La durata della convivenza non influisce sulla configurabilità del reato di maltrattamenti contro i familiari

Il reato di cui all’art. 572 c.p. Maltrattamenti contro familiari o conviventi è configurabile nell’ipotesi in cui i maltrattamenti siano posti in essere dal marito nei confronti dell’ex moglie, non rilevando in sé e per sé, ai fini della configurabilità del reato, la durata della convivenza tra i due dopo il divorzio, quanto piuttosto l’ esistenza di una stabile relazione affettiva tra l’imputato e la persona offesa, relazione che ha creato reciproco affidamento e aspettative di assistenza, protezione e solidarietà .

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 19868/18, depositata il 7 maggio. Il caso. La Corte d’Appello di Palermo confermava la penale responsabilità dell’imputato per il reato di maltrattamenti in famiglia. Avverso la sentenza della Corte distrettuale l’imputato ricorre per cassazione denunciando, tra i vari motivi di ricorso, la configurabilità del reato in considerazione dell’assenza del requisito della convivenza di fatto e ciò in ragione della breve coabitazione con l’ex moglie successivamente al divorzio. I maltrattamenti e la convivenza. Il Supremo Collegio ribadisce come in seguito alla novella del 2012, la rubrica dell’art. 572 c.p. è cambiata da maltrattamenti in famiglia a maltrattamenti contro familiari e conviventi . Da ciò ne deriva che il soggetto passivo del reato sia una persona della famiglia o comunque un convivente . Ebbene, la condizione essenziale affinché il reato di maltrattamenti in famiglia sia configurabile risulta essere la sussistenza di una situazione giuridica derivante dal matrimonio oppure da ipotesi di convivenza e stabili relazioni . La Suprema Corte evidenzia quindi che la sentenza impugnata si sia conformata all’orientamento di legittimità che individua nell’accertamento della situazione di convivenza, protratta per congruo periodo di tempo, o pregressa, nell’ipotesi di coniugi separati la condizione per giustificare l’accertamento del reato per la persistenza dei vincoli di solidarietà che ne conseguono e che il delitto di maltrattamenti è configurabile anche se con la vittima degli abusi vi sia un rapporto familiare di mero fatto . Ciò posto, i Giudici di legittimità ritengono corrette le conclusioni espresse nei precedenti giudizi, laddove successivamente alla sentenza di divorzio era stata accertata la convivenza tra il ricorrente e l’offesa, quale tentativo di riconciliazione, e che durante tale riavvicinamento il ricorrente aveva posto in essere le condotte addebitategli. Pertanto, nel caso di specie, divengono circostanze idonee alla configurabilità del reato di cui all’art. 572 c.p. l’esistenza di un pregresso legame coniugale, la presenza di un figlio minore disabile, la volontà degli ex coniugi di tentare una ricomposizione del nucleo familiare, al di là della durata della convivenza . La Corte dunque rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 febbraio – 7 maggio 2018, n. 19868 Presidente Mogini – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Palermo con la sentenza indicata in epigrafe ha confermato la condanna di A.L. , unificati i reati in continuazione, esclusa la recidiva e con la diminuente del rito abbreviato, alla pena di anni due di reclusione per i reati per i reati di cui agli artt. 61 n. 11 quinquies, 572, 582, 585 in riferimento all’art. 576 n. 5, 61 n. 5, e 337 cod. pen. commessi in omissis . 2. Con motivi affidati al difensore di fiducia e di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., l’imputato denuncia violazione di legge e vizio di motivazione 2.1. con riguardo alla configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, avuto riguardo alla circostanza che in data 15 settembre 2015 era intervenuta sentenza di divorzio tra il ricorrente e R.G. ed alla impossibilità di ritenere esistente, stante il breve periodo di coabitazione che era seguito al divorzio, un consolidato e stabile il vincolo di convivenza di fatto che costituisce requisito imprescindibile ai fini della sussistenza del reato 2.2. per la mancata acquisizione di una prova decisiva, cioè le dichiarazioni rese al difensore da T.M. , madre del ricorrente, rilevante ai fini della individuazione della data di inizio del rapporto di coabitazione, collocato dalla persona offesa, in mancanza di riscontri, a metà ottobre 2015 e dalla T. a fine ottobre 2015 e del conseguente giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa che mai ebbe a riferire alla T. la esistenza di problematiche inerenti al rapporto con l’imputato. Risulta inoltre carente l’accertamento sia della stabilità del rapporto di convivenza, per la sua breve protrazione nel tempo, sia della sussistenza del reciproco affidamento dei conviventi e dello stato di soggezione della denunciante 2.3. alla sussistenza del reato di resistenza, motivata in termini assertivi ed apodittici nella sentenza impugnata, in presenza di una condotta di mera critica e reazione all’operato degli agenti e tale da non costituire ostacolo all’attività del pubblico ufficiale che, infatti, non ne venne impedita e, inoltre, per la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. avuto riguardo alle concrete modalità del fatto, non allarmanti, ed alle condizioni soggettive dell’imputato 2.4 alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, denegate con incomprensibile motivazione, e, viceversa, concedibili in ragione del comportamento processuale in relazione alle dichiarazioni rilasciate in sede di convalida dell’arresto ed alla partecipazione al processo, nel giudizio di primo grado. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere rigettato perché proposto per motivi infondati, in parte con carattere di manifesta evidenza, ovvero generici. 2. È generico e manifestamente infondato, in particolare, il secondo motivo di ricorso che concerne la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per procedere alla escussione della madre dell’imputato, T.M.S. , circa l’epoca nella quale era iniziata la convivenza della R. con l’A. . Tali dichiarazioni, nella prospettiva difensiva, sarebbero, inoltre, rilevanti per acclarare la inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa che non si era mai lamentata con la suocera di subire maltrattamenti da parte dell’A. . 3. Rileva il Collegio che, in materia di giudizio abbreviato, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello può essere sindacata, in sede di legittimità, ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen., soltanto qualora sussistano, nell’apparato motivazionale posto a base della conclusiva decisione impugnata, lacune, manifeste illogicità o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza. Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017 - dep. 07/09/2017, P.G. in proc. Giampà e altri, Rv. 271163 . E, all’evidenza, il motivo di ricorso non si confronta affatto con la sentenza impugnata né con riferimento al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa né con riguardo alla ricostruzione fattuale ed alla individuazione dei requisiti della condotta di maltrattamenti in famiglia e rispetto ai quali risulta, in buona sostanza, irrilevante la puntuale individuazione della protrazione cronologica del rapporto di convivenza tra l’A. e la R. . 4. Con riguardo al primo aspetto - e con riferimento anche al coevo motivo di ricorso con il quale il ricorrente censura la sentenza impugnata a riguardo del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa - è sufficiente rilevare che i giudici a quibus hanno espresso un congruo e motivato giudizio di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese dalla persona offesa dichiarazioni che, con riguardo al grave episodio di aggressione consumato nei suoi confronti il OMISSIS , avevano trovato riscontro nelle dichiarazioni di due amiche della donna, presenti ai fatti nel contenuto del referto medico che ne attestava un trauma contusivo del naso, perfettamente compatibile con le testate inflittele in quello del referto medico, rilasciato al figlio minore della coppia, disabile e ciononostante accorso in difesa della madre e che aveva riportato un trauma facciale ed al collo a seguito dell’aggressione del padre nelle risultanze del verbale di arresto poiché l’A. aveva aggredito, strattonandoli e malmenandoli, anche i Carabinieri, accorsi a casa della R. , a richiesta della donna ed a seguito dell’aggressione da costei subita e che trovavano l’imputato mentre inveiva contro la R. e tentava di sfondare un cancello apposto ad una porta -finestra, rompendone il vetro. La Corte di merito, nel valorizzare le dichiarazioni delle testi presenti ai fatti, ne richiamava anche il contributo narrativo relativo alla ricostruzione dei pregressi rapporti familiari dell’A. e della R. , trattandosi di persone che più volte nei mesi precedenti, frequentando abitualmente l’abitazione della coppia, avevano potuto constatare come l’imputato, sovente in stato di ubriachezza, fosse solito ingiuriare la persona offesa con epiteti volgari minacciarla e percuoterla. 5. Ma, come accennato, le argomentazioni difensive sono infondate anche a riguardo della individuazione e ricostruzione dei presupposti normativi del reato di maltrattamenti. 6. Sulla scorta della consolidata giurisprudenza di legittimità, la novella del 1 ottobre 2012 n. 172, ha parzialmente riformato l’art. 572 cod. pen. cambiando la rubrica da maltrattamenti in famiglia in maltrattamenti contro familiari e conviventi, e precisando che soggetto passivo del reato non è soltanto una persona della famiglia, ma una persona della famiglia o comunque convivente e, dunque, riconoscendo il valore sociale della convivenza come modello idoneo a costituire una di quelle formazioni sociali che l’ordinamento costituzionale si impegna a riconoscere e garantire v. art. 2 Cost , ha inteso assicurare tutela penale non solo ai componenti della famiglia legale, ma anche ai membri delle unioni di fatto fondate sulla convivenza Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, I., Rv. 255628 . 7. Per pacifica giurisprudenza di questa Corte condizione di fatto essenziale per la verificazione del delitto di maltrattamenti in famiglia è la sussistenza di una situazione giuridica, derivante dal vincolo matrimoniale, o di fatto, nell’ipotesi di una condizione di convivenza o della presenza di stabili relazioni affettive sul punto, Sez. 5, Sentenza n. 24688 del 17/03/2010, B., Rv. 248312 , che provochino l’affidamento reciproco e la presenza di vincoli di assistenza, protezione e solidarietà, per effetto del comune sviluppo personale e psicologico che in tali comunità si verificano e che, proprio per il vincolo di solidarietà reciproca che questo crea, può rendere difficile alla vittima cogliere lo specifico disvalore degli atti cui è sottoposta, producendo l’ulteriore danno derivante dall’abitualità della sopraffazione. Ciò realizza una lesione del suo interesse ad un’esistenza libera e dignitosa, che si aggiunge a quelle derivanti dalle specifiche ipotesi delittuose che tale violazione fisiologicamente ingloba. In precedenti pronunce di questa Corte, si è più volte riconosciuto che la situazione di convivenza, protratta per congruo periodo di tempo, o pregressa, nell’ipotesi di coniugi separati, è condizione idonea a giustificare l’accertamento del reato, per la persistenza dei vincoli di solidarietà che ne conseguono e che il delitto di maltrattamenti è configurabile anche se con la vittima degli abusi vi sia un rapporto familiare di mero fatto, desumibile, anche in assenza di una stabile convivenza, dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza. 8. A tali linee interpretative si è uniformata la sentenza impugnata che, incontestata la sentenza di divorzio intervenuta nel settembre 2015, sulla scorta delle dichiarazioni rese da R.G. , ha ritenuto accertato che poco tempo dopo - non è decisivo se a metà o fine ottobre 2015 - la R. aveva accettato di accogliere in casa l’A. e che i due avevano ripreso la convivenza per tentare una riconciliazione, fallita, poiché l’A. aveva persistito nel vizio del bere ed aveva ripetutamente manifestato il proprio carattere aggressivo verso la R. ingiuriandola e percuotendola fino al descritto episodio del OMISSIS . Sono dunque la esistenza di un pregresso legame coniugale la presenza di un figlio, minore e disabile la volontà degli ex coniugi di tentare una ricomposizione del rapporto familiare, al di là della durata della convivenza, comunque oggettivamente di non breve durata perché protrattasi perlomeno da ottobre 2015 al OMISSIS , a rendere configurabile nel caso in esame il delitto di cui all’art. 572 cod. pen., in presenza di una situazione di fatto che ha evidenziato la esistenza di una stabile relazione affettiva tra l’imputato e la persona offesa relazione che ha creato reciproco affidamento e aspettative di assistenza, protezione e solidarietà, sia pure mal riposte poiché immediatamente l’A. era tornato alle sue vecchie abitudini che vedevano il rapporto familiare improntato all’asservimento della persona offesa attraverso continue aggressioni, soprusi, ed il sistematico ricorso alla violenza, anche verso il figlio sia spettatore della violenza inflitta alla madre sia esso stesso destinatario di violenza verbale, per gli epiteti ingiuriosi dei quali lo rendeva destinatario a cagione della malattia, e fisica, come nel descritto episodio del OMISSIS . 9. La Corte palermitana ha ritenuto, dunque, comprovata un’abituale condotta di maltrattamenti posta in essere dall’imputato evidenziando, sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e asseverate da quelle delle testi escusse, che il comportamento aggressivo e violento dell’imputato, lungi dal risolversi in occasionali scatti d’ira, era improntato alla sopraffazione, offesa ed umiliazione della compagna che ne aveva riportato, oltre alle lesioni di volta in volta cagionatele, uno status psicologico caratterizzato da paura e terrore continui, ansia e senso di impotenza, stati psicologici tipici della vittima del reato in esame. 10. Manifestamente infondati sono i motivi di ricorso che investono la sussistenza del reato di resistenza e generico e indeducibile il motivo che concerne la mancata applicazione, in relazione a detto reato, della causa di non punibilità di cui all’art. 131- bis cod. pen In linea con la giurisprudenza di questa Corte Sez. 6, n. 46743 del 06/11/2013 - dep. 22/11/2013, Ezzamouri, Rv. 257512 i giudici del merito hanno evidenziato che, ai fini della consumazione del reato, non rileva che sia in concreto impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi minaccia o violenza per opporsi al compimento di un atto di ufficio o del servizio, che è proprio quanto verificatosi nel caso in esame a seguito degli strattonamenti e spintona menti in danno degli agenti nel corso di un’azione diretta alla ricerca dello scontro fisico con i verbalizzanti, connotato, questo ritenuto ostativo - con congrua e ragionevoli argomentazioni incentrate sulla obiettiva gravità del fatto - all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen Rispetto a tali argomentazioni neppure allegati specifici elementi fattuali che i giudici del merito avrebbero trascurato di valutare ai fini del diniego di applicazione della causa di non punibilità. 11. Manifestamente infondato è, infine, il motivo di ricorso che concerne la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, in forza del comportamento processuale. La Corte di merito si è fatta carico di esaminare la richiesta difensiva ma ha escluso tale opzione evidenziando la reiterazione nel tempo delle condotte illecite tenuto dall’imputato, che hanno coinvolto anche il figlio minore e i precedenti penali. Tanto basta a compendio della logicità ed adeguatezza della giustificazione dell’entità della pena, anche in chiave di valutazione soggettiva della capacità a delinquere, non essendo affatto tenuto il giudice a valorizzare ogni e qualsiasi elemento fra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., poiché è sufficiente che dia conto delle ragioni della prevalenza di uno di tali elementi ai fini dell’esercizio del potere sanzionatorio. 12. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.