Furto consumato o tentato? La distinzione sta nella disponibilità della refurtiva

Il furto consumato si distingue dall’ipotesi del mero tentativo in virtù dell’ autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo .

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15715/18, depositata il 9 aprile. Il fatto. Il Tribunale di Parma condannava l’imputato per concorso in furto in abitazione pluriaggravato e per porto d’armi non autorizzato art. 4 l. n. 110/1975 . La Corte d’Appello riqualificava il fatto ai sensi dell’art. 624 Furto e 625, comma 1, nn. 2 e 5, c.p. rideterminando in melius la pena irrogata. Avverso siffatta pronuncia l’imputato ricorre in Cassazione dolendosi per il mancato riconoscimento del mero tentativo di furto, oltre che dell’attenuante del danno di speciale tenuità. Reato consumato o tentativo? Gli Ermellini ribadiscono che il furto consumato si distingue dal mero tentativo di furto in virtù dell’ autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo . Anche se il mancato perfezionamento del possesso della refurtiva impedisce di riconoscere come consumato il reato, detto impossessamento si fonda sul conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente . Il fatto che persista la concomitante vigilanza, in termini di attualità ed immanenza, da parte della persona offesa che abbia agito a difesa della detenzione del bene, l’incompiutezza dell’impossessamento impedisce la consumazione del reato che può dunque riconoscersi solo in forma di tentativo. Nel caso di specie, i giudici risultano aver correttamente applicato tali principi posto che l’imputato, assieme ai complici, si era allontanato dall’abitazione da cui aveva sottratto la refurtiva garantendosi così la piena ed effettiva disponibilità della stessa fino all’arrivo della pattuglia della polizia. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 marzo – 9 aprile 2018, n. 15715 Presidente Sabeone – Relatore Caputo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata il 12/02/2016, il Tribunale di Parma, per quanto è qui di interesse, dichiarava, all’esito del giudizio abbreviato, G.M. responsabile del reato di concorso in furto in abitazione pluriaggravato capo A e del reato di cui all’art. 4 l. n. 110 del 1975 capo B , condannandolo alla pena di giustizia condizionalmente sospesa. Investita dei gravami dell’imputato e del pubblico ministero, la Corte di appello di Bologna, con sentenza deliberata il 27/09/2016, sempre per quanto è qui di interesse, ha riqualificato il fatto sub A a norma degli artt. 624, 625, primo comma, nn. 2 e 5, cod. pen., in esso assorbita la contravvenzione sub B , ha rideterminato in melius la pena irrogata, revocandone, tuttavia, la sospensione condizionale. 2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Bologna ha proposto personalmente ricorso per cassazione G.M. , articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen Il primo motivo denuncia inosservanza della legge penale dopo che l’auto del ricorrente era stata pedinata, la polizia giudiziaria ha continuato a sorvegliare l’azione dall’esterno, posizionandosi all’altezza dell’unica uscita del palazzo, dalla quale i correi uscirono per infilarsi nell’auto a bordo della quale furono fermati, sicché erroneamente il fatto non è stato riqualificato in termini di tentativo. Il secondo motivo denuncia inosservanza dell’art. 62, primo comma, n. 4 cod. pen. erroneamente non è stata riconosciuta la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, posto che la porta di ingresso del locale non è stata manomessa e, quanto all’aspetto quantitativo, il pregiudizio è stato lievissimo, anche alla luce delle condizioni economiche del soggetto passivo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è inammissibile. Il discrimen tra fattispecie consumata e fattispecie tentata nel reato di furto è stato individuato dalle Sezioni unite di questa Corte nel conseguimento, anche momentaneo, o meno, in capo all’agente, dell’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo infatti, premesso che il mancato perfezionamento del possesso della refurtiva in capo all’agente esclude che il reato possa dirsi consumato, detto impossessamento postula il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente , mentre deve essere escluso dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo , ipotesi, questa, nella quale la incompiutezza dell’impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell’ambito del tentativo Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014, Prevete, Rv. 261186 . I giudici di merito hanno fatto buon governo del principio di diritto richiamato, avendo rilevato che gli imputati avevano conseguito l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva essi, infatti, si erano impossessati della refurtiva, allontanandosi dal luogo del furto, ed erano stati fermati, ad alcuni chilometri di distanza, da una pattuglia della polizia giudiziaria messa in allarme dagli operanti che, sul luogo del delitto, avevano visto delle persone entrare dell’edificio, senza conoscerne le intenzioni e senza poter intervenire prima dell’arrivo di rinforzi non potendo escludere, in quel frangente, che i tre fossero armati . A fronte della motivata risposta offerta dalla Corte distrettuale alla censura proposta con il gravame, il ricorrente ripropone la tesi volta a qualificare il fatto quale tentativo, omettendo, tuttavia, di confrontarsi criticamente con i dati probatori rilevati dalle conformi sentenze di merito in ordine all’intervallo di tempo che separò l’allontanamento dall’edificio e l’intervento della pattuglia della polizia giudiziaria, dati che rendono ragione, per un verso, della piena ed effettiva disponibilità della refurtiva conseguita dagli agenti con l’allontanamento dal luogo del fatto e, per altro verso, della evidente fuoriuscita della refurtiva stessa dalla sfera di controllo della persona offesa e delle forze di polizia sotto questo profilo, il ricorso risulta del tutto carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849 . 3. Anche il secondo motivo è inammissibile. La Corte distrettuale ha escluso la configurabilità della circostanza attenuante invocata rilevando che il danno complessivo causato alla persona offesa è maggiore di 3 mila Euro, a nulla rilevando che la somma di denaro in contanti non sia stata rinvenuta addosso agli imputati, posto che, tenuto conto delle modalità dell’arresto, essi hanno avuto la possibilità di liberarsi delle banconote e di occultarle. Anche sul punto, il ricorso omette di confrontarsi con le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata, sicché il motivo è inammissibile. 4. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.