Omessa assistenza familiare: lo stipendio dell’ex moglie non evita la condanna

Il reato di cui all’art. 570, comma 2, c.p. sussiste anche laddove l’altro genitore abbia la concreta possibilità di provvedere in via sussidiaria al sostentamento del figlio.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19508/18, depositata il 4 maggio. Il caso. La Corte d’Appello di Trento confermava la sentenza di prime cure che aveva dichiarato l’imputato colpevole del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare per aver omesso il versamento della somma stabilita dal giudice a favore del figlio minore. Dichiarazioni autoindizianti. Avverso la pronuncia, ricorre in Cassazione l’imputato dolendosi per l’utilizzo delle dichiarazioni autoindizianti, relative ad attività lavorative in nero”, rese alla polizia giudiziaria in assenza del proprio difensore e tese al solo fine di affermare la disponibilità di risorse finanziarie idonee a soddisfare i propri obblighi patrimoniali nonostante il perdurante stato di disoccupazione. Le doglianze risultano infondate in quanto le dichiarazioni di cui il ricorrente invoca l’inutilizzabilità sono state rese alla polizia giudiziaria delegata dal PM, fermo restando che dall’esame del verbale risulta chiara la presenza del difensore. Stato di bisogno. In relazione alla dedotta insussistenza di uno stato di bisogno del figlio, determinato dalla condanna del ricorrente, stante lo stipendio fisso di cui gode l’ex coniuge, la Corte sottolinea il consolidato principio secondo cui in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza . Ne consegue che il reato di cui all’art. 570, comma 2, c.p. sussiste anche laddove l’altro genitore abbia la concreta possibilità di provvedere in via sussidiaria al sostentamento del figlio. Né il convincimento che la capacità economica dell’altro genitore possa esonerare” l’imputato dai propri obblighi può essere riconducibile ad un’ipotesi di ignoranza scusabile di una norma che corrisponde ad un’esigenza morale universalmente avvertita sul piano sociale . Aggiunge inoltre il Collegio che lo stato di bisogno e l’obbligo del genitore di contribuire al mantenimento del figlio minore non vengono nemmeno neppure laddove gli aventi diritto ricevano un’assistenza mediante elargizioni a carico della pubblica assistenza. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 marzo – 4 maggio 2018, n. 19508 Presidente Paoloni – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 2 dicembre 2016, la Corte d’appello di Trento ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Trento, che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato M.G. colpevole del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, per aver omesso di corrispondere al figlio minore la somma di 300,00 Euro mensili stabilita dal Tribunale, e lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di un mese di reclusione e di Euro 100,00 di multa. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale indicata in epigrafe l’avvocato Vasco Chilovi, quale difensore di fiducia di M.G. , articolando tre motivi. 2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 63 e 350 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c , cod. proc. pen., avendo riguardo all’utilizzo di dichiarazioni autoindizianti rese in assenza di difensore. Si deduce che illegittimamente entrambe le sentenza di merito ricorrono alle ammissioni rese dall’imputato alla polizia giudiziaria in ordine ad attività lavorative svolte in nero , al fine di affermare la disponibilità, in capo al medesimo, di risorse per soddisfare i propri obblighi di tipo patrimoniale. 2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 570, secondo comma, n. 2, cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., avendo riguardo alla sussistenza dello stato di bisogno. Si deduce che l’inadempimento non ha determinato uno stato di bisogno, in quanto l’ex-coniuge gode di stipendio fisso discretamente remunerato. 2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 570, secondo comma, n. 2, cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata considerazione dell’impossibilità ad adempiere per l’imputato. Si deduce che la sentenza impugnata, pur riconoscendo lo stato di disoccupazione dell’imputato da 23 mesi, esclude ogni rilievo a tale circostanza, valorizzando invece lo svolgimento di lavoro in nero . Considerato in diritto 1. Il ricorso espone censure manifestamente infondate, quando non anche prive della specificità richiesta dall’art. 581, comma 1, lett. c ora d , cod. proc. pen. 2. Le critiche esposte nel primo motivo, e che attengono all’inutilizzabilità delle dichiarazioni auto-indizianti rese dall’imputato, sono manifestamente infondate. Invero, la sentenza di primo grado, nell’indicare come utilizzabile il verbale di interrogatorio del 5 novembre 2014, nel quale l’imputato ammette di non aver mai versato alcunché al figlio, di aver lavorato come piastrellista in nero fino al 2010 e, sia pure in misura molto ridotta, anche dopo, rappresenta che le dichiarazioni sono state rese dal ricorrente alla polizia giudiziaria delegata dal Pubblico ministero. L’esame diretto del verbale, peraltro, consente anche di rilevare che l’interrogatorio è stato reso in presenza del difensore. È perciò corretta la decisione dei giudici di merito di utilizzare il verbale di interrogatorio in questione, in quanto facente parte degli atti del procedimento definito nelle forme del rito abbreviato condizionato. 3. Le doglianze formulate nel secondo motivo, e che attengono alla sussistenza dello stato di bisogno del figlio minore, sono manifestamente infondate. Invero, come correttamente afferma la sentenza impugnata, costituisce principio assolutamente consolidato in giurisprudenza quello secondo cui, in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza, con la conseguenza che il reato di cui all’art. 570, secondo comma, cod. pen., sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore cfr., tra le tantissime, Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, S., Rv. 261871, e Sez. 6, n. 8912 del 04/02/2011, K., Rv. 249639 . Anzi, si può aggiungere che, secondo quanto precisato da diverse decisioni, l’eventuale convincimento del genitore inadempiente di non essere tenuto, in caso di prestazione sussidiaria da parte dell’altro genitore, all’assolvimento del suo primario dovere, non integra nemmeno un’ipotesi di ignoranza scusabile di una norma che corrisponde ad un’esigenza morale universalmente avvertita sul piano sociale cfr., in particolare, Sez. 6, n. 34675 del 07/07/2016, R., Rv. 267702, e Sez. 6, n. 17692 del 09/01/2004, Bencivenga, Rv. 228491 . Ancora, per completezza, e considerato che la madre del minore percepisce un anticipo dal Comune di Trento per l’assegno non pagato dal padre e di un assegno bimestrale di assistenza della Regione Trentino-Alto Adige, va rilevato che, secondo la giurisprudenza, lo stato di bisogno e l’obbligo del genitore di contribuire al mantenimento dei figli minori non vengono meno neppure quando gli aventi diritto siano assistiti mediante elargizioni a carico della pubblica assistenza cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 46060 del 22/10/2014, D M., Rv. 260823, e Sez. 6, n. 2736 del 13/11/2008, dep. 2009, L., Rv. 242854 . 4. Le censure dedotte nel terzo motivo, e che riguardano la possibilità dell’imputato di adempiere, sono prive della specificità richiesta dall’art. 581, comma 1, lett. c ora d , cod. proc. pen., e, comunque, manifestamente infondate. Invero, il ricorrente contesta che la sentenza impugnata non ha adeguatamente valutato lo stato di disoccupazione protrattosi per ventitre mesi. In tal modo, l’impugnazione non si confronta compiutamente con il rilievo evidenziato dalla Corte d’appello, secondo il quale lo stato di disoccupazione per ventitre mesi non è fatto dirimente a fronte di un inadempimento totale protrattosi per oltre dieci anni, ossia dall’agosto 2004, data del provvedimento di separazione, al maggio 2015, data della sentenza di primo grado, e, comunque, non evidenzia alcuna manifesta illogicità di questo argomento. 5. Al rilievo della manifesta infondatezza delle censure, nonché anche, in parte, dell’assenza di specificità delle medesime, segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro duemila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.