Moglie vessata dal marito tossicodipendente: i problemi di droga non sono una giustificazione

Definitiva la condanna nei confronti dell’uomo. Nessun dubbio sulle aggressioni fisiche e verbali messe in atto nei confronti della donna. Irrilevante il richiamo difensivo agli effetti negativi provocati in lui dalla droga.

Aggressioni fisiche e verbali, accompagnate dalla minaccia di toglierle il figlio. Così il marito, tossicodipendente, costringe a una vita da incubo la moglie. Logica la sua condanna per il reato di maltrattamenti. Irrilevante il richiamo dell’uomo ai problemi causatigli dalla droga che ne avrebbero alterato la capacità di intendere e di volere su questo punto i giudici sottolineano che la tossicodipendenza è una scelta volontaria e consapevole Corte di Cassazione, sentenza n. 17990/18, sez. VI Penale, depositata il 20 aprile . Aggressione. A inchiodare l’uomo sono i racconti della moglie, certo, ma anche alcuni testimoni che hanno certificato i soprusi da lui messi in atto. L’ultimo episodio, in particolare, è stato registrato in carcere, quando la donna è andata a trovare il marito, e quest’ultimo l’ha aggredita verbalmente, minacciandola di toglierle il figlio, di farle passare l’inferno e sputandole addosso . Nessun dubbio, quindi, sui maltrattamenti subiti dalla donna, così prostrata da rinunciare addirittura a sporgere denuncia per paura di ritorsioni . Questo quadro è sufficiente perciò per arrivare a una condanna dell’uomo, ritenuto colpevole del reato di maltrattamenti e sanzionato con sedici mesi di reclusione , oltre che con l’obbligo di provvedere al risarcimento dei danni in favore della moglie. Su questa visione concordano sia il GUP del Tribunale che la Corte d’Appello che, infine, i Giudici della Cassazione. Definitiva perciò la condanna dell’uomo. E irrilevante è ritenuto il richiamo difensivo alle ripercussioni – con problemi psicotici – da lui subite a causa della droga su questo punto i giudici osservano che la tossicodipendenza è frutto di una scelta volontaria e consapevole .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 marzo – 20 aprile 2018, n. 17990 Presidente Paoloni – Relatore Criscuolo Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza emessa il 15 maggio 2015 dal G.u.p. del Tribunale di Trieste, che, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato con la diminuente di rito Go. El. El. Al. Ah. per il delitto di maltrattamenti in danno della moglie alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione oltre al risarcimento dei danni, revocando il beneficio della sospensione condizionale, concesso con sentenza del Tribunale di Milano, divenuta irrevocabile il 27 ottobre 2010. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso personalmente l'imputato, che ne chiede l'annullamento per i seguenti motivi 2.1 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in quanto la Corte di appello ha svalutato le argomentazioni espresse dal G.i.p. del Tribunale di Udine, che aveva rigettato la domanda cautelare, ritenendo non attendibili le dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile e quindi, portatrice di un interesse, che avrebbe imposto un più rigoroso controllo di attendibilità, tenuto conto della genericità dei riscontri, valorizzati in sentenza e del frequente ricorso a massime di esperienze per giustificare la mancanza di precisi riferimenti temporali o di una puntuale descrizione delle azioni 2.2 violazione degli art. 2 e 572 cod. pen. e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello rigettato con motivazione insufficiente ed illogica l'eccezione difensiva circa la mancata applicazione del regime sanzionatolo più favorevole, previsto dalla disciplina precedente. Sostiene che illogicamente la Corte di appello ha fatto riferimento all'episodio avvenuto in carcere come termine finale del reato, trascurando che nelle dichiarazioni del luglio 2012, precedenti alla modifica dell'art. 572 cod. pen., la persona offesa aveva fatto riferimento ad una sola minaccia senza riferire alcun episodio avvenuto negli anni precedenti, cosicché, in assenza di specifiche indicazioni di condotte maltrattanti nel periodo dal luglio 2012 al dicembre 2013, compreso il periodo in cui egli era detenuto, doveva procedersi ad un controllo più approfondito della credibilità della persona offesa, anziché ritenere illogicamente che la condotta fosse proseguita senza soluzione di continuità sino al dicembre 2013 2.3 vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche, stante il mero richiamo alla gravità del fatto ed al mancato risarcimento del danno, senza tener conto della situazione economica del ricorrente, che percepisce soli 50 Euro mensili dalla comunità che lo ospita i regime di libertà vigilata e che, ciò nonostante, ha cercato di mantenere i contatti con il figlio e ha intrapreso un percorso di riabilitazione 2.4 mancata assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione per avere la Corte di appello respinto con motivazione erronea e sbrigativa la richiesta di rinnovazione istruttoria con espletamento di nuova perizia, nonostante l'insufficienza della perizia già espletata, anche alla luce delle valutazioni dello psichiatra del Sert di Udine, che lo aveva in cura, trattandosi di prova essenziale per valutare l'incidenza dei disturbi indotti dal massiccio consumo di sostanze stupefacenti sulla capacità di intendere e di volere al momento del fatto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per genericità, in quanto ripropone le identiche censure, già formulate in appello, disattese dai giudici di secondo grado con motivazione esaustiva, puntuale e non manifestamente illogica, con la quale il ricorrente non si confronta, limitandosi a ribadire la propria lettura della vicenda. 2. Del tutto infondato è il primo motivo, avendo i giudici di appello ampiamente motivato sull'attendibilità della persona offesa e puntualmente spiegato le ragioni della ritenuta erroneità, parzialità e superficialità della valutazione effettuata sul punto dal G.i.p. in sede cautelare, già rilevata dal Tribunale del riesame, che aveva riformato quella decisione. Dopo aver riportato alcuni passaggi dell'ordinanza del Tribunale del riesame, la Corte di appello ha valorizzato 1 la deposizione dell'El., il quale aveva confermato di aver visto in alcune occasioni l'imputato aggredire verbalmente e fisicamente la moglie, minacciandola di toglierle il bambino e colpendola con un oggetto alla testa 2 la deposizione dell'Abdalla, che aveva assistito a vari litigi tra i coniugi 3 le circostanze risultanti dall'annotazione di p.g. del luglio 2012, attestanti lo stato di prostrazione della moglie del ricorrente, che aveva rifiutato di sporgere denuncia per le minacce precedentemente rivoltele per il timore di ritorsioni ed aveva chiesto di essere ospitata per la notte, temendo aggressioni e violenze fisiche 4 l'episodio verificatosi nel dicembre 2013, quando si era recata in carcere a trovare il marito, che l'aveva minacciata di toglierle il figlio, di non farglielo trovare, di farle passare l'inferno, sputandole addosso, quali elementi di riscontro alle dichiarazioni della persona offesa, credibili in ordine all'ingravescente aggressività del coniuge, dovuta all'abuso di sostanze stupefacenti, assunte anche in presenza del figlio, sfociata in aggressioni anche in danno di suoi amici, come riferitole dal figlio, che aveva assistito a tali episodi. L'assunzione di stupefacenti è circostanza non negata dal ricorrente, che anzi, alla stessa attribuisce rilievo per giustificare la richiesta di rinnovazione istruttoria. 2. Anche tale motivo è inammissibile per genericità, in quanto il ricorrente ripropone le critiche già formulate in appello avverso la perizia, disposta dal G.u.p., che aveva concluso per la piena capacità di intendere e di volere dell'imputato. Con motivazione puntuale, la Corte di appello ha giustificato la decisione negativa per la ritenuta completezza ed accuratezza della perizia, che aveva considerato la condizione di tossicodipendenza del ricorrente ed anche gli episodi psicotici, segnalati nella relazione prodotta in giudizio, quindi, valutata, contrariamente all'assunto del ricorrente, cosicché le censure reiterate nel ricorso si risolvono nella riedizione di argomentazioni critiche, fondate, come ritenuto dai giudici di appello, su studi ed accertamenti di carattere generale e non sulla valutazione del caso specifico, effettuata dal perito nominato dal giudice. 3. Parimenti inammissibile è il motivo relativo all'erronea applicazione del regime sanzionatorio previsto dalla modifica del 2012, correttamente giustificato dalla Corte di appello in ragione della natura abituale del reato di maltrattamenti, che si sviluppa nel tempo ed è correlata alla reiterazione di più atti lesivi dell'integrità fisica e morale della vittima ovvero da una serie di atti lesivi, in cui ogni singola azione è elemento della serie, al realizzarsi della quale si perfeziona il reato ne discende che la struttura del reato è perdurante e continuativa, in quanto ogni azione si salda alla precedente, dando vita ad un reato unitario, definito reato di durata , che mutua la disciplina della prescrizione dai reati permanenti, ma che si perfeziona con il compimento dell'ultimo atto della serie, in quanto in tale momento diventa complessivamente riconoscibile e qualificabile come maltrattamento Sez. 6, n. 52900 del 04/11/2016, Rv. 268559 . 4. Analogamente inammissibile per genericità e manifesta infondatezza è il motivo relativo al diniego delle attenuanti generiche, ampiamente e analiticamente motivato con espresso riferimento agli elementi ostativi valorizzati, quali la gravità e reiterazione delle condotte, la gravità della minaccia con un coltello, l'assunzione di stupefacenti in presenza del figlio ed il precedente per violazioni in materia di stupefacenti, considerando altresì, la condizione di disagio e di tossicodipendenza del ricorrente, alla quale correttamente non è stato attribuito alcun rilievo, trattandosi di scelta volontaria e consapevole. All'inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in Euro duemila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.