“Forche caudine” sulla crisi di liquidità e omesso versamento ritenute INPS

Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche quando il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti dei dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario.

La Cassazione, con la sentenza n. 19671/18 depositata il 7 maggio 2018, ha altresì precisato che è onore dell’imprenditore ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare. Crisi di liquidità versus penale responsabilità. La grave situazione di crisi economica che ormai da dieci anni affligge il mondo delle imprese italiane ha portato sempre più alla ribalta la possibile rilevanza della crisi di liquidità quale causa di esclusione della penale responsabilità dell’imprenditore di fronte ai reati di omesso versamento. La questione è stata ormai ampiamente esplorata dalla giurisprudenza in ogni, anche più angusta, ansa in relazione alle fattispecie di omesso versamento di ritenute certificate e di IVA artt. 10- bis e 10- ter d.lgs. n. 74/2000 , nonché di omesso versamento di ritenute INPS art. 2, comma 1- bis , d.l. n. 463/83 . Trattasi in tutti detti casi di reati omissivi istantanei, in ordine ai quali non è richiesta nessuna condotta decettiva né un dolo specifico di evasione, ma il mero dolo generico. La crisi di liquidità è stata evocata quale causa della assoluta impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria nel caso di non imputabilità della crisi di impresa e di impossibilità di fronteggiare in concreto la suddetta carenza di liquidità, anche facendo ricorso al proprio patrimonio personale. L’inquadramento giuridico della crisi di liquidità come scriminante. Nel tentativo di elevare a causa di esclusione della penale responsabilità la crisi di liquidità, la stessa è stata ricondotta alla figura del caso fortuito ovvero ad un avvenimento imprevisto ed imprevedibile che si sovrappone alla condotta dell’agente, condotta che in conseguenza non può essere attribuibile alla sfera soggettiva dell’agente, con conseguente esclusione in capo al medesimo anche di profili di mera colpa. In altre occasioni, la crisi di liquidità è stata qualificata come forza maggiore, ossia come un evento naturalistico che esce dalla sfera di dominio dell’agente ed è, dunque, in grado di determinarne la condotta in modo incoercibile vis maior cui resisti non potest . La forza maggiore escluderebbe, quindi, non solo il dolo e la colpa, ma finanche la suitas della condotta. Sui reati tributari il rigore giurisprudenziale. In ordine alle contestazioni di cui agli artt. 10- bis e 10- ter d.lgs. n. 74/2000 si registra una rigida impostazione della giurisprudenza soprattutto di legittimità. Secondo tale orientamento non può essere invocata, per escludere la colpevolezza, la generica crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo per l’adempimento erariale, dovendo invece essere assolti precisi oneri di allegazione, che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non poteva essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Invero, qualche timida apertura vi è stata allorché si è affermato che [i]n tema di omesso versamento di ritenute certificate, la responsabilità penale è esclusa dall’assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, se l’imputato dimostra che la crisi economica che ha investito l’azienda non è imputabile a lui medesimo e che ha adottato misure idonee a fronteggiare la crisi Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 31930/15 depositata il 22 luglio, in Diritto e Giustizia del 23 luglio 2015 . Può dunque concludersi che, in merito ai reati tributari, la giurisprudenza di legittimità impone all’imputato un rigidissimo onere di allegazione, da più parti ricondotto al confine della probatio diabolica , ma che pur tuttavia non esclude, almeno in linea teorica, una possibile per quanto impervia e scoscesa via verso la assoluzione. Sui reati previdenziali le forche caudine. Le gole già strette che la giurisprudenza ha disegnato intorno alla possibile rilevanza delle crisi di liquidità a fronte di reati tributari, diventano come, per le legioni romane, le insormontabili gole di Caudio presidiate dai Sanniti, allorché si tenti di far valere la situazione di insolvenza quale scriminante degli omessi versamenti INPS. Non occorre, dunque, scomodare Tito Livio per descrivere lo sgomento dei legionari romani allorché, stretti fra le due gole, si trovarono la strada sbarrata da tronchi d’albero e da ammassi di poderosi macigni e le alture circostanti presidiate dai nemici Sanniti. È sufficiente leggere la massima in commento per comprendere come, per l’imprenditore che versi in crisi di liquidità, la strada per andar esente da penale responsabilità per omesso versamento di ritenute INPS, allorché abbia provveduto al pagamento delle correlative mensilità ai dipendenti, sia del tutto preclusa. Si legge, infatti, nella sentenza che si annota che il legislatore, non illogicamente, ha scelto di presidiare penalmente solo l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e non anche quello della retribuzioni ai dipendenti. Sicché, dinnanzi al contestuale sorgere di entrambe le obbligazioni, l’imprenditore deve provvedere prima ad accantonare le somme onde adempiere al versamento previdenziale e poi al pagamento delle retribuzioni ai dipendenti. È evidente come detta impostazione – peraltro risalente a consolidata giurisprudenza delle sezioni unite –, che assegna valenza scriminante alla crisi di liquidità solo laddove la stessa abbia portato l’imprenditore a non pagare ai dipendenti le retribuzioni in ordine alle quali si contesta l’omesso versamento delle ritenute INPS, esclude in nuce ed in radice ogni ulteriore possibile riflessione circa la rilevanza della crisi di liquidità in ordine a tale ipotesi criminosa. Laddove l’imprenditore abbia pagato le retribuzioni, alcuna valenza potrà, dunque, avere la crisi di liquidità, in qualunque modo si sia manifestata, allorché lo stesso non abbia provveduto al versamento delle correlate ritenute previdenziali, concretandosi tale condotta in una precisa e voluta scelta operata dall’imprenditore in contrasto con le priorità imposte dalla legge e presidiate penalmente.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 marzo – 7 maggio 2018, n. 19671 Presidente Sarno – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13 dicembre 2017 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del 20 luglio 2016 del Tribunale di Lecco, ha infine rideterminato in mesi uno e giorni dieci di reclusione ed Euro 200 di multa la pena complessivamente inflitta a S.G. , quale legale rappresentante della ditta W.K.M. Factory, ed in relazione alla sola annualità 2010, per il reato di cui agli artt. 81 capoverso, cod. pen., nonché 2, comma 1-bis, del decreto legge 12 settembre 1983 n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638. 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione con unico articolato motivo di impugnazione. 2.1. In particolare, il ricorrente ha dedotto erronea applicazione di norme nonché vizio motivazionale sotto il profilo del travisamento della prova e della contraddittorietà del ragionamento , in considerazione dell’invocata assoluta impossibilità di adempiere al debito d’imposta, da ritenere quale esclusione della responsabilità penale in caso di dimostrata non imputabilità della crisi d’impresa e di impossibilità di fronteggiare in concreto la carenza di liquidità, anche facendo ricorso alle azioni sul patrimonio personale. In specie, e contrariamente al ragionamento della Corte territoriale che di tali aspetti non si era occupata , erano già intervenute due sentenze di proscioglimento in relazione all’impresa del ricorrente, ed era stato documentato il pagamento in favore di Equitalia di ben 287.000 Euro, a fronte di rateizzazioni riferite ad omessi versamenti degli anni precedenti. Altrimenti detto, il ricorrente ha affermato di non avere saldato le ritenute previdenziali confidando di farvi fronte con la postergazione. Alla stregua di ciò, andava applicata l’esimente della forza maggiore di cui all’art. 45 cod. pen., tenuto conto dei consistenti versamenti personali effettuati dall’imputato e del contestuale pagamento rateizzato in favore dell’Erario. In ogni caso l’indisponibilità di liquidità, non fronteggiabile attraverso altre idonee misure, andava ad incidere sull’elemento soggettivo stante l’inesigibilità della condotta. 3. Il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato. 4.1. In relazione al complesso motivo di impugnazione, non vi è questione circa il mancato tempestivo pagamento, voluto, dei contributi previdenziali ed assistenziali. 4.2. Non vi è neppure contestazione in ordine alla nuova configurazione del reato contestato, siccome ricordata dalla Corte territoriale. Infatti, mentre secondo la previgente configurazione il delitto in esame si consumava alla scadenza della singola mensilità, venendo in rilievo, in caso di più omissioni, una ipotesi di continuazione tra una pluralità di violazioni, secondo l’attuale regime la fattispecie considerata configura il superamento della soglia annuale quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore di offensività, che viene a segnare, tra l’altro, il momento consumativo dello stesso Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, Lanzoni, Rv. 268308 . In altri termini, in passato si era affermato che il reato in questione, da considerarsi come omissivo proprio istantaneo , si perfezionava, indipendentemente dall’entità dell’importo non versato, all’atto dello scadere del termine previsto per il pagamento, allorché il soggetto attivo non avesse provveduto a corrispondere quanto avrebbe dovuto, in precedenza, accantonare. Attualmente, in esito alla novella di cui al d.lgs. 8 del 2016, il momento consumativo si identifica invece in quello in cui, dopo la scadenza di una o più mensilità, sia superata, nell’arco del medesimo anno solare, la soglia prima ricordata. Ne consegue, dunque, che dopo la recente modifica normativa, la condotta del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali può configurarsi anche attraverso una pluralità di omissioni, compiute nel periodo annuale di riferimento, le quali, singolarmente considerate, possono di per sé anche non costituire reato sicché la consumazione del delitto può essere istantanea o di durata e, in quest’ultimo caso, ad effetto prolungato sino al termine dell’anno in contestazione Sez. 3, n. 35589 del 11/05/2016, Di Cataldo, Rv. 268115 . 4.3. Sempre in premessa, va altresì osservato che la Corte territoriale ha dato atto della produzione delle sentenze di assoluzione pronunciate dai Tribunali di Monza e di Lecco, peraltro rilevando che esse potevano fornire la prova del fatto, ma non della valutazione giuridica di tale fatto. 4.4. Nel merito della censura, il ricorrente ha ribadito che la situazione di crisi aziendale non gli aveva consentito di adempiere agli obblighi contributivi con ciò prefigurandosi, da un lato, una situazione di forza maggiore idonea a escludere l’attribuibilità della condotta omissiva in capo all’imputato e, dall’altro lato, la mancanza del prescritto coefficiente psicologico. Secondo la previsione contenuta nell’art. 45 cod. pen., infatti, non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore . 4.5. Ciò posto, è assegnata al caso fortuito la valenza di una situazione scusante , come tale idonea ad escludere l’elemento soggettivo in quanto consistente in un avvenimento imprevisto e imprevedibile che si sovrappone alla condotta dell’agente, la quale, conseguentemente, non più, in alcun modo e nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire alla dimensione psichica e soggettiva dell’agente ex plurimis, Sez. 4, n. 6982 del 19/12/2012, dep. 2013, D’Amico, Rv. 254479 mentre la forza maggiore si configura come un evento, naturalistico o umano, che fuoriesca dalla sfera di dominio dell’agente e che sia tale da determinarlo incoercibilmente vis maior cui resisti non potest verso la realizzazione di una determinata condotta, attiva od omissiva, la quale, conseguentemente, non può essergli giuridicamente attribuita in questa direzione Sez. 5, n. 23026 del 3/04/2017, Mastrolia, Rv. 270145 . Secondo questa ricostruzione, dunque, la forza maggiore si colloca su un piano distinto e logicamente antecedente rispetto alla configurabilità dell’elemento soggettivo, ovvero nell’ambito delle situazioni in grado di escludere finanche la cd. suitas della condotta. Ora, secondo la prospettazione difensiva la situazione di crisi di impresa avrebbe impedito, in termini di una assoluta impossibilità, di adempiere agli obblighi contributivi impedimento che il giudice di merito avrebbe dovuto apprezzare con riferimento allo specifico momento della scadenza dell’obbligo contributivo. Dunque, secondo questa impostazione, si verserebbe proprio nell’ambito tipico della cd. forza maggiore nell’accezione prima delineata. Mentre i pagamenti sarebbero stati organizzati postergandoli, come dimostrava anche l’ingente somma versata ad Equitalia in relazione alle precedenti annualità. 5. In fatto, peraltro, doveva escludersi siffatta situazione di impossibilità, atteso che rappresenta circostanza pacifica l’avvenuta erogazione, alla scadenza mensile della relativa obbligazione retributiva, dello stipendio ai dipendenti segno, evidentemente, che la crisi di liquidità non era affatto assoluta e che, pertanto, l’impresa non si trovava in quella situazione di impossibilità di compiere scelte alternative, ovvero nella condizione di una condotta omissiva irresistibilmente coartata verso un determinato risultato o effetto il mancato versamento delle ritenute previdenziali . Ciò che, pertanto, consente di rilevare la palese insussistenza, nella specie, di una situazione di forza maggiore . Invero la corresponsione, ogni mese, delle retribuzioni, non ha consentito di dimostrare la dedotta situazione di impossibilità di adempimento delle obbligazioni previdenziali alla scadenza del termine mensile. Pertanto la condizione di assoluta illiquidità non è stata dimostrata nella sua reale efficienza causale rispetto alla condotta omissiva. In proposito, inoltre, è stato più volte osservato che non è possibile riconoscere alcuna valenza esimente o anche semplicemente scusante a una situazione astrattamente idonea a escludere l’elemento soggettivo e finanche la suitas della condotta, quando tale situazione sia stata preordinata alla realizzazione della condotta medesima o anche solo prevista come certa o altamente probabile, secondo uno schema riconducibile al cd. dolo eventuale. Nel caso di specie, anche a voler ritenere dimostrata l’impossibilità del versamento alla scadenza del termine per gli adempimenti contributivi, l’agente doveva avere previsto come risultato certo che, a fronte della reiterazione, mese dopo mese, del pagamento delle retribuzioni, non avrebbe potuto adempiere agli obblighi contributivi, essendo necessario procedere all’ulteriore pagamento delle spettanze dei lavoratori ciò che del resto è stato apertamente rivendicato, quantomeno nelle fasi di merito. In proposito, va altresì aggiunto che, in ipotesi di conflitto tra l’obbligo contributivo e il diritto dei lavoratori a percepire la retribuzione agli stessi spettante, non illogicamente è stato ritenuto di dover accordare prevalenza a quello che, solo, riceve, secondo la non irragionevole scelta del legislatore, una tutela penalistica attraverso la previsione della fattispecie incriminatrice qui in rilievo. Pertanto, l’imputato avrebbe dovuto, dinnanzi al contestuale sorgere delle due obbligazioni, accantonare le somme corrispondenti al debito previdenziale, onde provvedere al versamento entro il sedici del mese successivo cfr. amplius, in motivazione, Sez. 3, n. 56432 del 18/07/2017, Franzini, non mass. . 6. In particolare, è stato invero precisato così, riassuntivamente ed anche per gli ulteriori riferimenti, Sez. 3, n. 18501 del 17/07/2014, dep. 2015, Rubino, non mass. che è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad allo stesso non imputabili. Mentre in ogni caso, ai fini della sussistenza del reato, non è richiesto il fine di evasione, tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto, il dolo del reato in questione essendo integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento anti-doveroso di volontario contrasto con il precetto violato. 7. In definitiva, quindi, la forza maggiore che esclude la suitas della condotta è la vis cui resisti non potest, a causa della quale l’uomo non agit sed agitur. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495 Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018 Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018 essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità, e non può quindi ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente. In tal modo è stato sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986 Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880 Sez. 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805 Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232 Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495 Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822 . Nei reati omissivi integra pertanto la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856 . Sì che a il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta b la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità c non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità d l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. 8. Alla stregua dei rilievi che precedono, quindi, nonché dalle stesse emergenze processuali e dalle convinzioni espresse dal ricorrente, quest’ultimo operò altre scelte imprenditoriali, omettendo di versare tempestivamente all’Istituto previdenziale quanto già avrebbe dovuto essere accantonato in suo favore, ed in ogni caso scegliendo i creditori da soddisfare e comunque disegnando la scaletta dei propri impegni economici secondo necessità aziendale e non secondo gli obblighi di legge. In tal modo collocandosi al di fuori del perimetro della forza maggiore, ed integrando sicuramente l’elemento soggettivo del reato. D’altronde le vicissitudini lamentate, in relazione ad es. all’andamento del mercato ovvero all’impossibile accesso al credito bancario, appaiono legate all’ineludibile rischio d’impresa. 8.1. Anche recentemente, in conclusione, è stato così ribadito che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017, Agozzino, Rv. 271189 . 9. In definitiva, quindi, il complessivo motivo di impugnazione non appare meritevole di accoglimento, per cui va rilevata l’infondatezza del ricorso. Ne consegue altresì la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.