Tentato furto in un bar dopo la chiusura: il luogo del delitto è qualificabile come dimora privata

Gli imputati ricorrono per cassazione contro la condanna per il reato di tentato furto sostenendo che il delitto sia stato commesso in un bar in orario di chiusura, e per questo motivo il fatto di reato era stato erroneamente qualificato come furto in abitazione, ai sensi dell’art. 624-bis c.p La Suprema Corte approfitta della controversia per ribadire gli elementi che connotano la dimora privata.

Sul tema la Cassazione con sentenza n. 18786/18, depositata il 2 maggio. Il fatto. La Corte d’Appello confermava la decisione di prime cure, all’esito del giudizio abbreviato, e condannava gli imputati alla pena di giustizia per aver commesso tentato furto all’interno di un bar. Contro la decisione di merito i condannati hanno proposto ricorso per cassazione con un unico motivo. In particolare i ricorrenti deducono che il fatto di reato sarebbe stato erroneamente qualificato come furto in abitazione, ai sensi dell’art. 624- bis c.p., mentre, al contrario, il luogo del furto era un bar in orario di chiusura, il quale non poteva essere ricondotto alla nozione di dimora privata. Dimora privata. Gli Ermellini hanno ritenuto infondato il motivo di ricorso. Infatti i Giudici di merito hanno correttamente inquadrato la condotta degli imputati nel reato di furto in abitazione, ritenendo che il bar, fuori dall’orario di apertura e chiuso al pubblico, possa essere usato dal titolare per svolgere attività attinenti alla vita privata. A sostegno di ciò la Suprema Corte ha richiamato una precedente pronuncia della Sezioni Unite SS.UU. Cass. n. 31345/17 nella quale è stato stabilito che rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinata ad attività lavorativa o professionale . Per questi motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 gennaio – 2 maggio 2018, n. 18786 Presidente Vessichelli – Relatore Morosini Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la condanna, all’esito di giudizio abbreviato, di T.M. e D.N.D. , in ordine al reato di cui agli artt. 110, 56, 624 bis, 625 n. 2 cod. pen., per aver tentato di commettere un furto all’interno di un bar. 2. Avverso la sentenza ricorrono gli imputati, per il tramite del loro comune difensore, articolando un unico motivo, con cui denunciano violazione di legge. I ricorrenti deducono che il fatto sarebbe stato erroneamente qualificato ai sensi dell’art. 624 bis cod. pen., mentre in realtà il luogo del furto - un bar in orario di chiusura - non presentava caratteristiche che consentissero di ricondurlo alla nozione di privata dimora. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. I giudici di merito hanno inquadrato la condotta degli imputati nel reato di cui all’art. 624 bis cod. pen., ritenendo che i locali di un bar, fuori dall’orario di apertura e comunque di chiusura al pubblico - possono essere utilizzati dal titolare per svolgere attività attinente alla propria sfera privata. Tale motivazione è carente rispetto ai criteri autorevolmente stabiliti dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite. Tuttavia la decisione è, nel caso specifico, giuridicamente corretta. 2. Le Sezioni Unite hanno stabilito che rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, Rv. 270076 . Nel caso sottoposto al loro esame le Sezioni Unite hanno escluso l’ipotesi prevista dall’art. 624 bis cod. pen. con riferimento a un furto commesso all’interno di un ristorante, sul presupposto che non risultava dagli atti che fosse stato interessato un locale in cui si potessero svolgere atti della vita privata del titolare, in modo riservato e senza possibilità di accesso da parte di estranei Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, in motivazione . Nella specie il dato, valorizzato dai giudici di merito, che il furto è stato commesso in un bar in orario di chiusura non è, quindi, di per sé significativo ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 624 bis cod. pen 3. In realtà, ai fini dell’inquadramento giuridico del fatto, soccorrono altre circostanze comunque ricavabili dal corpo motivazionale della sentenza. Gli imputati avvalendosi di un piede di porco con il quale avevano forzato la porta di ingresso di un condominio sito in omissis e dopo aver fatto ingresso nel predetto stabile ed essere scesi al piano seminterrato, avevano scardinato la porta che consentiva l’accesso al bar pagina 1 sentenza impugnata . I ricorrenti, quindi, nel tentativo di impossessarsi di cose mobili esistenti all’interno del bar, sono penetrati in un edificio destinato, almeno in parte a privata dimora e nelle pertinenze di essa. Invero un condominio - inteso nel senso comune di fabbricato adibito a una pluralità di abitazioni - risponde ai requisiti di cui all’art. 624 bis cod. pen. stante la presenza di quegli elementi che secondo le Sezioni Unite connotano una privata dimora a utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata riposo, svago, alimentazione, studio , in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne b durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità c non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, in motivazione . Gli autori del tentato furto, per raggiungere il loro obiettivo, si sono introdotti in un luogo di privata dimora. Tanto basta a qualificare la condotta in rassegna ai sensi dell’art. 624 bis cod. pen., rendendo superfluo verificare ulteriormente se il tentativo di ingresso nel bar abbia interessato o meno, all’interno dell’esercizio commerciale, luoghi adibiti non occasionalmente allo svolgimento di atti della vita privata, non aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare. 4. In definitiva la decisione è corretta nell’esito, seppur fondata su motivazione non conferente. Tale errore però non è denunciabile nel giudizio di legittimità in quanto non può sussistere ragione alcuna di doglianza quando le questioni di diritto siano state esattamente risolte, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata Sez. 2, n. 19696 del 20 maggio 2010, Maugeri, Rv. 247123 Sez. U., n. 155 del 29 settembre 2011, dep. 2012, Rossi, in motivazione . 5. In sede di conclusioni i ricorrenti insistono per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, ma la richiesta è inammissibile perché non raccordata ad alcun motivo di ricorso. 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.