Reato di sottrazione agli obblighi di sorveglianza speciale e rivalutazione della pericolosità sociale dell’imputato

Rimessa alle Sezioni Unite la questione relativa all’incidenza sull’integrazione del reato di sottrazione agli obblighi della sorveglianza speciale della mancata rivalutazione della pericolosità sociale dell’imputato.

La Suprema Corte Cass. sentenza n. 16332/18, depositata il 12 aprile si trova davanti ad un interrogativo che coinvolge profili sostanziali, procedurali e di prevenzione, ancor più complesso a causa del connesso, precedente, intervento del Giudice delle Leggi. La Corte costituzionale, infatti, nel 2013, aveva dichiarato parzialmente illegittimi l'art. 12 della legge n. 1423/1956 e, in via consequenziale, l'art. 15 del d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui non prevedevano che, quando l'esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena, l'organo che ha adottato il provvedimento genetico debba valutare, anche d'ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell'interessato alla ripresa del vincolo. Una simile pronuncia genera evidenti implicazioni per le fattispecie penali poste a presidio degli obblighi imposti ai prevenuti, che giungono ora al vaglio di legittimità. Il caso. Il giudizio a quo s’avviava nel 2012, quando il Tribunale di Milano promuoveva, nei confronti di soggetto ritenuto pericoloso socialmente, la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel Comune di Milano per anni due. Nel 2013 il corso della prima azione cautelare restava sospeso, per l’irrogazione – ad esito di cumulo di pene – della misura di sicurezza della libertà vigilata per anni due l’imputato veniva quindi ammesso ad affidamento in prova di carattere terapeutico, che si concludeva positivamente nel 2015 il Tribunale di Sorveglianza, poi, accertata la perdurante pericolosità sociale, lo sottoponeva per un ulteriore anno a libertà vigilata nel 2016, dunque, senza che intervenisse ulteriore valutazione, veniva notificata al prevenuto la nuova operatività della misura di prevenzione. Durante l’estate successiva, tuttavia, l’interessato era rintracciato dalla polizia giudiziaria nel Comune di Rozzano e nel conseguente processo, celebrato con rito abbreviato, condannato dal Tribunale di Milano alla pena di mesi otto di reclusione, per la violazione delle prescrizioni imposte. Decisione integralmente confermata, nel 2017, dai Giudici del gravame. Ricorre per la cassazione della pronuncia l’imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, lamentando error in iudicando e contraddittorietà della motivazione, per aver la Corte ambrosiana ritenuto integrato il fatto tipico, malgrado l’assenza, al termine della sospensione, di una nuova valutazione del giudice della prevenzione, avendo reputato sufficiente quella effettuata, un anno prima, dal Tribunale di Sorveglianza. L’ordinanza. La Sezione I – su parere difforme della Procura generale, che aveva chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata – decide di trasmettere il ricorso al Massimo Consesso interpretativo, affinché chiarisca Se sia configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale [] nei confronti di soggetto destinatario di misura di sorveglianza speciale, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di detenzione di consistente durata, anche qualora al momento della risottoposizione alla misura non si sia proceduto di ufficio ad una rivalutazione dell’attualità e persistenza della sua pericolosità sociale ad opera del giudice della prevenzione, in base ai principi affermati da Corte cost. n. 291/2013, e tale rivalutazione non sia stata dallo stesso sollecitata . L’Estensore, pur scontando qualche difficoltà nel descrivere la successione nel tempo – obiettivamente molto articolata – delle limitazioni alla libertà del ricorrente, riesce a riepilogare efficacemente i diversi passaggi della questione problematica. Lo fa, a partire da un’indispensabile premessa, concernente la decisione della Consulta. Le correnti interpretative in conflitto. Sembra significativo che lo scontro tra opposte fazioni di pensiero si sia prodotto, essenzialmente, tra diversi collegi della Sezione I. Un primo filone giurisprudenziale, più rigoroso, stante l’efficacia deterrente che l’esperienza di carcerazione potrebbe rectius dovrebbe aver generato in capo al proposto, considera sospesa l’efficacia della misura sino a che il giudice della prevenzione non ne valuti nuovamente l’attualità, anche in base alla condotta tenuta in executivis . Da ciò discende che quando il giudice prenda cognizione delle violazione degli obblighi imposti, tanto nel merito quanto in via cautelare, dovrà preliminarmente appurare se tale ulteriore apprezzamento sia stato compiuto dall’Autorità giudiziaria competente. Una seconda tesi, per così dire intermedia, affida tale stima, in casi simili, al giudice del merito, che dovrà investigare sulla sussistenza della pericolosità sociale quale vero e proprio antecedente logico della condotta tipica, che, nella sostanza, può essere realizzata solo da chi, sottoposto a misura di prevenzione, ne violi gli obblighi essendo ancora socialmente pericoloso. Un terzo orientamento, infine, pur riconoscendo il dovere di rinnovare l’esame della pericolosità sociale dopo lunga detenzione e non potrebbe fare altrimenti, in ossequio alla citata giurisprudenza costituzionale , lo reputa rimesso alla competenza funzionale del giudice della misura stessa e sostiene, in proposito, che la sua assenza non possa essere equiparata ad un giudizio di senso contrario, affermando che il presupposto di pericolosità sociale, condizione strutturale essenziale della misura, che trae genesi dal titolo originario, continua ad esistere, perché adottato nel concorso delle condizioni legittimanti ed all’esito della verifica giurisdizionale . Conclusioni. L’ordinanza in commento espone in modo convincente i tratti salienti delle diverse esegesi in campo, dando conto degli snodi essenziali che il Supremo Collegio dovrà risolvere per poter dirimere la contrapposizione ermeneutica. Nonostante sia difficile pronosticarne l’esito, è certo che, nel contesto di un sistema giudiziario che a fatica gestisce il carico quotidiano e di consistenti ritardi anche nella trattazione di incombenti urgenti , meglio sarebbe legare sanzioni che incidono sulla libertà personale a presupposti accertati senza alcuna presuntiva perdurante validità di precedenti dichiarazioni, connesse a stati, per loro natura, evanescenti e, proprio per questo, soggetti a permanente controllo sulla perdurante sussistenza delle condizioni che legittimano l'esecuzione della misura disposta” cfr. sin da Cass., sez. I Penale, 6 luglio 1995, n. 4074 .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 20 marzo – 12 aprile 2018, n 16332 Presidente Di Tomassi – Relatore Vannucci Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 7 marzo 2017 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa, a definizione di procedimento svoltosi nelle forme del giudizio abbreviato, dal Tribunale di Milano il 12 settembre 2016 recante condanna di M.C. alla pena di otto mesi di reclusione per avere costui, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Milano per anni due, in forza di decreto emesso dal Tribunale di Milano il 3 febbraio 2012, violato tale obbligo facendosi trovare il 13 agosto 2016 all’interno del Centro commerciale Fiordaliso , sito nel territorio del Comune di Rozzano art. 75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011 . A fondamento di tale decisione ed in risposta a specifico motivo di impugnazione, la sentenza afferma che con decreto del 3 febbraio 2012 M. venne dal Tribunale di Milano assoggettato alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di Milano per la durata di anni due l’esecuzione di tale misura di prevenzione venne sospesa il 18 gennaio 2013 a seguito di un cumulo delle pene, con applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per due anni l’imputato venne quindi ammesso al beneficio dell’affidamento terapeutico presso un centro diurno e tale misura alternativa alla detenzione si concluse con esito positivo il 30 settembre 2015 il Tribunale di sorveglianza accertò la pericolosità sociale di M. e lo sottopose per un altro anno alla misura della libertà vigilata il 4 agosto 2016 l’imputato venne formalmente informato dell’interruzione della misura di sicurezza in ragione della concomitante applicazione della misura di prevenzione, lo stesso giorno notificatagli, con conseguente sottoscrizione del verbale di sottoposizione agli obblighi dal decreto del 2012 imposti è certamente vero che quando l’esecuzione di misura di prevenzione personale resta sospesa in ragione dello stato di detenzione del destinatario il giudice che quel provvedimento ha adottato debba, anche d’ufficio, valutare la persistenza della pericolosità sociale della persona nel momento di esecuzione della misura è però altrettanto vero che nel mese di settembre del 2015 la pericolosità sociale dell’imputato era stata ritenuta sussistente dal Tribunale di sorveglianza, a nulla, quindi, rilevando l’esito favorevole dell’affidamento in prova quale misura alternativa alla detenzione ed osservandosi inoltre che eventuali questioni circa la sua persistenza dovevano semmai essere sottoposte all’a.g. che aveva emesso il provvedimento in esecuzione sussisteva quindi il reato oggetto di imputazione. 2. Per la cassazione di tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso atto sottoscritto dal difensore, avvocato Vincenzo Sergio Vitale denunciando erronea applicazione dell’art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 e contraddittorietà della motivazione quanto alla valutazione della pericolosità sociale. Ad avviso del ricorrente l’efficacia della misura di prevenzione nei suoi confronti emessa il 3 febbraio 2012 era stata sospesa, essendo egli detenuto in espiazione di pena dopo la cessazione dell’esecuzione della pena nessuna valutazione della attualità della sua pericolosità sociale era stata fatta, al momento dell’esecuzione della misura di prevenzione primi giorni del mese di agosto 2016 , dal Tribunale di Milano che il 3 febbraio 2012 aveva disposto la misura di prevenzione personale con obbligo di soggiorno, in violazione quindi dell’art. 15 del d.lgs. n. 159 del 2011 nel testo risultante dall’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 291 del 2013 la sentenza impugnata, pur riconoscendo tale assenza di nuova valutazione ad opera del giudice della prevenzione, in violazione di legge ritiene sufficiente che la stessa venne compiuta dal Tribunale di sorveglianza giudice diverso da quello che aveva emesso il provvedimento di prevenzione al momento dell’applicazione della libertà vigilata nel mese di settembre 2015, e cioè un anno prima dell’applicazione della misura di prevenzione. Considerato in diritto 1. Dall’accertamento compiuto dalla sentenza impugnata, non contestato, risulta che con decreto emesso il 3 febbraio 2012 il Tribunale di Milano, sezione misure di prevenzione, assoggettò il ricorrente a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di Milano per la durata di anni due l’esecuzione di tale misura di prevenzione venne sospesa il 18 gennaio 2013 per effetto di esecuzione di pena detentiva il 4 agosto 2016 dopo più di quattro anni dall’emanazione del decreto e dopo più di tre anni dalla sospensione della sua efficacia esecutiva riprese l’esecuzione della misura di prevenzione mediante nuova notificazione del decreto e sottoscrizione da parte del suo destinatario del verbale di sottoposizione agli obblighi con lo stesso provvedimento imposti non risulta che, nel periodo compreso fra il 18 gennaio 2013 e il 4 agosto 2016, il giudice della prevenzione abbia rivalutato il presupposto pericolosità sociale del ricorrente. La sentenza impugnata afferma che vi è stato, dopo nuova notificazione del decreto del febbraio 2012 al termine del periodo detentivo, inadempimento del ricorrente all’obbligo di soggiorno in Milano, con conseguente sussistenza del delitto previsto dall’art. 75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, in quanto il 30 settembre 2015 il magistrato di sorveglianza, in sede di proroga della misura di sicurezza della libertà vigilata, ebbe ad accertare la persistente pericolosità sociale del ricorrente in ogni caso, ogni questione relativa alla persistenza della pericolosità quale presupposto della perdurante efficacia esecutiva della misura di prevenzione avrebbe dovuto dal ricorrente essere sottoposta al giudice della prevenzione. 2. Il ricorrente deduce invece, in sostanza, che al momento del fatto a lui contestato l’efficacia esecutiva del decreto del 3 febbraio 2012 doveva ritenersi ex lege ancora sospesa, non avendo il giudice della prevenzione adottato alcuna decisione di conferma della misura di prevenzione fondata sull’attualità della sua pericolosità sociale al momento della cessazione del periodo di differimento dell’esecuzione del decreto menzionato con conseguente non sussistenza del reato di inadempimento ad obbligo contenuto in decreto la cui efficacia esecutiva era ancora sospesa. 3. Nel presente giudizio di legittimità è in discussione, quindi, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, l’interpretazione del contenuto precettivo dell’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2015 per come risultante dall’addizione ad esso apportata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 291 del 2011. Tale disposizione prevede, per quanto qui interessa, che il tempo trascorso in custodia cautelare seguita da condanna o in espiazione di pena detentiva non è computato nella durata dell’obbligo di soggiorno. Di tale disposizione è stata, dalla citata sentenza n. 291 del 2011, affermata l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui l’esecuzione di misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, il giudice che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura con la precisazione che tale ulteriore valutazione può dal giudice essere ragionevolmente omessa a fronte della brevità del periodo di differimento dell’esecuzione della misura di prevenzione . 4. Premesso che nel caso di specie, in ragione del consistente lasso temporale trascorso fra emissione della misura di prevenzione e momento in cui cessò il differimento dell’esecuzione della stessa determinato della detenzione del sottoposto alla misura stessa, non sussiste il presupposto, indicato dalla citata sentenza del giudice delle leggi, per l’omissione della ulteriore valutazione di pericolosità, si riscontra oggettivo contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla interpretazione da dare alla norma sopra indicata per come risultante dall’addizione recata dalla sentenza della Corte costituzionale e alla conseguente sussistenza del reato previsto dall’art. 75 d.lgs. n. 159 del 2011, quando - dopo formale notificazione della ripresa vigenza della misura di prevenzione e concomitante sottoscrizione del verbale di sottoposizione ad opera del sottoposto - al momento della commissione da parte della persona sottoposta a misura di prevenzione personale di fatti astrattamente costituenti reato da violazione di obblighi o prescrizioni imposti con il decreto che la misura ha disposto, manchi - prima della commissione di tali fatti - ulteriore valutazione della pericolosità di tale soggetto da parte del giudice della prevenzione al termine del periodo di sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto impositivo della misura derivata da detenzione di consistente durata. 5. Secondo Sez. 1, n. 6878 del 05/12/2014, dep. 2015, Villani, Rv. 262311, in ipotesi di sottoposto a misura di prevenzione ai sensi della legge n. 1423 del 1956 ovvero del d.lgs. n. 159 de 2011, il quale, successivamente all’adozione della misura, sia assoggettato a misura cautelare personale ovvero alla espiazione di pena detentiva per un apprezzabile periodo temporale potenzialmente idoneo ad incidere sullo stato di pericolosità in precedenza delibato, la misura stessa deve considerarsi sospesa nella sua efficacia fino a quando il giudice della prevenzione non ne valuti nuovamente l’attualità alla luce di quanto desumibile in favore del sottoposto dalla esperienza di carcerazione patita con la conseguenza che, fino a tL, quando tale nuova valutazione non venga effettuata dal giudice della prevenzione, anche alla luce del comportamento tenuto nel corso dell’esecuzione della pena, non può considerarsi sussistente il reato di cui all’art. 75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011 ovvero quello di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 1423 del 1956 , dal momento che tale illecito consiste nell’inadempimento ad obblighi e prescrizioni la cui esecuzione è sospesa. La stessa regola di interpretazione è adottata da Sez. 1, n. 22547 del 08/01/2015, Di Rocco, Rv. 263575 e da Sez. 5, n. 33345 del 13/06/2016, Cartanese, Rv. 268046. Corollario di tale interpretazione è che, nel caso di sospensione dell’efficacia esecutiva di decreto dispositivo di misura di prevenzione personale conseguente a detenzione, per un significativo periodo, della persona alla stessa assoggettata, il giudice chiamato a conoscere, nel merito e in via cautelare, della sussistenza di reato di violazione di obblighi derivanti da tale misura deve verificare se la valutazione di attualità della pericolosità sociale sia stata o meno compiuta dall’autorità giudiziaria competente, costituendo essa presupposto di legittimità dell’esecuzione del provvedimento di prevenzione, rimasto sospeso, come tale incidente sul rilievo penale delle violazioni contestate così Cass. Sez. 1, n. 48686 del 29/09/2015, Mancuso, Rv. 265665 . In buona sostanza, secondo tale opzione ermeneutica, la valutazione di attualità della pericolosità sociale del destinatario della misura in questione, compiuta dal giudice della prevenzione al termine del periodo di differimento di esecuzione della misura stessa determinato da detenzione di durata tale da incidere su tale stato, costituisce presupposto di sussistenza per tale persona dei reati previsti dall’art. 75 del d.lgs. n. 159 del 2011. 6. A tale orientamento si contrappone quello, enunciato da Cass. Sez. 1, n. 2790 del 09/03/2017, Greco, Rv. 270655, che, pur ribadendo la doverosità della rinnovazione dell’esame della pericolosità sociale dopo detenzione di lunga durata allorquando all’esito della detenzione stessa emergano profili o dati di fatto specifici, potenzialmente idonei ad incidere sullo stato di pericolosità sociale precedentemente delibato in senso positivo , evidenzia, da un lato, che il nuovo esame della pericolosità sociale dopo lunga detenzione di destinatario di misura di prevenzione, è rimesso alla competenza funzionale del giudice della misura stessa e, dall’altro, che non può affermarsi che la mancanza di tale rivalutazione equivalga, però, ad automatica inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo genetico o che tenga luogo d’una sua sospensione ex lege. Il presupposto di pericolosità sociale, condizione strutturale essenziale della misura, che trae genesi dal titolo originario, continua ad esistere, perché adottato nel concorso delle condizioni legittimanti ed all’esito della verifica giurisdizionale e ciò finché il giudice funzionalmente competente non provveda ad operare una rivalutazione di segno contrario . Segue non dissimile ordine di concetti Sez. 1, n. 29197 del 09/05/2017, Iamonte, non massimata, secondo cui, ricorrendo nel caso concreto gli estremi della fattispecie legale determinata dalla citata sentenza additiva della Corte costituzionale, dal mancato accertamento officioso del giudice della prevenzione della pericolosità di persona sottoposta a misura di prevenzione, dopo la cessazione di consistente periodo di detenzione, non deriva ex se la perdurante sospensione dell’esecuzione della misura stessa con la conseguenza che, ai fini della rivalutazione della pericolosità sociale, deve escludersi ogni forma di automatismo decisorio - favorevole o sfavorevole al prevenuto - non potendosi prescindere dalla valutazione delle emergenze del caso concreto . La conseguenza è che nell’ipotesi in cui la persona destinataria della misura di prevenzione non abbia dopo la sua scarcerazione attivato alcun percorso finalizzato al suo reinserimento sociale, tale da fare ritenere venuto meno o comunque attenuato il giudizio di pericolosità posto a fondamento della misura presupposta , ovvero non abbia dedotto di avere goduto in carcere di benefici o misure che consentissero una valutazione incidentale di possibile risocializzazione e, dunque, la plausibilità di una rivalutazione della sua posizione , il giudice della cognizione, di merito o cautelare, che debba accertare la sussistenza dei reati previsti dall’art. 75 d.lgs. n. 159 del 2011, ben potrebbe affermare, in via incidentale, la persistenza della pericolosità sociale dell’imputato o dell’indagato sulla base di numerose e reiterate nel caso concreto per quasi un triennio violazioni degli obblighi imposti con la misura di prevenzione da costui commesse dopo la scarcerazione. 7. Posizione intermedia sembrano assumere, quindi, alcune decisioni, tra cui Sez. 1, n. 11619 del 3/10/2017, dep. 2018, non massimata, che, sostanzialmente, parrebbero rimettere la valutazione incidentale sulla persistente pericolosità sociale - e quindi sulla efficacia della risottoposizione alla misura di prevenzione dopo un periodo di detenzione - al giudice di merito che procede in ordine alla contestata violazione degli obblighi inerenti detta misura. E a quest’ultima linea interpretativa si rifà evidentemente il provvedimento impugnato. 8. Alla luce del riscontrato contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione sottoposta a questa Corte dal ricorrente con l’unico motivo posto a fondamento del richiesto annullamento della sentenza impugnata, si impone l’intervento regolatore delle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen., sulla seguente questione di diritto Se sia configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nei confronti di soggetto destinatario di misura di sorveglianza speciale, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di detenzione di consistente durata, anche qualora al momento della risottoposizione alla misura non si sia proceduto di ufficio ad una rivalutazione dell’attualità e persistenza della sua pericolosità sociale ad opera del giudice della prevenzione, in base ai principi affermati da Corte cost. n. 291 del 2013, e tale rivalutazione non sia stata dallo stesso sollecitata . P.Q.M. Visto l’art. 618 cod. proc. pen., rimette il ricorso alle Sezioni Unite.