La vendita di prodotti con data di preferibile consumazione spirata non costituisce di per sé reato

Il reato di commercio di sostanze alimentari nocive, di cui all’art. 444 c.p., non si configura attraverso la mera commercializzazione di prodotti alimentari con data di preferibile consumazione spirata, poiché tale reato sussiste laddove i prodotti abbiano, in concreto, la capacità di arrecare danno alla salute.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 16108/18, depositata l’11 aprile. Il caso. La Corte d’Appello di Messina, in riforma della decisione emessa dal Giudice di prime cure, assolveva la titolare di una farmacia dai reati a questa ascritti ex artt. 444, 452 e 590 c.p., per aver posto in commercio una confezione di latte in polvere scaduto, il quale cagionava ad un neonato lesioni guaribili in 8gg, in seguito all’assunzione dello stesso. Il Giudice d’Appello non rilevava né la prova del cattivo stato di conservazione del prodotto né la riconducibilità dei disturbi sofferti dal neonato all’assunzione del latte in polvere. Avverso la sentenza della Corte distrettuale i genitori del neonato ricorrono per cassazione denunciando la rilevanza data nei giudizi di merito alla differenza tra la data di scadenza e la data di preferibile consumazione, nonostante il prodotto fosse scaduto da 3 mesi. Commercio di alimenti e danno alla salute. Il Supremo Collegio precisa che la dicitura riportata sulla confezione di latte in polvere recante l’indicazione da consumarsi preferibilmente entro il” ha un’importante valenza probatoria, posto che secondo la giurisprudenza di legittimità, la messa in commercio di prodotti confezionati, recanti tale dicitura, caratterizzati dal presentare sulla confezione l’indicazione di una data spirata, non configura alcuna ipotesi di reato, ma solo l’illecito amministrativo di cui agli artt. 10, comma 7 e 18, d.lgs. n. 109/1992 . Ciò in quanto, la rilevanza penale della commercializzazione di sostanze nocive è legata non già al dato formale del commercio di alimentari la cui data di scadenza o meglio, di preferibile consumazione sia già spirata, ma – come correttamente messo in luce dai Giudici – al dato sostanziale della pericolosità in concreto , essendo, del resto, il reato di commercio di sostanze alimentari nocive reato di pericolo per la cui sussistenza è necessario che gli alimenti abbiano, in concreto, la capacità di arrecare danno alla salute . La prova. La Suprema Corte, alla luce di quanto affermato, precisa, inoltre, come manchino gli elementi di prova riguardanti la pericolosità in concreto del latte in polvere, sia con riguardo al modo con cui il prodotto si presentava esteriormente, sia con riguardo all’assenza di un’univoca riferibilità eziologica alla somministrazione di latte guasto dei sintomi accertati sul piccolo , nonché della prova controfattuale sull’assenza di decorsi causali alternativi . La Corte dunque rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 21 marzo – 11 aprile 2018, n. 16108 Presidente Fumu – Relatore Pavich Ritenuto in fatto 1. In data 17 ottobre 2016, la Corte d’appello di Messina ha assolto V.A. dai reati a lei ascritti ex artt. 444 e 452 cod.pen. capo A e 590 cod.pen. capo B , riformando così la sentenza con la quale la V. era stata condannata alla pena di giustizia e alle connesse statuizioni civili dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto il 21 luglio 2015, in relazione ai suddetti reati. Alla V. è addebitato, nella sua qualità di titolare dell’omonima farmacia, di avere posto in commercio, in data 21 settembre 2008, sostanze alimentari nocive una confezione di latte in polvere per lattanti omissis , scaduta dal 16 luglio 2008 per colpa consistita nell’omesso controllo della validità dei prodotti messi in vendita così facendo, sempre secondo l’accusa, la V. cagionava lesioni guaribili in otto giorni in danno del neonato G.G. , cui era stato somministrato il latte in polvere suddetto. I genitori del bambino, dopo avergli somministrato il latte in polvere, avevano notato che lo stesso presentava dolori addominali e febbre successivamente si accorgevano che il latte in polvere era scaduto. Indi portavano il bimbo al pronto soccorso dell’ospedale di omissis , ove lo stesso veniva giudicato guaribile in otto giorni tuttavia, a fronte del suggerimento di acconsentire al ricovero del piccolo in osservazione, i genitori rifiutavano, dichiarando di preferire che il bambino venisse seguito dal pediatra di famiglia. In estrema sintesi, la Corte peloritana ha ritenuto mancare la prova del cattivo stato di conservazione del latte scaduto prova necessaria, poiché il reato di cui all’art. 444 cod.pen. è reato di pericolo concreto e della riconducibilità dei disturbi presentati dal bambino all’assunzione del suddetto alimento prova che il giudice di primo grado aveva ravvisato in ossequio al principio dell’elevata probabilità logica, sulla base delle dichiarazioni dei genitori del bimbo e delle valutazioni espresse dal prof. C. e dalla d.ssa Cr. consulenti di parte , i quali avevano ravvisato un chiaro ed univoco nesso di causalità tra la somministrazione del latte - ritenuto di indubbia nocività - e le lesioni riscontrate sul bambino. 2. Avverso la prefata sentenza d’appello ricorrono ai soli fini civili, per il tramite del loro difensore, G.P. e M.L. , in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul piccolo G. , quali parti civili costituite. I ricorsi, presentati con unico atto d’impugnazione, si articolano in due motivi. 2.1. Con il primo motivo gli esponenti lamentano vizio di motivazione per non avere la Corte di merito articolato una motivazione rafforzata, a fronte dell’ampio percorso argomentativo seguito dal giudice di primo grado. La Corte messinese ha attribuito rilevanza dirimente alla differenza fra data di scadenza e data di preferibile consumazione , laddove è accertato che il latte era scaduto da tre mesi, che il bambino era stato male dopo l’assunzione dello stesso, che i sintomi che egli presentava erano tipici dell’assunzione di latte andato a male, che il pediatra di famiglia aveva riscontrato come inequivocabili i sintomi suddetti, e che tutto ciò era stato riscontrato dai consulenti di parte civile. Il fatto che al Pronto soccorso la sintomatologia non venne direttamente riscontrata, ma fu solo riferita , non tiene conto delle dichiarazioni testimoniali del pediatra del Pronto soccorso, dott. A. , il quale ha riferito che il bambino accusava coliche addominali, ciò che evidentemente egli aveva personalmente verificato. A fronte di tutto ciò, non può avere rilevanza determinante l’esito negativo della coprocoltura, cui pure la Corte di merito annette rilevanza dirimente. 2.2. Con il secondo motivo gli esponenti denunciano illogicità della motivazione muovendo proprio da quest’ultimo profilo, ossia dalla rilevanza interruttiva del nesso di causalità attribuita all’esito della coprocoltura esame, quest’ultimo, che venne tuttavia eseguito solo dopo la somministrazione al bambino di terapie antibatteriche antibiotici . Vengono al riguardo richiamate per estratto le deposizioni del dott. Ga. , del prof. C. , della d.ssa Cr. e degli stessi genitori del bimbo, e se ne trae la conclusione che l’esito negativo della coprocoltura, proprio in quanto effettuato dopo la somministrazione di terapia antibatterica, non poteva assurgere a prova decisiva, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di secondo grado. 3. I difensori dell’imputata hanno depositato memoria in Cancelleria in data 5 marzo 2018, con la quale hanno confutato gli argomenti posti a base del ricorso delle parti civili. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Si premette che il dovere di articolare una motivazione rafforzata, nel caso di decisione d’appello con la quale venga assolto l’imputato in riforma della condanna emessa in primo grado, consiste nell’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato Sez. U, Sentenza n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679 . Nella specie, deve riconoscersi che la Corte di merito ha tenuto fede a tale impegno, illustrando convenientemente le ragioni del proprio convincimento contrario a quello del giudice di primo grado e della propria difforme valutazione del materiale probatorio. Il percorso argomentativo seguito nella sentenza impugnata si appalesa, contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, completo e puntuale, con particolare riferimento ai punti qualificanti che di seguito si evidenziano. In primo luogo, la dicitura riportata sulla confezione di latte in polvere secondo la quale il prodotto doveva essere consumato preferibilmente entro una certa data ha, effettivamente, una specifica rilevanza agli effetti della prova del reato invero, è corretto il richiamo alla giurisprudenza di legittimità in base alla quale la commercializzazione di prodotti alimentari confezionati per i quali sia prescritta l’indicazione da consumarsi preferibilmente entro il , o quella da consumarsi entro non integra, ove la data sia superata, alcuna ipotesi di reato, ma solo l’illecito amministrativo di cui agli artt. 10, comma settimo, e 18 del D.Lgs. n. 109 del 1992 cfr. Sez. U, Sentenza n. 1 del 27/09/1995, dep. 1996, Timpanaro, Rv. 203094 Sez. 3, Sentenza n. 30858 del 27/06/2008, Amantia e altro, Rv. 240755 . La rilevanza penale della messa in vendita di sostanze alimentari nocive è legata non già al dato formale del commercio di alimentari la cui data di scadenza o meglio, di preferibile consumazione sia già spirata, ma - come correttamente messo in luce dai giudici peloritani - al dato sostanziale della pericolosità in concreto ed invero, è costante la giurisprudenza di legittimità nell’affermare che il reato di commercio di sostanze alimentari nocive è reato di pericolo per la cui sussistenza è necessario che gli alimenti abbiano, in concreto, la capacità di arrecare danno alla salute ex multis Sez. 4, Sentenza n. 3457 del 19/12/2014, dep. 2015, Freda e altri, Rv. 262247 Sez. 1, Sentenza n. 3532 del 17/01/2007, Valastro, Rv. 235904 . Venendo al caso di specie, la Corte distrettuale ha evidenziato come manchino gli elementi di prova riguardanti la pericolosità in concreto del latte in polvere, sia con riguardo al modo in cui il prodotto si presentava esteriormente la Corte di merito osserva che la stessa madre del piccolo, sentita in dibattimento, ha dichiarato che il latte era lo stesso , ossia non presentava alterazioni evidenti vds. pag. 5 sentenza impugnata sia con riguardo all’assenza di un’univoca riferibilità eziologica alla somministrazione di latte guasto dei sintomi accertati sul piccolo G. . A tale ultimo riguardo, vi è un ampio percorso motivazionale nel quale la Corte peloritana evidenzia come la maggior parte dei sintomi notati dai genitori del piccolo la febbre, le feci verdastre ecc. sia stata esclusivamente riferita dagli stessi - tra l’altro non senza talune incongruenze dichiarative, ad esempio in ordine al grado febbrile - e non sia stata oggettivamente riscontrata da alcuno dei sanitari, mentre l’unico sintomo che i medici ebbero a percepire direttamente il dott. Ga. , lo stesso dott. A. del Pronto soccorso fu costituito dalle coliche addominali sulle quali però correttamente la Corte di merito osserva che si trattava di sintomo affatto aspecifico, ossia riferibile a più possibili cause, e dunque non necessariamente a un’intossicazione da latte in polvere avariato. A riscontro di tale assunto, la Corte distrettuale evidenzia che tale sintomo si ripresentava a distanza di alcuni giorni e, in tale occasione, veniva disposta l’esecuzione di una coprocoltura, che dava però esito negativo con l’evidente precipitato logico che, trattandosi di colica addominale non dovuta a cause batteriche, si palesava evidente la natura aspecifica e - per così dire - multifattoriale del disturbo de quo. Sotto il profilo della rilevanza eziologica, quindi, non è possibile pervenire all’affermazione della dipendenza causale dei sintomi riscontrati sul minore dalla somministrazione di latte in polvere scaduto, atteso che il giudizio controfattuale, per poter condurre a simile affermazione alla stregua di un criterio di elevata probabilità logica, doveva basarsi sull’assenza di decorsi causali alternativi ciò che non può affermarsi laddove le manifestazioni esteriori di una patologia che si assume cagionata dalla condotta incriminata siano, in realtà, riconducibili anche a fattori causali di natura diversa ed estranea a tale condotta. Le ulteriori lagnanze articolate dai ricorrenti nel motivo in esame si appalesano di fatto protese a sollecitare una diversa valutazione di circostanze fattuali e di esiti istruttori, di stretta ed esclusiva pertinenza dei giudici di merito e incompatibile con il presente giudizio di legittimità cfr. Sez. 6, Sentenza n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 . 2. Per ragioni analoghe è infondato anche il secondo motivo di ricorso, a sua volta teso a riproporre un’inammissibile rivalutazione del materiale probatorio. È in primo luogo non rispondente al vero che sia stato decisivo, nella decisione dei giudici d’appello, l’esito negativo della coprocoltura eseguita sul minore, laddove tale circostanza - come si è detto poc’anzi - valeva unicamente a fornire riscontro alla ritenuta aspecificità del sintomo costituito dalle coliche addominali. Ma soprattutto il nuovo insorgere di queste ultime in data 29 settembre 2008, a distanza di alcuni giorni da quelle iniziali regredite in seguito alla somministrazione di farmaci adeguati, è stato per l’appunto monitorato mediante l’esecuzione della coprocoltura, il cui esito negativo deponeva per l’assenza, in tale occasione, di batteri patogeni in ciò, a ben vedere, la Corte di merito ha scorto la riprova che il manifestarsi di una colica addominale può avvenire indipendentemente dalla presenza di tali batteri e, dunque, per cause del tutto diverse da quelle ipotizzate nell’assunto accusatorio. Si appalesa pertanto evidente che il percorso argomentativo della sentenza impugnata ha fatto buon governo, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio in ordine alla configurabilità dei reati ascritti alla V. e alla riferibilità degli stessi alla condotta omissiva contestata a quest’ultima. 3. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.