Nessuna carica intimidatoria? Non è estorsione, indipendentemente dalla “reputazione” dell’indagato

Il Gip disponeva la custodia in carcere nei confronti dell’indagato per il reato di tentata estorsione, ma il Tribunale del riesame annullava l’ordinanza della misura cautelare, ritenendo insussistente la condotta estorsiva. Contro la decisione di merito ricorre per cassazione il PM, secondo il quale assumono una certa rilevanza i rapporti con la criminalità organizzata dell’indagato.

Sul punto la Cassazione con sentenza n. 17153/18, depositata il 17 aprile. Il caso. Il Tribunale di Messina accoglieva l’istanza di riesame dell’indagato e annullava l’ordinanda del GIP che aveva applicato la misura cautelare delle custodia in carcere in relazione al delitto tentato di estorsione, di cui agli artt. 56 e 629 c.p In particolare l’indagato era accusato di aver richiesto l’assunzione del figlio in un nuovo punto vendita aperto dalle persone offese del reato e tale condotta veniva considerata estorsiva dalla polizia giudiziaria. Secondo il Tribunale del riesame l’assenza di carica intimidatoria anche implicita nella richiesta dell’indagato, alla stregua delle indicazioni della stessa persona offesa portava all’insussistenza di quadro indiziario grave, ed inoltre, la caratura criminale dell’indagato” testimoniata dalla condanna per precedenti delitti in materia di criminalità organizzata non era idonea da sola a dimostrare che la richiesta di assunzione fosse intimidatoria. Contro la decisione del Tribunale ricorre per cassazione il PM lamentando un erronea valutazione degli elementi indiziari, in quanto anche il figlio dell’indagato era attinto dalla medesima misura cautelare per un altro episodio di estorsione alle medesime persone offese. Secondo il PM le condotte di padre e figlio erano segmenti della medesima articolata vicenda criminosa . Condotta estorsiva. Secondo il Supremo Collegio la doglianza promossa dal PM non tiene conto della valutazione complessiva del materiale indiziario svolta dal Tribunale. Infatti, osserva la Corte, il Giudice di merito non ha negato o ridimensionato la qualifica oggettiva dell’indagato e si è limitato, invece, a riconoscere che la richiesta di assunzione non aveva i connotati di una richiesta estorsiva in assenza di elementi oggetti idonei per individuare tratti di intimidazione . Inoltre la Cassazione ha rilevato che il peso del riconosciuto inserimento degli indagati all’interno della criminalità organizzata ha assunto rilievo nella misura cautelare imposta al figlio proprio perché quest’ultimo, al contrario del padre, nel differente episodio aveva formulato una richiesta, evocando i benefici finali, con i caratteri tipici della condotta estorsiva. Per queste ragioni la Corte ha ritenuto infondato il motivo ed ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 marzo – 17 aprile 2018, n. 17153 Presidente Diotallevi – Relatore Di Paola Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Messina, con ordinanza in data 28/9/2017, accogliendo l’istanza di riesame proposta da B.S.A., annullava l’ordinanza del G.I.P. del medesimo Tribunale, che aveva applicato nei confronti del B.S. la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione al delitto di cui agli artt. 56, 629 cod. pen., 7 l. 203/91. La vicenda riguardava un episodio desunto dalle dichiarazioni delle persone offese, titolari di un esercizio commerciale per la vendita all’ingrosso di cereali e mangimi, che erano state convocate dalla polizia giudiziaria sulla scorta di fonti anonime che le indicavano come vittime di attività estorsive le persone offese avevano riferito che, poco dopo l’apertura di un nuovo punto vendita, era stata loro rivolta una richiesta dall’indagato, persona da loro conosciuta, che aveva chiesto l’assunzione del figlio B.S.S. il titolare della ditta aveva risposto di non avere necessità di assumere del personale. 2. Il Tribunale del riesame aveva ritenuto che l’assenza di carica intimidatoria anche implicita nella richiesta dell’indagato, alla stregua delle indicazioni della stessa persona offesa che aveva escluso sia contenuti minacciosi, sia l’uso di termini evocativi o allarmanti, portava a ritenere l’insussistenza di un grave quadro indiziario né potevano desumersi argomenti in proposito dalla caratura criminale dell’indagato, soggetto condannato, con due sentenze, per delitti in materia di criminalità organizzata commessi sino alla metà degli anni ‘90, trattandosi di dato non idoneo, da solo, a far ritenere intimidatoria la richiesta formulata. 3. Propone ricorso per cassazione il P.M. deducendo con unico motivo di ricorso la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per aver valutato differentemente i medesimi elementi indiziari in particolare, la personalità dell’indagato nell’ambito del medesimo provvedimento, in relazione alle considerazioni svolte sulla posizione processuale del figlio dell’indagato, anch’egli attinto dalla medesima misura cautelare per un successivo episodio di tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 l. 203/91, in danno delle stesse persone offese. Ha osservato il p.m. che il riconoscimento della gravità indiziaria nei confronti del coindagato era stato fondato sulla forza evocativa del contesto di riferimento dato il radicamento strutturale di B.S.A. e B.S.S. nella cosca mafiosa dei c.d. OMISSIS che le due condotte non potevano essere considerate separatamente, ma rappresentavano segmenti della medesima articolata vicenda criminosa , finalizzata ad estorcere indebiti vantaggi alle persone offese formulando prima la richiesta di assunzione, poi quella diretta a ricevere un regalo condotta posta in essere dal figlio S., ossia da colui che avrebbe beneficiato dell’assunzione richiesta dal padre . Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. La censura che il P.m. ricorrente muove al provvedimento impugnato, astrattamente idonea a evidenziare dati dissonanti all’interno della medesima motivazione, non tiene conto però della valutazione complessiva condotta dal Tribunale sul materiale indiziario a disposizione del Collegio. Infatti, quando il Tribunale ha fatto riferimento alla qualifica soggettiva dell’indagato non l’ha negata o ridimensionata, ma ha ritenuto - correttamente - che quel solo dato soggettivo non fosse in grado di attribuire alla richiesta, che l’indagato aveva rivolto alle assunte persone offese ossia, quella di assumere il figlio in occasione dell’apertura di un nuovo punto vendita , i connotati di una richiesta estorsiva, in assenza di elementi oggettivi idonei per individuare tratti di intimidazione e, ancor meno, di violenza nella formulazione della richiesta stessa, giungendosi diversamente a ipotizzare che qualsivoglia richiesta a contenuto economico, proveniente dall’indagato ovvero, da altro soggetto cui fosse attribuibile la caratura criminale del B.S. avrebbe rappresentato un’ipotesi di condotta a contenuto estorsivo. 3. La circostanza che nel medesimo provvedimento il Tribunale abbia valutato il peso del riconosciuto inserimento, dell’odierno indagato e del figlio, tra gli esponenti di rilievo della criminalità organizzata sul territorio per confermare la responsabilità di B.S.S. in relazione ad un episodio di tentata estorsione aggravata, non si pone in contraddizione con la prima statuizione, poiché in quel diverso episodio il figlio del ricorrente aveva formulato una richiesta evocando i beneficiari finali o comunque coloro nel cui interesse veniva avanzata la richiesta, peraltro in termini convenzionali chiaramente diretti a far comprendere alle vittime l’oggetto stesso della richiesta un regalo sicché, in quella valutazione il dato storico dell’inserimento dell’indagato e del genitore era stato utilizzato dal Tribunale per confermare il carattere evocativo dell’esistenza di un gruppo criminale di riferimento, già contenuto peraltro nello stesso tenore letterale della richiesta mi hanno mandato per un regalo . 4. Quanto alla deduzione del P.m. ricorrente secondo cui i due episodi contestati al genitore ed al figlio, andavano letti quali segmenti di un’unica attività estorsiva, la stessa involge accertamenti di merito che non possono essere introdotti nel giudizio di legittimità, non risultando dal testo del provvedimento impugnato dati obiettivi per desumere una siffatta ricostruzione. 5. L’infondatezza del ricorso ne comporta il rigetto. P.Q.M. Rigetta il ricorso.