Commerciate che operava online condannato per evasione fiscale e omessa dichiarazione

Doppia condanna per l’imputato che svolgeva la sua attività commerciale online. Il commerciante al dettaglio, dichiarato colpevole per il reato di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione nei due gradi di giudizio, prova a difendersi in Cassazione. Il Supremo Collegio si esprime sul superamento delle soglie di punibilità per l’evasione fiscale e sugli obblighi derivanti dall’attività online.

Sul punto la Cassazione con sentenza n. 16296/18 depositata il 12 aprile. Il caso. La Corte d’Appello di Catania, confermando la decisione di prime cure, condannava l’imputato alle pena giustizia per il reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74/2000 Legge sui reati tributari in relazione agli anni di imposta ad ai relativi importi. Avverso la decisione di merito l’imputato ha proposto ricorso per cassazione per il tramite del difensore di fiducia. Imposte evase e soglia di punibilità. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce l’erronea applicazione dell’art. 4 Dichiarazione infedele d.lgs. n. 74/2000, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto sussistere il presupposto oggettivo della fattispecie in esame, in quanto, dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 158/2015 Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23 , l’ammontare evaso sarebbe inferiore alla soglia di punibilità con riferimento a tutte le imposte evase. Secondo il Supremo Collegio il motivo è inammissibile in quanto la doglianza ripropone la stessa questione già disattesa dai Giudici di merito. In particolare, osserva la Corte, il delitto di dichiarazione infedele, ai sensi del citato articolo, si perfeziona in presenza del superamento della soglia in relazione all’ammontare anche di una sola imposta e non, come opina la difesa, di entrambe le imposte . Detta considerazione è stata correttamente rilevata dalla Corte territoriale, la quale ha ritenuto che, nel caso in esame, con riferimento all’IRPEF, l’imposta evasa è superiore alla soglia di punibilità. Violazione della normativa comunitaria. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 5 Omessa dichiarazione d.lgs. n. 74/200. Il difensore dell’imputato sostiene che quest’ultimo non avrebbe avuto l’obbligo di presentare le dichiarazioni annuali, in quanto l’attività economica è avvenuta online e tra società straniere. La Cassazione ha dichiarato anche il restante motivo di ricorso inammissibile. Infatti gli Ermellini hanno osservato che correttamente il Giudici di merito hanno ritenuto che l’attività dell’imputato risultava effettuata in ambito comunitario e con l’utilizzo di conti correnti con acceso in Italia, sui quali venivano effettuati i pagamenti dei clienti per l’acquisto dei prodotti. Per questo motivo nell’esercizio della sua attività l’imputato non solo aveva violato le leggi sul commercio elettronico, non avendo né comunicato all’amministrazione tributaria la sua attività né emesso le fatture nei confronti dei clienti, ma aveva l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi, in quanto percepiti sul territorio nazionale, e, pertanto, soggetti alla tassazione secondo le leggi dello Stato . In conclusione la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 febbraio – 12 aprile 2018, n. 16296 Presidente Andreazza – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Catania confermava la decisione del tribunale di Catania, che, all’esito del giudizio abbreviato, ritenuta la continuazione ed esclusa la recidiva, aveva condannato C.P. alla pena giustizia, perché ritenuto responsabile dei delitti di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000 in relazione agli anni di imposta e per gli importi rispettivamente indicati nei capi B , C e D . 2. Avverso l’indicata sentenza l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo si eccepisce inosservanza o erronea applicazione dell’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché vizio motivazionale. Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ravvisato gli elementi costitutivi della fattispecie in esame, che, per effetto delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 158 del 2015, si perfeziona al concomitante verificarsi di due circostanze a qualora l’ammontare degli elementi attivi sottratti all’imposizione sia superiore al dieci per cento dell’ammontare degli elementi attivi indicati nella dichiarazione b l’imposta evasa sia superiore, per ogni singola imposta, a 150 mila Euro. Nel caso in esame, poiché l’imposta evasa è pari, con riferimento all’iva, a 57.722 Euro e, con riferimento all’irpef, a 202.393,91 Euro, difetterebbe il presupposto oggettivo della fattispecie in esame, in quanto l’ammontare evaso sarebbe inferiore alla soglia di punibilità secondo la prospettazione difensiva, infatti, il reato sarebbe configurabile solo se la soglia di punibilità è superata con riguardo ad ogni singola imposta evasa. 2.2. Con il secondo motivo si deduce inosservanza o erronea applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000. Secondo il ricorrente, il C. non avrebbe avuto l’obbligo di presentare le dichiarazioni annuali, in quanto l’attività economica è avvenuta on line e tra società straniere, ivi comprese quelle del C. , che hanno tutte sede a Malta del resto, il ricorrente avrebbe acquistato e venduto integratori alimentari, che non sarebbero mai transitati in Italia. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, che ripropongono le medesime doglianze già disattese dai giudici di merito, sulla base di una corretta interpretazione delle norme censurate e immune da vizi logici. 2. Il primo motivo è inammissibile. Invero, la prospettazione difensiva, secondo cui l’integrazione del delitto di dichiarazione infedele, punito dall’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, presupporrebbe il superamento della soglia di punibilità con riferimento a tutte le imposte evase, non è condivisibile, in quanto urta contro il chiaro dato letterale della disposizione in esame. Invero, la locuzione, prevista dal comma 1, lett. a , l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a Euro centocinquantamila , deve intendersi nel senso che il reato è perfezionato in presenza del superamento della soglia in relazione all’ammontare anche di una sola imposta e non, come opina la difesa, di entrambe le imposte. Come correttamente ha osservato la Corte territoriale, il termine taluna , in accordo con la sua accezione letterale, sta, infatti, ad indicare, in via alternativa e non congiuntiva anche una sola delle imposte considerate. Ne segue che, ai fini della sussistenza del delitto di dichiarazione infedele, punito dall’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, è sufficiente il superamento della soglia indicata anche per una sola delle imposte evase. Nel caso in esame, pertanto, poiché, con riferimento all’irpef, l’imposta evasa, pari 202.393,91 Euro - circostanza nemmeno contestata dalla difesa - è superiore alla soglia di punibilità, il delitto risulta perfezionato. 3. Quanto al secondo motivo, diretto a contestare la sussistenza dell’obbligo, in capo al C. , di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, in quanto l’attività commerciale si sarebbe svolta on line con società estere, la Corte territoriale, nel solco della decisione del tribunale, ha correttamente osservato che tale attività risulta comunque effettuata in ambito comunitario e mediante l’utilizzo di conti correnti, tutti accesi in Italia, sui quali venivano operati i pagamenti effettuati dai clienti per l’acquisto dei prodotti commercializzati dalle società del C. . Di conseguenza, nell’esercizio della sua attività imprenditoriale di commercio al dettaglio, il C. non solo ha violato la normativa sul commercio elettronico, non avendo dato alcuna comunicazione all’amministrazione tributaria circa l’attività commerciale espletata e non avendo emesso le dovute fatture nei confronti degli utenti finali dei beni, ma aveva l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi, in quanto percepiti sul territorio nazionale, e, pertanto, soggetti alla tassazione secondo le leggi dello Stato. 4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.