrario, denota l’esercizio abituale, e non occasionale, di una attività, e ad esso è estraneo il metodo lucrativo o economico con cuí venga svolta l’attività . Significativo in questo senso è anche il silenzio del legislatore sul punto, laddove lo scopo di lucro, o, comunque, l’esercizio oneroso dell’attività finanziaria, non sono richiesti da alcuna norma ai fini dell’obbligatorietà dell’iscrizione nell’albo degli intermediari finanziari e la fattispecie penale - lo si ripete, di pericolo presunto - è posta a tutela della funzione di controllo delle attività finanziarie, che resta essenziale a prescindere dal carattere oneroso o gratuito dell’attività. 3. Il secondo motivo di ricorso - quello concernente la prescrizione - è, invece, fondato e determina l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in esso restando assorbiti gli altri motivi di ricorso . Sul punto va premesso che il capo di imputazione contiene la sola indicazione dell’esercizio, da parte del ricorrente, dell’attività finanziaria consistita nella concessione di prestiti e nell’anticipazione di contanti a fronte del rilascio di assegni e cambiali, mentre non sono indicati i soggetti finanziati né l’epoca dei singoli finanziamenti la data del commesso reato - comune anche alle fattispecie per cui vi è stata assoluzione perché apposta in calce all’insieme delle contestazioni - è pure genericamente indicata con il sintagma fino al maggio 2011 . A fronte di tale, generica, indicazione, la lettura della sentenza impugnata offre solo parzialmente dei dati temporali di riferimento. In particolare, quanto a P.P. , la Corte di appello ha precisato che i finanziamenti erano avvenuti negli anni 2004-2005, quanto a B.E. ed a C.R.G. li colloca genericamente dopo il 2004, mentre per i restanti S. , C. , Co. , Si. , Bo. e Be. , la sentenza di appello non offre alcuna indicazione utile a contestualizzarli cronologicamente. Ebbene, a prescindere dalla certa prescrizione del reato quanto alla posizione di P. , la situazione di incertezza concernente l’epoca dell’erogazione degli altri finanziamenti impone una pronunzia liberatoria dal momento che, in mancanza di prova certa sulla data di consumazione, in applicazione del principio del favor rei, deve prevalere l’impostazione più favorevole per l’imputato Sez. 3, n. 8283 del 03/12/2009, dep. 2010, Ilacqua e altro, Rv. 246229 Sez. 2, n. 19472 del 24/05/2006, Rinaldi, Rv. 233835 . P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.